Capitolo Sessantasei
Selvaggia trovò un pacco di biscotti in uno sportello e in quel momento Riccardo rientrò in cucina. Appoggiò i biscotti al centro della tavola e alzò gli occhi su di lui.
“Quel tuo collega era venuto a prenderti?”
“Oh… no no. È solo un impiccione.”
“Ah.”
Calò un silenzio imbarazzato, Riccardo batté le mani per romperlo.
“Beh… direi che possiamo fare questa benedetta colazione adesso. Che ne dici?”
Selvaggia annuì, sorridendo debolmente, ed entrambi si sedettero a tavola. Mangiarono in silenzio, ognuno a gustarsi il proprio latte e la presenza dell’altro. Ogni tanto si guardavano, curiosi, timidi, incrociavano i loro sguardi imbarazzati per un secondo e tornavano subito a posarli sul loro cibo.
Si alzarono contemporaneamente per sparecchiare ma Riccardo la fermò, mettendole una mano sulla sua:
“Lascia fare a me, tu hai preparato la colazione e io sparecchio e pulisco. In fondo è casa mia.”
Selvaggia sentì come una scossa elettrica a quel contatto, ma cercò di non darlo a vedere.
“Va bene… molto democratico.”
Lui le sorrise e iniziò a darsi da fare. Infilò le tazze nel lavandino e iniziò a lavarle.
Selvaggia lo osservava in silenzio, studiando i gesti che compiva come pretesto per conoscerlo meglio. Anche per lei il suo aspetto l'attirava, aveva un fisico prestante, ma non gonfiato, si muoveva in modo naturale anche nel lavare i piatti, senza affettazione ma con gesti virili che la ipnotizzavano. Spalle ampie e mani forti erano le cose che più attiravano la sua attenzione e Riccardo soddisfaceva entrambi i requisiti. Oltre allo sguardo incredibilmente caldo e profondo.
Restò in silenzio per tutto il tempo, come lui. Nessuno dei due sapeva cosa dire o fare per rompere il ghiaccio che si era creato. Ma in fondo quel silenzio era piacevole. Lui era una discreta compagnia, in sua presenza sentiva di potersi rilassare. Strano, tutte le persone che aveva conosciuto da quando era arrivata in quella città non erano riuscite a farla sentire a suo agio.
Di colpo Riccardo si voltò: “Posso chiederti che programmi hai per oggi? Perché io sono libero e vorrei aiutarti, se me lo permetti.”
“Aiutarmi? Cosa intendi dire?”
La delusione era palpabile. Era sempre la stessa storia: tutti sapevano chi fosse e di cosa avesse bisogno senza conoscerla. Era stufa.
“Beh… dal tuo comportamento ho notato che sei una persona sola. Non ami legare con gli altri e ti piace stare per i fatti tuoi. Io credo che ci sia qualche problema che non riesci ad affrontare. Ho ragione?”
Ecco, in poche parole aveva rovinato tutto. Lo guardò arrabbiata, ma chi era, uno psicologo?
“Ti sbagli, non sono affatto come dici tu. Comunque, per oggi dovrei tornare a casa.” Guardò il suo orologio. “Avrei un po’ di cose da fare.”
Riccardo assunse un’espressione rammaricata. “Ah… mi dispiace. Posso accompagnarti?”
“Non mi resta che accettare, dato che non conosco questa zona della città e non posso tornare a casa a piedi.”
Riccardo sbatté le palpebre, confuso dal suo tono di voce astioso, ma annuì senza rispondere. Si ricordò di avere addosso ancora il pigiama.
“Se mi dai il tempo di vestirmi andiamo via.”
Scomparve per un attimo in camera da letto e quando tornò aveva un paio di jeans che sembravano slanciarlo ancora di più e una maglietta aderente che metteva in mostra i muscoli ben definiti. Era un tipo che si manteneva in forma, era decisamente fatto bene e lei dovette sforzarsi per distogliere lo sguardo da lui.
Scesero in strada in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Selvaggia era un po’ delusa, le era sembrato che con Riccardo potesse sentirsi sé stessa, che non avrebbe cercato di cambiarla e che la accettasse così com’era, invece aveva dimostrato di essere come tutti gli altri; ognuno di loro sapeva quello di cui lei aveva bisogno nella sua vita senza conoscerla, e ognuno era magicamente in grado di aiutarla, come se i suoi problemi fossero affari loro. Gli diede il suo indirizzo e restò seduta al posto del passeggero in silenzio, rammaricata.
Percorsero qualche metro e Riccardo fece sentire un sospiro di frustrazione. “Mi dispiace per prima, se sono stato inopportuno.” Le lanciò una breve occhiata.
In fin dei conti le aveva salvato la vita e l’aveva accolta a casa sua… forse non era poi così male. “No, non importa. Sono io che ho avuta una reazione esagerata.”
“Quindi sono perdonato?”
Il tono scherzoso con il quale le aveva risposto la lasciò stupita, non si aspettava che riuscisse ad alleggerire in modo così semplice una situazione così tesa. Le piacque.
“Sì, certo che sei perdonato.” Sorrise.
Il sorriso che le riservò lui la fece sciogliere, gli sorridevano anche gli occhi azzurri, e quando tornò a guidare in silenzio ne rimase perfino delusa. Giunti davanti al cancello che delimitava il cortile del suo appartamento non era più molto contenta di scendere dall’auto.
“Grazie del passaggio," bofonchiò con fatica.
“Di niente," lui chinò la testa per osservare il cancello. “Vivi qui da sola?”
“Sì…”
Si accorse subito di aver risposto senza pensarci. Questa, di solito, era una domanda a cui non voleva rispondere, ma con lui non sentì la necessità di proteggersi così tanto.
Riccardo le sorrise e annuì senza aggiungere niente.
Forse era veramente diverso, il fatto che non avesse fatto osservazioni sul suo vivere da sola le fece ben sperare di aver trovato finalmente un amico. Gli sorrise dolcemente e scese dall’auto, dirigendosi subito oltre quel cancello. Lì si voltò per salutarlo un'ultima volta e lui ricambiò il saluto accompagnandolo con un sorriso spontaneo, prima di mettere in moto e partire.
Si allontanò lungo la strada e quando sparì dietro la curva si voltò per andare in casa, assaporando l'aria umida del mattino. Subito sentì qualcosa di morbido toccarle i polpacci, Luke le si stava strusciando addosso. Il gatto la guardò e iniziò a miagolare, continuando a strusciarsi sui suoi pantaloni. Sorrise, divertita… era sempre affamato!
Lo prese in braccio e Luke soffregò il muso contro il suo mento, iniziando a fare le fusa.
“Sì, anch’io sono contenta di vederti.”
Nel breve tratto che la separava dalla propria porta sentì la signora Rossi che la salutò:
“Ehilà, Selvaggia. Chi era il tuo amico che ti ha accompagnata?”
La donna se ne stava seduta su una panchina del giardino, con in mano un libro come se fosse seduta lì da chissà quanto tempo. La ragazza sospirò mentalmente, si era dimenticata che le finestre della vicina davano proprio sulla strada, e che non fosse una persona molto riservata.
“Un amico.”
“Bel tipo.”
Le stava dando la sua approvazione? Selvaggia le sorrise tiratamente e si rifugiò in casa, chissà adesso come ci avrebbe ricamato sopra con le sue amiche. Meglio non pensarci.
Fece un passo nell’ingresso e mise a terra il gatto, prendendo subito una scatoletta e mettendogliela nella ciotola, dove lui si tuffò come se non esistesse un domani. Selvaggia rise mentre lo vedeva abbuffarsi.
“Piano, non te lo ruba nessuno!”
Divertita andò in cucina per prepararsi qualcosa da mangiare. Si diresse verso il frigo e lo spalancò, l’occhio le cadde sul calendario appeso lì vicino e ricordò che appena il giorno prima era stato l’anniversario della morte di Giancarlo. Un profondo senso di inquietudine la invase, si sentì in colpa per aver passato le ultime dodici ore senza pensare a lui, alimentando l'inquietudine. Rimase per un attimo senza respiro, nel dare così tanta corda a Riccardo sembrava quasi di tradire Giancarlo…
E faceva troppo male.
***
Ormai libero da ogni impegno, Riccardo si presentò in caserma con la divisa perfettamente inamidata, avvertendo i suoi superiori che non aveva più bisogno del suo giorno di permesso. Fortuna che almeno per questo erano elastici.
Entrò nell’ufficio dove svolgevano i normali compiti amministrativi e venne subito avvicinato da Roberto, col solito sorriso da ragazzone ingenuo, che gli posò una mano sulla spalla.
“Eccolo qui, Casanova! Come hai fatto ad accalappiare quella pollastrella? Io non ci sono riuscito minimamente!”
Certo, perché era davvero strano che una donna gli desse un due di picche.
“Non è una pollastrella di quelle che conosci tu, e non l’ho accalappiata!" Rispose stizzito. "Le ho dato ricovero per una notte perché era stata aggredita da un drogato che chissà cosa voleva farne ed era svenuta tra le mie braccia—”
“E ha dormito con te nel tuo letto?” Lo interruppe l’amico, dandogli di gomito.
“No!” Non lo sopportava quando faceva così. “A proposito, hai fatto analizzare le impronte sul coltello? Sono sicuro che quel tipo è già segnalato.”
“Sì… l’ho portato su all’ufficio dei RIS, ma dato che tu non c’eri ho detto di fare pure con calma.”
Riccardo sospirò mentalmente, chiedendosi perché avrebbe dovuto dire una cosa simile, come se la sua presenza fosse necessaria per analizzare un coltello. Adesso chissà quanto ci avrebbero messo!
Il momento di tornare a casa arrivò alla fine di un lentissimo pomeriggio. Riccardo salutò tutti velocemente e scappò in direzione della sua macchina, fremendo per rivederla. Guidò con cautela, pur cercando di metterci il meno tempo possibile, e parcheggiò subito al primo posto che trovò, scese ed entrò subito nel locale. Fu subito investito dalla musica e dal vociare delle persone presenti, si fermò un attimo per guardarsi intorno e cercarla con lo sguardo. Non voleva lasciar perdere un solo minuto con lei, doveva sapere tutto quello che la riguardava.
Si sentiva sotto un incantesimo.
Appena la vide dietro al bancone intenta a servire alcuni clienti, gli sembrò di poter di nuovo respirare. Fece un passo nella sua direzione ma una generosa pacca sulla spalla lo fece sobbalzare.
“Vecchio mio, ero sicuro di trovarti qui!”
Roberto gli strinse un gomito, continuando a dargli pacche di amicizia sulle spalle e a ridacchiare come uno stupido. Riccardo ebbe forte la sensazione di cadere da un dirupo, la presenza di Roberto, lì, rovinava tutti i suoi propositi per conquistare Selvaggia.
“Che ci fai, qui?”
“Oh… ti ho seguito!” sorrise con nonchalance. “Ti ho visto, anzi, ti abbiamo visto scappare via così velocemente che ci hai incuriosito, non è da te. Solo che nessuno è voluto venire con me, quindi mi tocca fare da spia, ma tanto sapevo che saresti corso qui.” Quel sorrisetto viscido gli diede ai nervi. "Allora, lei dov’è?”
Non volle dargli corda e si tolse il suo braccio di dosso. “Ma lei chi? Non dire scemenze!”
“Sì, certo, sei venuto qui solo per scolarti un paio di birre in solitudine.” Lo derise.
“E se anche fosse?”
“Ma non prendermi in giro!” Gli diede una leggera spinta. “Come se non ti conoscessi.”
“Tu credi di conoscermi, ma non mi conosci affatto.”
“Tu dici?” Roberto lo guardò risentito. “Sei scappato così velocemente che non ti sei nemmeno interessato delle risposte sulle analisi fatte al coltello che mi hai dato. Se non era per quella ragazza non vedo per quale motivo.”
"Non... Ho pensato che fosse ancora presto per saperlo," improvvisò. "Ma non ha nessuna attinenza col fatto che io sia qui!"
"Devo pensare che all'improvviso ti sei dato all'alcool?"
Riccardo sospirò, non aveva voglia di giocare. “Lo sai perché sono qui,” si arrese.
“Lo sapevo, è per la mora, vero?” Gli occhi gli si illuminarono nuovamente. Riccardo roteò i suoi e annuì, stancamente. “E bravo Riccardino!”
“Senti, lei non è come pensi." Cercò di convincerlo con le buone. "È un tipo particolare, non voglio che si senta braccata in qualche modo.”
“E con questo cosa vorresti dire?”
E adesso cosa avrebbe dovuto rispondergli? “Credo che… dovresti stargli lontano.”
L'espressione offesa dell'altro lo esasperò. “E perché?”
“Perché te l’ho detto, è un tipo particolare. Non ama le frivolezze, e poi…” lasciò che il discorso cadesse.
Che si offendesse pure, a quel punto preferì ferirlo che perdere l'opportunità di conoscere Selvaggia.
Fortunatamente Roberto sembrò comprensivo. “Hai paura che il mio modo di fare possa farla scappare anche da te?”
Gli restituì uno sguardo significativo, al quale sbuffò, proprio come un ragazzino dopo che il padre gli ha impedito di fare qualcosa a cui teneva.
“La polizia ha arrestato quel tipo.” Disse controvoglia. “Ma non è schedato, quindi passate le ventiquattro ore lo rilasceranno. Sai come vanno queste cose.”
Riccardo rimase deluso, ma provava per l’amico un certo sentimento di riconoscenza. “Grazie.” Gli assestò una pacca di congedo e si allontanò da lui, raggiungendo la ragazza ancora dietro il bancone.
Roberto lo osservò allontanarsi e si rassegnò a sedersi in solitudine a un altro tavolo.
Una volta seduto di fronte a Selvaggia, Riccardo la salutò con calore, convinto che lei gli avrebbe risposto in egual misura. La ragazza lo gratificò con un’occhiata fredda e, come se fosse un normale cliente, gli si avvicinò senza nessun sorriso o gesto particolare.
“Ciao. Cosa ti do?”
Riccardo ne rimase talmente male che la fissò senza rispondere.
Sbatté le palpebre. “È successo qualcosa da quando ti ho accompagnata a casa?”
“Che cosa vuoi dire?”
Sembrava non sapere minimamente di cosa stesse parlando. Lo stava prendendo in giro?
“Credevo che mi avresti accolto in un modo diverso, dopo ieri notte.”
“Perché, cosa è successo ieri notte?”
Riccardo fu completamente spaesato. “Io credevo che—”
“Senti, sto lavorando,” lo interruppe lei, “qui tu, per me, sei solo un cliente. Se vuoi qualcosa da bere, dimmelo e ti servirò qualsiasi cosa, oltre a questo non ho altro da dirti.”
Riccardo la fissò in silenzio per alcuni istanti, il suo tono di voce lo aveva ferito: graffiante e freddo, senza alcuna sfumatura di gratitudine. Di colpo si alzò dallo sgabello e se ne andò senza salutare, lasciandola a guardarlo allontanarsi in solitudine.
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