Capitolo Sessantaquattro

Riccardo la osservò per un bel pezzo camminare da sola sotto i lampioni, allontanandosi da lui, e si pentì di quello che aveva fatto. Gli aveva detto chiaro e tondo che non le interessava la sua compagnia, non avrebbe dovuto costringerla… Aveva decisamente bevuto più del lecito quella sera. Non ci era abituato e non seppe frenarsi in tempo. Si stropicciò la faccia, vergognandosi di sé stesso, e decise di tornarsene a casa.

Non sapeva cosa pensare, forse avrebbe fatto bene a rispettare il suo volere e lasciarla perdere, ma al tempo stesso non voleva mandare all'aria quella piccola scintilla che aveva intravisto in quegli occhi verdi. Sentiva di avere una possibilità.

Ma di quale possibilità stava parlando, non la conosceva neanche! Sembrava non riuscire più a ragionare. Tutta colpa di quelle birre che si era fatto fuori!

Forse era questo quello che doveva fare: conoscerla sotto un lato puramente amichevole e successivamente cercare di rendere più profondo il loro rapporto. Sempre che lei avesse accettato di diventargli amica dopo quella sera.

Si accorse di essere ancora un po’ brillo e, pur sapendo di non poter guidare, decise lo stesso di gironzolare un po’ per la città in macchina per farsi passare la sbronza più in fretta e tornare a casa. Alla fine non era più così ubriaco da non poter guidare, si disse… gli sarebbero bastati due giri nei dintorni per schiarirsi le idee.

Montò in macchina e si allontanò nella direzione opposta a quella che aveva preso lei, con l’inconscia intenzione di allontanarsi il più possibile, ma non fece i conti con il poco traffico delle ore notturne feriali e in poco tempo si ritrovo nuovamente nei paraggi del pub.

Senza rendersene conto iniziò cercarla con lo sguardo, osservando con attenzione ogni mora che camminava da sola sul marciapiede. La sua attenzione venne attratta da un piccolo trambusto, dove un paio di tipi poco raccomandabili stavano molestando una ragazza che cercava di difendersi alzando la voce e agitando le braccia.

Accostò poco distante e afferrò il cellulare per chiamare una pattuglia, ma si accorse che la ragazza in questione altri non era che Selvaggia, e si fece prendere dalla fretta. Abbandonò il cellulare nel cruscotto, dimenticandosi di chiamare la pattuglia, e scese dall’auto per correre in quella direzione. Appena fu abbastanza vicino riconobbe il ragazzo che la stava importunando, era lo stesso che  la stava importunando la prima volta, con l'amico ancora una volta spettatore divertito e passivo.

Una rabbia sorda gli salì alla testa.

Il drogato dai lunghi capelli biondi le aveva posato la mano destra sul seno, e con il braccio sinistro la teneva stretta attorno alla vita, accarezzandola sul fianco con le dita libere.

“Ti ho già detto che stavolta non mi scappi, vero?” Biascicò, sempre con la voce strascicata da eroinomane.

L’espressione della ragazza era di puro disgusto, si teneva con il busto il più lontano possibile da lui, allontanandolo con le braccia, il viso girato dalla parte opposta.

“Questa volta non c’è nessuno ad aiutarti—”

“Solo perché non ti sei guardato bene attorno.” Ringhiò Riccardo.

Alle sue parole, il tipo si voltò di scatto verso di lui, senza però mollare la presa.

“Ancora tu?!”

Aveva i capelli incollati al viso e la barba incolta di qualche giorno, nemmeno la volta scorsa aveva un aspetto così trascurato. Il compare, che era rimasto in disparte a gustarsi la scena in silenzio, appena si accorse di Riccardo si guardò attorno, come a cercare una via di fuga.

“I miei amici stanno arrivando, se è questo che ti stai chiedendo," lo avvisò, beffardo. “Ti conviene svignartela prima che arrivino.”

Il ragazzo, che era a vista d’occhio molto più giovane dell’altro, guardò l’amico con uno sguardo di scuse e scappò via senza tanti complimenti.

Il biondo assunse una faccia schifata, sputò a terra e tornò a rivolgere la sua attenzione a Selvaggia, dimenticandosi della presenza di Riccardo. La strinse ancor di più, palpando con più vigore il seno, fino a farle male.

“Mi hai sentito o sei sordo?" Urlò Riccardo. "Devi lasciarla andare!”

Era diventato Carabiniere proprio per intervenire in casi come quello e non si sarebbe mai perdonato se fosse successo qualcosa a quella ragazza.

“Non sono sordo!” Ringhiò il tipo, strattonando Selvaggia per farla accostare più a sé. “Ma questa ragazza mi deve un favore, mi è rimasta voglia di lei dalla volta scorsa e non mi lascio scappare questa occasione.”

Tuffò il viso nei suoi capelli e tirò su con il naso, assaporando il suo odore, la spinse con entrambe le mani verso il suo bacino, schiacciandole le natiche con gesti sconci e provocanti.

Riccardo si portò una mano dietro la cintura, per afferrare la pistola di ordinanza che di solito teneva attaccata ai pantaloni, ma si rese conto di non averla addosso. Purtroppo se l’era tolta quando aveva deciso di passare la serata nel pub e adesso rimpiangeva di averla lasciata in macchina.

“Ho avvertito il tuo compare che i miei amici saranno qui a momenti," bluffò. "Sarà meglio che segui il suo esempio e te ne vai se non vuoi passare un brutto quarto d’ora.”

Sapeva che in realtà non stava arrivando proprio nessuno. Appena aveva visto chi era la ragazza il pensiero di chiamare una pattuglia era passato in secondo piano pur di correre ad aiutarla. Stava facendo un errore dopo l’altro. Se si fosse saputo in caserma gli avrebbe tirato le orecchie. Ma ormai era in ballo e non poteva fermarsi, sperò solo che la fortuna girasse dalla sua parte.

Il biondo, in evidente stato confusionale sotto gli effetti di chissà quale sostanza, prese a ballare in mezzo alla strada tenendosi Selvaggia attaccata addosso, canticchiando una canzone stonata mentre lei cercava invano di liberarsi.

“Cavolo se mi stai facendo attizzare!”

Il divincolarsi della ragazza ottenne il solo risultato di farla stringere ancora di più addosso a lui.

“Ora basta, lasciala subito andare!” Urlò di nuovo Riccardo, ormai nauseato dal modo in cui la trattava.

Si decise a intervenire fisicamente, ma appena fece due passi verso di loro nella mano destra del drogato apparve un serramanico.

“Cosa intendi fare, eh? Secondo me non sta arrivando proprio nessuno… secondo me sei solo un gran bugiardo.”

Gli puntò contro la piccola lama affilata e, una volta accertatosi che si fosse fermato, la portò al viso di Selvaggia, che emise un grido strozzato di paura.

“Se non vuoi che le succeda niente è meglio che te ne vada.”

Riccardo restò immobile. Se avesse deciso di tuffarsi addosso a lui, avrebbe rischiato che Selvaggia venisse ferita, o qualcosa di peggio, ma non poteva andarsene e lasciarla alla mercé di quello squilibrato.

“Aspetta, aspetta!” Alzò i palmi per distrarlo. “Una pattuglia sarà qui a momenti, non ti conviene peggiorare la tua situazione.”

“Stai zitto! Sei solo un gran bugiardo!”

Urlò il balordo preso da l’ira, e nel farlo, ferì Selvaggia a una guancia, lasciandole un graffio non troppo profondo ma abbastanza evidente.

Lei urlò di dolore e iniziò a piangere, un po’ per lo spavento un po’ per la rassegnazione. Ma, come una manna dal cielo, in lontananza iniziarono a sentirsi delle sirene che si stavano avvicinando.

Il drogato si guardò attorno, di colpo impaurito. Rivolse uno sguardo schifato alla ragazza e per ripicca la schiaffeggiò con brutalità, facendole perdere l'equilibrio. Subito scappò via, e il coltello gli cadde di mano, ma non se ne accorse.

Lo schiaffo che Selvaggia ricevette fu abbastanza forte da farle sbattere la testa contro lo spigolo di un mattone che delimitava un'aiuola, facendole perdere i sensi.

Riccardo accorse per soccorrerla, inginocchiandosi per alzarla da terra e farle appoggiare la testa contro le sue gambe. In quel momento una macchina della polizia si fermò lì davanti con una brusca frenata. Dalla volante scesero due poliziotti che intimarono a Riccardo di non muoversi, puntandogli una pistola addosso.

Alzando una mano per non farsi sparare, si presentò: “Sono il sottotenente Riccardo Felici dell’arma dei Carabinieri. Sono intervenuto perché ho assistito a un’aggressione. I miei documenti sono nella tasca interna della giacca.”

Uno dei due poliziotti avanzò verso di lui continuando a puntargli l’arma addosso.

“Se permetti, prima controlliamo.”

Con circospezione si chinò per estrarre il portafogli dalla tasca che gli aveva indicato. Continuando a puntargli l'arma addosso fece un passo indietro e con una mano sola lo aprì e guardò tra i documenti. Appena notò il distintivo ripose l’arma e avvisò al collega di fare altrettanto.

“Scusaci, ma la prudenza non è mai troppa.”

“Sì, capisco, ma intanto il colpevole è scappato.” Sbuffò riprendendosi il portafogli. “È un tipo coi capelli biondi e lunghi e vestito in malo modo.”

“Da che parte è andato?”

“Di là!” indicò alla sua sinistra.

Il poliziotto tornò verso l’auto e indicò Selvaggia. “Ci pensi tu a lei?”

“Sì, tranquilli… andate!”

I due salirono in macchina e si allontanarono a sirene spiegate. Riccardo scosse la testa, convinto che non sarebbero mai riusciti ad acchiapparlo. Guardò la ragazza che aveva tra le braccia più attentamente, aveva un brutto graffio sulla guancia sinistra, dove quel balordo l’aveva ferita, e si stava cominciando a notare un livido vicino all’orecchio destro, dove aveva picchiato contro l'aiuola. Lo osservò meglio alla luce di un lampione e fortunatamente constatò che non era niente di troppo serio, anche se il dolore doveva essere stato abbastanza forte per farle perdere i sensi.

La alzò di peso da terra e la portò  nella sua macchina. Controllò nella sua borsetta un documento che riportasse il suo indirizzo, ma nella carta d'identità vi era riportato un indirizzo della Sicilia, e non aveva con sé nessuna patente. Non sapendo dove abitasse guidò fino al proprio appartamento, al secondo piano di una palazzina poco lontano dalla caserma. Non era un granché ma avrebbe potuto farla riposare nel suo letto, finché non avesse ripreso i sensi.

Parcheggiò sotto il suo portone, recuperò la pistola dal cruscotto e raccolse nuovamente Selvaggia tra le braccia, ancora priva di sensi. Era leggera, profumata… non era affatto pesante da trasportare.

Varcò la porta del suo appartamento minuscolo e la trasportò subito nel suo letto, togliendole le scarpe e disinfettandole il taglio sulla guancia. Anche alla luce dell’abatjour constatò che stava già iniziando a cicatrizzarsi e il livido vicino all’orecchio non era troppo grave. Non si seppe spiegare questa duratura perdita di coscienza, ma forse soffriva di qualche malattia particolare di cui non sapeva niente… in fondo non la conosceva minimamente.

La coprì con una leggera coperta e se ne andò in soggiorno, estraendo dalla tasca il serramanico che il balordo aveva perso nella fuga. Lo mise in una busta di carta e lo lasciò su di un tavolino vicino all’entrata, con l’intenzione di portarlo ai RIS per rilevare le impronte e vedere se quel bastardo fosse schedato.

Tornò con cautela in camera da letto, per controllare che la sua ospite non si fosse svegliata, ma una volta aperta la porta era ancora priva di sensi nel suo letto e si imbambolò a fissarla per alcuni secondi. Si chiese se non avesse dovuto portarla in pronto soccorso, ma respirava normalmente, sembrava che stesse dormendo invece che fosse svenuta.

Si riempì la vista della sua bellezza per diversi secondi. I capelli neri e lunghi incorniciavano un viso dall’ovale perfetto, aveva un naso diritto e la pelle del viso era senza imperfezione, se non una leggera spruzzata di lentiggini che la rendevano ancora più attraente. La bocca era carnosa, rosea, mentre le lunghe ciglia nere, chiuse su quel prato rosa, sembravano due mezze lune che gli sorridevano. Era davvero bellissima!

Non seppe cosa pensare ma decise di non svegliarla e aspettare che si svegliasse da sola. Almeno per il momento.

In silenzio, estrasse dall’armadio un cuscino e una coperta, le lanciò un’altra occhiata preoccupata e se ne andò a malincuore in salotto. Osservò il divano con rassegnazione, non era certo molto comodo, ma almeno avrebbe dormito sul morbido.

Abbandonò la coperta tra le pieghe di quel divano e si recò in bagno. Non sapeva se fosse il caso di chiamare un medico o no, ma se non si fosse svegliata in breve tempo si sarebbe preoccupato davvero. Si rinfrescò al lavandino e, dopo essersi liberato la vescica, tirò lo sciacquone e tornò in salotto...

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