Capitolo Sessantatré
Stava correndo sugli scogli dell'isola Magnisi, senza cadere o mettere il piede in fallo. Correva spensierata, ridendo di gioia. Era tornata bambina, felice come non era mai stata. Si sentiva leggera come una farfalla, una farfalla che volava da uno scoglio all'altro con fluidità. Ad un tratto si fermò su uno scoglio piatto e osservò il mare davanti a sé, limpido e profumato, che la circondava. Nel suo campo visivo entrò un viso conosciuto che le sorrideva. Sorrise anche lei a quegli occhi scuri e sentì un'emozione sconvolgerle le viscere.
"Ciao, Giancarlo."
Di colpo non era più una bambina, era la splendida ragazza di cui lui si era innamorato. Senza dire una parola le allungò una mano che lei afferrò, emozionata e timida. Con un passo si ritrovarono insieme sullo stesso scoglio, era talmente emozionata che non riusciva a guardarlo. Lui le alzò il mento con delicatezza e appoggiò le labbra sulle sue.
Solo che, non sembrava che la stesse baciando come si aspettava. Sembrava più come se la stesse leccando...
Sbatté le palpebre come un battito d'ali, aprì gli occhi e si ritrovò a fissare da vicinissimo il muso di Luke che le stava leccando prima il labbro, poi il naso, poi il mento.
"Pff... Luke... smettila..." Bofonchiò cercando di scansarlo, ancora mezza addormentata.
Il gatto finalmente si scansò e Selvaggia si mise a sedere nel letto. "Cos'è, hai così fame che hai dovuto svegliarmi? Eppure te li ho dati i croccantini, ieri sera!"
Luke si limitò a sedersi sulle sue gambe e a miagolare, rendendo noto a tutti il suo stato di affamato. Selvaggia sbuffò e si alzò da letto, costringendolo a saltare a terra, dove ne approfittò per camminarle tra i piedi e continuare a miagolare come un ossesso, facendola inciampare. Si calmò soltanto quando poté affondare il musetto nella sua ciotola ricolma di nuovi croccantini.
Selvaggia lo osservò per un attimo scuotendo la testa e si diresse in bagno. Guardandosi allo specchio si soffregò l'occhio per aprirlo, si accorse della matassa crespa che stava tornando a crearsi sulla sua testa e spalancò gli occhi, inorridita. Afferrò immediatamente la piastra e la attaccò alla presa di corrente, si lavò il viso e i denti, una volta calda prese la piastra e iniziò a lisciarsi i capelli.
Ultimamente li stava stressando troppo, doveva ammetterlo, era difficile farli stare perfettamente lisci quando per natura erano ricci e crespi, e purtroppo il risultato lo vedeva sul cuscino, trovandoci sempre dei capelli morti. Sospirò innervosita e finì di pettinarsi. Fece una colazione veloce e uscì di casa per fare compere, non prima di aver salutato il gatto con un bacio sulla testa.
La signora Rossi, la vicina che abitava nello stesso cortile, la vide uscire di casa e la saluto col solito sorriso tirato.
"Ehi, tesoro, si va a spasso?"
Selvaggia le sorrise in risposta, muovendo un braccio per salutarla senza fermarsi. "Sì, voglio comprare qualcosa di buono."
Se si fosse fermata anche solo un secondo, la signora Rossi non l'avrebbe più lasciata andare. Non era cattiva, ma era un po' impicciona e amava farsi gli affari degli altri, questo era il motivo principale per cui tentava di mantenerci una buona relazione a distanza.
La salutò per un'ultima volta, svoltò l'angolo e uscì dalla corte che comprendeva il suo appartamento e altri due. Oltre ai coniugi Rossi vi abitava un coppia di uomini con i quali non aveva stretto alcun rapporto, se non di buon vicinato. Si salutavano appena ma non avevano mai scambiato nessuna frase, nemmeno di circostanza. Ogni volta che li vedeva insieme Selvaggia aveva l'impressione che fossero una coppia di fatto, ma c'era sempre una donna che frequentava costantemente il loro appartamento, quindi non ne era sicura.
Comunque, non erano affari suoi da doversene interessare e scoprirlo.
Andò in una piazza vicina ed entrò nel supermercato. Tornò a casa, un'ora più tardi e Luke le andò incontro uscendo dalla porticina che Selvaggia gli aveva creato in fondo alla porta di casa per permettergli di entrare e uscire a suo piacimento.
Come sempre le si infilò tra i piedi, rischiando di farla cadere.
"Luke, togliti, mi fai cadere!" Lo sgridò, ma il gatto continuò imperterrito a strusciarsi ai suoi piedi e a miagolare. "Sembra che non mangi da una settimana!"
Appoggiò la spesa sul tavolo e per prima cosa diede da mangiare al gatto, che subito si tuffò sulla ciotola come se fosse più di un mese che non mangiava, e mise a posto il resto delle cose che aveva comprato. Aprì il frigorifero per posizionare i formaggi e lo yogurt al suo interno e ne estrasse quello vecchio. Ne controllò la data di scadenza ma non ricordandosi che giorno fosse si avvicinò al calendario per sincerarsene ma, appena vide la data odierna, il suo cuore si fermò e un senso di solitudine la pervase.
Non aveva notato che fosse l'anniversario della morte di Giancarlo.
Di colpo le immagini del suo funerale si materializzarono davanti ai suoi occhi, così come le stesse sensazioni di allora le tornarono nel cuore: rabbia, incredulità, tristezza, ma soprattutto un senso di abbandono che le impedì di respirare.
Rivide la bara chiusa, la signora Grazia non aveva voluto farglielo vedere un'ultima volta, alcuni proiettili lo avevano raggiunto anche in volto, sfregiandolo terribilmente. Sentì nuovamente le sue braccia avvolgerla per darle conforto, stretta contro il seno dell'unica donna che condivideva con lei l'amore per lo stesso uomo, anche se si trattava di un amore diverso. Le sembrò di sentire nuovamente la sua mano che le massaggiava la schiena, e di nuovo le sembrò difficile da credere che fosse stata lei la prima a confortarla, lei che stava soffrendo di un dolore nemmeno paragonabile al suo. Lei, che avrebbe dovuto essere la prima da consolare.
Sentì una lacrima rigarle una guancia, e la sensazione la ridestò dal salto nel passato che stava vivendo. Se l'asciugò con un gesto nervoso e abbassò lo sguardo sui suoi piedi, dove Luke, forse sentendo lo stato d'animo della padroncina, stava accucciato a guardarla.
Per fortuna che c'era lui!
Lo prese in braccio stringendolo al seno e si sedette sulla solita sedia dalla quale poteva guardare il cortile del suo appartamento. Il gatto si fece accarezzare, docile, riuscendo a calmare l'animo della sua padrona con le sue fusa.
Selvaggia rimase seduta su quella sedia per un tempo indecifrabile, continuando a ripensare a tutti i momenti salienti passati con Giancarlo e sentendosi lievemente in colpa per essersi inizialmente dimenticata dell'anniversario della sua morte. Era forse un segno che doveva andare avanti? In fondo era per questo che si era trasferita lì, a Milano, nella città più frenetica e più lontana dove poteva ricominciare e dimenticare. Ma dimenticare era un processo che non si poteva controllare.
A pranzo non mangiò niente e verso le sette di sera si preparò per andare al lavoro senza nemmeno cenare; le si era letteralmente chiuso lo stomaco.
Il pub era pieno di gente, ma non come avrebbe voluto. Rimpianse che fosse un semplice lunedì e non un sabato, o una domenica: durante il fine settimana c'era molta più gente ed era difficile lasciarsi distrarre dai propri problemi.
Si tuffò a capofitto nel servire i clienti, e correndo da una parte all'altra riuscì comunque a stancarsi abbastanza per non pensare alla sua vita a pezzi.
A metà serata un gran vociare attirò l'attenzione di tutti i presenti verso la porta d'ingresso, dove un gruppo di ragazzi numeroso e rumoroso fece irruzione, iniziando a cantare cori sguaiati, inventati sul momento, forse per festeggiare qualche ricorrenza o qualche vincita che li riguardava. Si sedettero a uno dei tavoli più capienti e iniziarono a ordinare birre a non finire, subissando la povera Selvaggia di continue richieste finché non furono tutti soddisfatti e con un boccale di birra o un bicchiere con qualcosa di alcolico in mano.
Era ancora intenta a servire tutti quei ragazzi che si accorse di due occhi azzurri che la stavano fissando insistentemente. Il ragazzo della sera prima, seduto solitario allo stesso tavolo, sorseggiava lentamente la sua birra mentre la guardava come se volesse mangiarla. Appena i loro occhi si incontrarono sentì una sorta di scossa elettrica nel petto e distolse lo sguardo, annichilita da quegli occhi profondi.
Da quant'è che era lì? E da quant'è che la stava spiando?
Grazie al gran daffare che il gruppo di ragazzi le stava dando, non si era nemmeno accorta del suo arrivo. Eppure la sera prima le era sembrato rispettoso e gentile, perché adesso la fissava come se fosse un pezzo di carne?
Tornò dietro al bancone, indispettita di non essersi accorta del suo arrivo, e Cristina, la sua collega, le si affiancò sorridendole.
"Hai visto quel tipo?" Indicò Riccardo con un gesto del mento. "È tutta la sera che ti fissa... hai fatto colpo, Selva."
"È soltanto un altro di quelli che crede di poter far colpo per chissà quale prerogativa eccezionale."
"Ah, già." Sbuffò la collega. "Tu sei quella allergica agli uomini."
Selvaggia non ribatté. Non ne aveva la forza. Non quella sera.
Anche se la mancata risposta di Selvaggia era strana, Cristina non ci badò più di tanto e posò il proprio sguardo famelico su Riccardo.
"Se a te non dispiace ci provo io. Hai visto che occhi ha?"
Selvaggia alzò entrambe le mani in segno di resa. "Fai pure, non ho niente in contrario."
Cristina le sorrise e, muovendo in modo sensuale il bacino, si avvicinò lentamente al tavolo dove era seduto il ragazzo. Selvaggia la vide fermarsi esattamente davanti a lui, ostruendogli la visuale, e si immaginò la sua espressione mentre alzava lo sguardo per guardare Cristina dal basso verso l'alto. Restò incuriosita a osservare la scena, immaginando le parole della collega mentre si chinava e si appoggiava al tavolo, mettendo in mostra il seno prosperoso che madre natura le aveva donato. Ma, chissà per quale motivo, dopo pochi istanti Cristina tornò indietro, contrariata. Montò sulla pedana dietro il bancone con un broncio da bambina bizzosa senza dirle niente. Il ragazzo era tornato a fissarla con la stessa espressione di prima. Alzò addirittura il bicchiere nella sua direzione, in un muto brindisi alla sua persona.
"Che cosa gli hai detto?"
Cristina afferrò un bicchiere e prese ad asciugarlo con stizza. "Niente. Non mi ha dato modo di aprire bocca. Ho fatto appena in tempo a salutarlo e ad appoggiarmi al suo tavolo che subito mi ha chiesto di te."
"Di me?" Selvaggia era stupita, anche se un pochino se lo aspettava.
Un briciolo di piacere si fece spazio in una piccola parte del suo petto, ma che subito scacciò via come una mosca irritante.
"Ha chiesto perché non ti sei avvicinata per servirlo neanche una volta, e se potevi portargli un'altra birra."
Selvaggia restò per un attimo basita, una piccolissima parte di sé le diceva di andare a servirlo, ma la parte maggiore della sua coscienza le diceva tutt'altra cosa. Non lo conosceva minimamente, non voleva dargli false speranze esaudendo i suoi desideri. Gli lanciò uno sguardo veloce e si allontanò nella direzione opposta, lasciando Cristina a balbettare una domanda che non ascoltò.
Quel ragazzo sembrava avere due facce, una gentile ed educata, l'altra sfacciata e viziata. Come gli era venuto in mente di entrare e pretendere di venire servito da lei? Come se fosse la sua cameriera personale!
Con queste domande in testa Selvaggia ebbe un moto di rabbia nei confronti di quel ragazzo. Normalmente sarebbe andata da lui a dirgliene quattro, con la sua solita faccia tosta, ma qualcosa che non seppe spiegarsi la frenò. Si disse che non voleva dargli soddisfazione alcuna e continuò a lavorare ignorandolo completamente.
A orario di chiusura il pub si era svuotato dei clienti, ma lui era sempre lì, a consumare l'ennesima birra che si era fatto portare, senza staccare gli occhi di dosso da lei.
"Cristina, puoi andargli a dire che dobbiamo chiudere?" Gli lanciò un'ultima occhiata e gli diede le spalle. "Ho paura che se lo faccio io poi non me lo scucio più di dosso."
La collega le sorrise brevemente. "D'accordo." Ma la sua espressione mutò subito in scocciata appena si allontanò.
Selvaggia non ebbe il coraggio di voltarsi finché Cristina non fosse tornata da lei assicurandole che quel tipo fosse uscito. Se la vide apparire davanti con un broncio scocciato.
"Mi devi un favore."
Selvaggia guardò alle sue spalle: la sala era completamente vuota e tirò un sospiro di sollievo.
"Grazie..."
"Ok... Muoviamoci che voglio andare a casa."
Le due si misero all'opera e pulirono in breve tempo tutta la sala. Quando ebbero finito si fermarono per una sigaretta e finalmente si prepararono per andarsene. Selvaggia si spalmò su una sedia nel retro del locale, suscitando l'ilarità della collega. La tensione della giornata l'aveva fatta stare sulle spine fino a quel momento, e ora che poté finalmente rilassarsi le sembrò di essere come un sacco di farina bucato. Non aveva mangiato niente tutta la giornata, aveva lavorato sodo e si sentiva debole.
Lei e Cristina uscirono insieme nel vicolo adiacente. Il personale di cucina se n'era andato prima di loro, soltanto il proprietario del pub era ancora dentro, intento a sistemare le ultime cose. Si incamminarono in silenzio lungo quel vialetto buio, puzzolente di piscio e spazzatura, trattenendo il respiro. Arrivate alla fine si salutarono dandosi appuntamento al giorno dopo e si divisero. Ma prima che Selvaggia potesse fare anche solo due passi verso casa, una voce maschile la bloccò:
"Come mai una ragazza così bella non permette a nessuno di avvicinarla?"
Si voltò spaventata, Riccardo era appoggiato contro il muro dietro di lei, che la fissava con lo stesso sorrisetto sexy con cui l'aveva guardata tutta la sera. La vista di quel ragazzo scaturì in lei emozioni contrastanti; sapere che fosse rimasto là fuori fino a quell'ora solo per attenderla le diede un pizzico di piacere, lo stesso che aveva provato quando si era resa conto che aveva rifiutato le avances di Cristina in suo favore, ma al tempo stesso ebbe come un vago senso di colpa. La ferita per la perdita di Giancarlo non era ancora del tutto rimarginata e provare piacere nel vedere che un ragazzo provava attrazione nei suoi riguardi le sembrava di tradire la sua memoria.
Non sapendo cosa rispondere lo osservò in silenzio.
Riccardo si staccò dal muro e camminò verso di lei. "Scusami, ti ho spaventata?"
Selvaggia osservò quegli occhi chiari, lievemente sorridenti ma fin troppo coinvolgenti, e dovette ammettere a sé stessa che erano davvero belli, anche alla luce gialla e artificiale dei lampioni.
"No... non mi hai spaventata." Deglutì.
"Ah, menomale." Sorrise lui. "Volevo chiederti se ti andava di fare due passi e chiacchierare—"
"Per cosa?" Lo interruppe. Anche se l'aspetto fisico di quel ragazzo le piaceva, istintivamente si sentì in pericolo dalla sua offerta.
Lui si bloccò sconcertato e sbatté le palpebre. "Te l'ho detto, per parlare."
"Di cosa dovremmo parlare?"
"Beh... mi piacerebbe conoscerti un po' di più."
Si avvicinò di un passo e istintivamente lei ne fece uno indietro.
"Non sono solita camminare con gli sconosciuti."
A quel passo indietro lui si bloccò di nuovo. "È solo un modo per conoscerci meglio."
Quella strana insistenza la indispettì, di colpo desiderò andarsene e allontanarsi da lui il più possibile.
"Scusa, ma non sono interessata." Si voltò e cominciò a camminare lungo il marciapiede.
"Aspetta!"
Senza volerlo Selvaggia si fermò ad attenderlo. Avrebbe voluto continuare a camminare ma quell'ordine perentorio riuscì a bloccarla. Restò in silenzio mentre lui le si avvicinava ancora di più.
In poche falcate la raggiunse e le accarezzò una guancia con le nocche. "Hai degli occhi bellissimi, Selvaggia."
Il cuore fece sentire una brevissima scossa, ma fu infastidita da quel contatto.
"Come sai il mio nome?"
Lui sorrise: "Me lo hai detto tu. Ieri."
Accidenti, se ne era dimenticata. Prese un grosso respiro e cercò di darsi un contegno, indurendo la postura.
"Grazie."
Non restò a dargli soddisfazione. Si voltò di nuovo e tornò a camminare.
All'improvviso sentì una mano afferrarla per un polso. Questo era davvero troppo! Si voltò nuovamente, pronta a manifestare tutta la sua contrarietà. Lo guardò mandando lampi dagli occhi ma ogni parola le morì in gola. Era stanca, triste e nervosa, le ci mancava solo uno che la costringesse a fare quello che non voleva, eppure qualcosa nel suo sguardo le impedí di esprimere la sua contrarietà.
Riccardo osservò quegli occhi adirati e lentamente abbassò lo sguardo sulla mano con la quale le teneva il polso. Lasciò la presa di scatto.
"Scusa... temo di aver bevuto un po' troppo, stasera."
Selvaggia si portò il polso al petto e, senza aggiungere altro, si voltò e riprese a camminare, lasciandolo lì da solo in mezzo al marciapiede deserto. Sentì il suo sguardo sulla schiena. La paura provata poco prima era scomparsa, lasciando il posto a una sensazione strana, una sensazione sconosciuta e particolare.
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