Capitolo Sessantuno
Selvaggia camminava risoluta lungo il marciapiede, abbracciandosi per sentirsi meno sola. Forse avrebbe dovuto accettare il passaggio di quel tipo che l’aveva aiutata con quell’ubriaco, ma alla fine arrivò alla conclusione che fosse stato meglio così. La gente si stancava presto di lei e del suo modo di fare distaccato e chiuso, quindi preferì risparmiarsi l’ennesima delusione.
Camminò per circa venti minuti lungo lo stesso marciapiede, girò a destra ed entrò nella via in cui abitava da circa dodici mesi, continuando a pensare a quel tipo.
Era stato gentile, in fondo avrebbe anche potuto far finta di niente e farsi gli affari suoi, invece l’aveva aiutata. E poi l’aveva guardata con quegli occhi così chiari… no, a cosa stava pensando! Non era proprio il momento giusto per iniziare a pensare a certe cose.
Continuò a camminare in silenzio lungo quella via che ormai le era diventata familiare, ricordando la prima volta che era tornata a casa dopo la sua prima serata di lavoro al pub.
Aveva camminato in silenzio in una sera simile a quella in cui si trovava adesso, immersa nei suoi pensieri cupi e silenziosi esattamente come in quel momento, quando un lieve mugolio aveva catturato la sua attenzione.
Si era bloccata di scatto al centro del marciapiede guardandosi attorno, cercando di capire da dove provenisse quel mugolio sordo, ma più ascoltava più sembrava essere sparito. Era rimasta in ascolto per alcuni secondi ma non sentendo più niente aveva pensato di aver avuto un’allucinazione e aveva ripreso a camminare. Dopo un paio di passi lo aveva sentito nuovamente.
Si era bloccata una seconda volta guardandosi attorno, attenta ad ogni minimo movimento possibile, finché non lo aveva sentito di nuovo; sembrava un lieve miagolio, e sembrava provenire da un cassonetto della spazzatura lì vicino. Si era avvicinata tendendo l’orecchio e una volta lì lo aveva sentito di nuovo, ma molto più forte. Il cuore aveva cominciato a battergli prepotente nel petto: avevano abbandonato un gattino nel cassonetto!
Lo aveva aperto schiacciando la leva con il piede e si era affacciata per guardare dentro, all’inizio non aveva visto assolutamente niente per via del buio data l’ora tarda e la scarsa illuminazione dei lampioni. Aveva allora estratto il suo cellulare dalla minuscola borsa che teneva a tracolla e si era fatta luce con quello, il miagolio sembrava farsi più forte e disperato.
Illuminando l’interno del cassonetto, aveva spostato i vari sacchetti pieni di spazzatura che conteneva, finché ne aveva visto uno che si muoveva debolmente. Il cuore aveva preso a correrle ancora più veloce e si era allungata per afferrarlo dall’estremità più vicina e, cercando di fare con delicatezza, lo aveva tirato a sé per poi afferrarlo meglio e tirarlo fuori dal cassonetto.
Era pesante, ma qualunque cosa ci fosse dentro si muoveva a malapena.
Lo aveva appoggiato a terra e lo aveva aperto rompendo la plastica con le unghie, fremendo per liberare quello che conteneva, finché non aveva liberato quattro gattini piccolissimi. Dovevano avere pochi giorni di vita a giudicare dalla grandezza e dagli occhietti ancora chiusi, forse addirittura poche ore, ma purtroppo tre di essi erano già morti. Solo uno sembrava ancora vivo.
Lo aveva raccolto tenendolo in una mano e lo aveva esaminato. Il gattino, appena si era sentito afferrare da una mano calda, aveva iniziato a miagolare ancor più forte, sforzandosi di farsi sentire. Aveva un pelo corto e ispido, di un rosso tenue, scolorito, e ancora una parte del cordone ombelicale attaccato. Selvaggia lo osservò completamente mortificata.
“Oddio!" Lo aveva messo sotto la luce del lampione. “Ma chi può averti abbandonato insieme ai tuoi fratellini?”
Lo aveva raccolto nell’incavo del suo braccio, cercando di dargli un po’ di calore, accarezzandolo con un dito. Era così piccolo, aveva paura di fargli male. Aveva deciso subito di tenerlo, pensando con rabbia a chi avesse mai potuto abbandonare degli esserini simili, condannandoli a morte certa. Ma uno di essi era stato fortunato, aveva trovato lei, aveva appena trovato qualcuno disposto a prendersi cura di lui.
“Credo di aver trovato il tuo nome… vero, Luke?” aveva continuato ad accarezzarlo con delicatezza. “Fortunato all’americana. Suona bene, non trovi?” Aveva sorriso debolmente.
Era tornata a casa stringendo al seno quel piccolo fagottino, aprendo la porta un po’ cigolante di quel piccolo appartamento che aveva trovato a poco prezzo grazie alle conoscenze di quello che poteva definire zio. Un vero colpo di fortuna, anche se da lui non aveva accettato nessun altro tipo di aiuto oltre a quello.
Quando dovette andarsene dalla Sicilia, di fretta e furia, non sapeva dove sbattere la testa e se non ci fosse stato lui molto probabilmente avrebbe finito per dormire sotto a qualche ponte, ma era troppo orgogliosa per accettare ancora favori e, una volta trovato quell’appartamento, si rimboccò le maniche e si affrettò per trovare un lavoro e poter vivere in autonomia. Aveva iniziato a lavorare in una ditta di pulizie, dove puliva le scale di alcuni condomini della città insieme ad altre ragazze, per puro caso aveva trovato sul giornale un inserzione dove cercavano una cameriera con esperienza in un pub poco distante da casa, dopo un periodo di prova di tre giorni, la assunsero a tempo indeterminato. Fu una vera fortuna aver fatto esperienza nel pub dove lavorava Manuela.
Appena entrò in casa, sempre da quella porta cigolante, Luke le venne subito incontro, strusciandosi sui suoi polpacci e facendo le fusa per darle il benvenuto, aspettando che gli riempisse la ciotola di crocchette come faceva sempre. Si tolse la giacchetta di jeans e diede da mangiare al gatto, gratificandolo con una lunga carezza che lui accettò alzando la coda come sintomo di gradimento. Si infilò in bagno e fece una doccia veloce, non vedeva l’ora di mettersi a letto e dormire, le serate al pub come quelle di quella sera erano sfiancanti…
Quando uscì dalla doccia si avvolse in un accappatoio e prese a pettinarsi i capelli davanti allo specchio, si avvicinò allo specchio per osservarsi meglio e notò la ricrescita che si stava cominciando a notare: doveva assolutamente rifarsi la tinta nera, quel colore rosso, ormai, lo detestava. Faticava continuamente per toglierlo da ogni altra parte del suo corpo, per non doverselo vedere addosso nemmeno quando faceva la doccia, e quando di ripresentava nel punto più visibile era ogni volta un pugno nello stomaco.
Tornò in salotto ancora in accappatoio e si sedé sulla sedia vicino alla finestra che dava sul cortile interno, la aprì lasciando che l’aria fresca della sera entrasse in casa e si accese una sigaretta. Aspirò una boccata e lanciò uno sguardo al gatto, accucciato dentro la sua cuccia, tornò a guardare fuori, persa nei suoi pensieri.
Aveva iniziato a fumare quando era arrivata in quella città, era l'unica cosa che le ricordava Giancarlo. Il sapore della sigaretta sulla lingua le ricordava i suoi baci e, a volte, l’odore del fumo nella stanza le faceva tornare alla mente l’odore della sua pelle mentre facevano l’amore. Ormai era poco meno di anno che era stato trovato da sua madre in una pozza di sangue nel garage sotto casa, insieme al corpo di Ludovica. Doveva andare avanti.
Stava andando avanti!
Solo che, con tutta la buona volontà che poteva avere, non riusciva a rifarsi una vita normale. Eppure ne aveva conosciute di persone da quando era lì, sia sul lavoro che vicini di casa, ma instaurare un buon rapporto con loro sembrava impossibile.
Si preparò e si mise sotto le coperte, ma addormentarsi sembrava un’utopia. Se pur stanca dalla lunga giornata di lavoro, non riusciva a prendere sonno. Restò per un pezzo ad occhi spalancati a fissare il vuoto, nel buio della stanza, e la sua testa cominciò a vagare da sola tra i ricordi della sua vita precedente.
Questo tuffo nel passato era diventato ormai una consuetudine per lei. Appena si metteva a letto le ritornavano alla mente gli ultimi giorni che aveva vissuto nella sua terra, sotto quel sole caldo che spacca le pietre e il costante pensiero di non essere al sicuro continuando a stare lì. Le tornava sempre in mente suo padre che, dopo l’omicidio di Giancarlo, aveva nuovamente cercato di accoglierla a braccia aperte, sperando che decidesse di restare con lui, ma non aveva potuto fare nulla quando lei rifiutò categoricamente di tornare a casa, e non poté dirle niente nemmeno quando prese la decisione di andarsene.
Le aveva però fatto dono di un cospicuo conto bancario, intestandoglielo a sua insaputa e donandoglielo tramite il suo collega Girolamo.
Ricordò il loro ultimo abbraccio, prima che lei salisse sul suo aereo, e poi più nulla.
Non l’aveva più richiamato e lui, stranamente, aveva rispettato il suo spazio non cercandola a sua volta. Forse un giorno lo avrebbe cercato, ma non sapeva quando.
Finalmente chiuse gli occhi e si voltò su un fianco, ma ciò non le impedì di vedere un paio di occhi azzurri ed estremamente dolci, appartenenti ad un viso maschile che aveva conosciuto appena quella sera, ma quegli occhi azzurri li conosceva già, solo che non riusciva a collocare dove e quando li avesse visti la prima volta.
***
“Allora, andiamo?”
Roberto si voltò verso Riccardo che doveva ancora togliersi i pantaloni della divisa e mettersi in borghese.
“Roberto, devo fare ancora la doccia. Sta’ tranquillo, ci andremo a prendere la tua macchina, non te la ruba nessuno.”
Roberto sbuffò, esasperato di doverlo aspettare. “Ok, ma cerca di sbrigarti.”
Riccardo non rispose e si tolse le scarpe e i pantaloni, prima di dirigersi in bagno.
Per ammazzare il tempo, Roberto si sedé sul suo letto e giocò un po’ col cellulare. Riccardo riemerse dal bagno in accappatoio, avvolto da una nuvola di vapore profumato.
“Woo, amico, che razza di bagnoschiuma usi? Sembra da donna!”
“Ma che cavolo stai dicendo? Sa di borotalco.”
“Appunto.”
Riccardo guardò l’amico con una smorfia scettica, ma questi riportò la sua attenzione al cellulare, escludendolo completamente dal suo mondo fatto di stupidaggini e divertimenti vuoti. Riccardo scosse la testa, incapace di comprendere il suo modo di vedere la vita. Ma ormai si era abituato ai suoi modi di fare un po’ menefreghisti.
Ogni tanto si chiedeva cosa ci facesse con un tipo come lui, ma alla fine tutte le sue stronzate lo divertivano e, anche se non era un tipo da prendere sul serio, non era un cattivo ragazzo. L’unica sua pecca era che non era affatto tagliato per fare il carabiniere.
Alcuni minuti dopo parcheggiarono di fronte al pub della sera prima. Riccardo osservò l’entrata del locale e il vicolo adiacente, era completamente assorto nei suoi pensieri ricordando per l’ennesima volta quella ragazza dai lunghi capelli neri. Si chiese se anche quella sera avrebbe lavorato, e se avrebbe accettato la sua compagnia una volta finito il suo turno. C’era qualcosa che gli diceva di ritrovarla, come se fosse stata una sirena che lo incantava con il suo canto. Quegli occhi verdi e lucenti gli avevano fatto un incantesimo… Ma gli era sembrata poco propensa a fare amicizia con lui.
Era strano, il suo comportamento gli diceva che fosse un tipo solitario, ma qualcosa che non sapeva spiegarsi, invece, lo richiama come una magia.
“Ma mi hai sentito?” Roberto picchiettò sulla sua spalla, spazientito.
Riccardo trasalì, riemerse dalle sue elucubrazioni e si voltò verso l’amico.
“Cosa? Non ti ho sentito.”
“Ma dov’eri col cervello? Son tre ore che parlo.” Indicò il pub dall'altra parte della strada. “Ti ho chiesto se ti andava di prendere qualcosa da bere. Ieri sera c’erano un paio di ragazze che servivano al bancone davvero niente male.”
Riccardo ci pensò su un secondo, ma subito sorrise. “Sì, perché no?”
“Che cosa?” Roberto lo fissò sbalordito. “Ero sicuro che mi avresti risposto un’altra volta che avevi da fare.”
Riccardo ammise tra sé che non aveva mai accettato quel tipo di divertimento con lui, ma appena glielo aveva proposto aveva rivisto un’opportunità per incontrare di nuovo quella splendida dea dagli occhi verdi. “No, è che forse hai ragione tu quando dici che dovrei divertirmi di più.”
Roberto lo guardò un attimo sorpreso, ma poi gli diede una pacca sulla spalla, talmente forte da farlo piegare in avanti. “E bravo Riccardo! Finalmente hai capito come ci si comporta in questa città!”
Riccardo roteò gli occhi ma stette al gioco. Scese dall’auto, subito tallonato dall’amico, ed entrarono insieme nel pub. Si guardò intorno, cercando con lo sguardo la ragazza della sera prima. Roberto si tuffò subito nella mischia e sparì dalla sua vista. Per essere appena le otto di sera c’erano già parecchie persone. Si avvicinò al bancone continuando a guardarsi attorno, ma di lei nessuna traccia. Forse era il suo giorno libero.
Si sedette su uno sgabello e la voce del suo amico gli arrivò dritto alle orecchie:
“Te l’ho detto, ieri ti ho vista mentre lavoravi e mi sei piaciuta subito. Impossibile che tu non mi abbia notato.”
Scosse la testa, divertito. Roberto era seduto su uno sgabello del bancone, poco lontano da lui, con una birra in mano e gli occhi da pesce lesso, intento a chiacchierare con la barista. Ma questa continuava a servire altri clienti senza dare l’idea di ascoltarlo.
Aveva i capelli neri raccolti in una coda alta ma gli dava le spalle, quindi non riuscì a vederla in faccia o a sentire quello che gli aveva risposto... ma doveva essere lei per forza! Quando stette per voltarsi verso di lui un’altra barista gli si avvicinò:
“Cosa prendi di bello?”
Riccardo fu costretto a distogliere l’attenzione dalla mora e portarla alla barista castana che lo stava guardando.
“Ehm… uno spritz, grazie.”
La ragazza gli sorrise e si voltò per prepararglielo. Riccardo tornò subito a guardare la mora, ma sembrava svanita nel nulla. Preso un attimo dal panico si guardò attorno alla sua ricerca. Era lei, ne era certo, ma dove si era cacciata? La voce del suo amico lo distrasse dalla ricerca.
“Hai due occhi che sembri una fata… mi hai fatto un incantesimo.”
Gli venne quasi la nausea da questa freddura. Ma la voce femminile che gli rispose a tono lo fece sorridere:
“Mi dispiace davvero tanto deluderti, ma non esco mai con i clienti del posto dove lavoro.”
Seguì la direzione di quella voce finché non riuscì a scorgere due occhi verdi e luminosi che guardavano il suo amico con fare derisorio, esattamente come il tono di voce che aveva usato per rispondergli. I capelli raccolti, insieme ad alcuni ciuffi lasciati liberi di incorniciare il viso perfetto, mettevano in risalto ancor di più quei due smeraldi luminosi che ricordava benissimo. Portava una camicetta con i primi due bottoni aperti, che facevano intravedere il solco tra i seni, lasciandolo con la bocca asciutta. Cavolo se era bella!
Ma c’era un unico problema: il suo amico e collega sembrava averla presa di mira e sapeva che quando iniziava a corteggiare, per modo di dire, una ragazza, arrivava quasi allo stalking. Ne aveva fatte arrabbiare parecchie, alcune delle quali erano perfino giunte a denunciarlo ai carabinieri. Se solo avessero saputo che anche lui lo era chissà cosa avrebbero fatto.
Cavolo, non poteva permettere che ci provasse anche con lei.
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