Capitolo Sessanta
Milano, circa un anno dopo.
“Vorrei fare finalmente un brindisi al mio amico e collega, Riccardo,” biascicò il ragazzo biondo palesemente ubriaco, alzandosi in piedi.
Alzò il braccio con il cocktail, attirando l'attenzione di tutti i ragazzi seduti al suo tavolo al centro del locale gremito di gente:
“Per essere diventato il più bravo sottotenente dell’arma dei Carabinieri in cui anch’io presto servizio…” improvvisò, gesticolando e biascicando in direzione di Riccardo, alla sua sinistra.
Riccardo si alzò in piedi, sorridendo divertito e imbarazzato, cercando di togliergli il bicchiere di mano.
“Ok, direi che lo abbiamo capito tutti, anch’io ti voglio bene. Perché non torniamo a casa e ce ne andiamo a nanna?”
L'altro lo guardò con sguardo vago, per poi accorgersi che gli stava togliendo il cocktail di mano.
“Guarda che non l’ho ancora finito!” sbraitò, scostandolo velocemente da lui e versandone un po’ addosso al collega seduto alla sua destra.
Quest’ultimo, anch’egli allegro per via dell’alcool ma ancora abbastanza in sé, rimase un attimo infastidito dal liquido che l’amico gli aveva versato addosso, ma sorrise.
“Dai, Benedetti, dai retta a Felici, credo che tu ne abbia abbastanza per stasera.”
“Stai scherzando, ho appena cominciato!” Ribatté il biondo, infastidito che gli dicessero cosa dovesse fare.
Riccardo Felici riuscì a togliergli il bicchiere di mano e lo agguantò per un braccio.
“Dai, Roberto, si è fatta una certa ora e domattina dobbiamo essere in caserma presto, pensa a cosa dirà il tenente Di Giorgio se arrivi in ritardo.”
Roberto corrugò la fronte e guardò l’orologio al polso, senza vederlo. “Cazzo, è tardissimo, devo andare a casa!”
“Bravo, vedi che lo sai!”
Riccardo lo tenne per un braccio cercando di allontanarlo dal tavolo, ma dopo appena due passi Roberto si voltò nuovamente verso gli altri ancora seduti.
“Ragazzi, è giunta l’ora di ritirarsi ognuno nelle proprie brande! Buonanotte!”
Sembrò che stesse facendo un discorso dal pulpito e un coro di risate e di bicchieri alzati lo salutò. Lui afferrò un altro bicchiere dal tavolo, senza sapere di chi fosse, e lo trangugiò tutto d’un sorso. Dopo di ché si asciugò la bocca col dorso della mano e assunse un’espressione schifata:
“Ma è acqua!”
Gli altri scoppiarono a ridere di gusto. Quello alla sua destra si alzò a sua volta dal tavolo.
“È scattata l’ora x anche per me. Vengo anch’io, Riccardo, così ti aiuto a riportarlo a casa sano e salvo.”
Salutò in modo vivace il resto dei ragazzi che rimasero seduti e si avvicinò ai due che se ne stavano andando.
“Bravo, grazie…" Riccardo afferrò meglio il braccio dell'amico." Ho paura che Roberto stasera abbia proprio esagerato.”
Fecero per dirigersi verso l'uscita ma appena fece un passo, Roberto barcollò vistosamente, se non fosse stato per i due che lo sorressero sarebbe sicuramente caduto.
“Sì, sono d’accordo con te.” Mirko afferrò il braccio dell’amico ubriaco e se lo mise sulle spalle.
Roberto, che finalmente si stava rendendo conto di dover camminare per poter uscire da lì, si eresse in tutta la sua altezza e guardò i suoi due amici.
“Ehi, so camminare da solo da quando avevo dieci mesi!”
“Sì, lo sappiamo, ma ci piace camminare così.”
Riccardo non diede segno di volerlo lasciare andare e, insieme all'altro, riuscirono a trasportarlo fuori dal pub.
Roberto fece per ribattere ma si dimenticò di quello che voleva dire, invece di parlare scoppiò a ridere.
“E tu…" Sputacchiò in faccia a Mirko. "Che fine ha fatto quella sventola con cui sei uscito l’ultima volta?”
“Ah… lascia perdere, amico, non è il caso di parlarne.”
“Ahahaha,” ridacchiò Roberto, “Di’ la verità, l’hai fatta scappare, anche questa…”
Mirko non raccolse la provocazione e guidò gli altri due verso la sua macchina. “Riccardo, aiutami a caricarlo in macchina, così forse ci risparmia le sue stronzate.”
Roberto venne poco gentilmente fatto sedere sul sedile anteriore della Matiz, appoggiò la testa al poggiatesta e chiuse gli occhi, dopo pochi secondi un debole russare uscì dalle sue labbra.
“Non ci posso credere!” Riccardo sbuffò. “E quasi non voleva andarsene dal locale!”
“Dovrebbe pagarci per averlo aiutato, quando è ubriaco è insopportabile.”
“E quando è sobrio invece sì?" Riccardo fece sentire una risatina esasperata. "Già… Che faccio, ti seguo fino a casa sua con la mia macchina?”
“No, non ti preoccupare. Non è certo la prima volta che lo riporto a casa ubriaco.”
“Come vuoi… ma per me non è un problema.”
“Ma no, non ti preoccupare. Pensa a festeggiare la tua promozione e basta, a lui ci penso io.” Mirko gli diede una pacca sulla spalla. “Mi chiedo quando mai troverà una brava ragazza andando avanti di questo passo.”
“Mi domando più che altro cosa succede se questo suo vizio si venisse a sapere sul lavoro.”
Mirko sospirò e fece il giro della macchina. “Che vuoi che ti dica, a volte sembra che il nostro superiore non voglia vedere solo perché è il nipote del comandante.”
Riccardo preferì non ribattere a questa affermazione. Per quanto fosse amico di Roberto, sapeva che era entrato nel corpo dei Carabinieri soprattutto grazie all’aiuto dello zio, comandante del reparto in cui lui stesso prestava servizio… anche se non era un bravo carabiniere, nessuno osava mettersi contro il comandante Benedetti.
Salutò Mirko che salì in macchina e si allontanò con Roberto a bordo, il quale sbatté la testa contro il finestrino, o molto più probabilmente gli cadde mentre ronfava sul sedile del passeggero. Si voltò verso l’entrata del locale, indeciso se tornare dentro o andarsene a casa. Sinceramente aveva poca voglia di festeggiare ancora; era stata una giornata intensa, pesante, a ventisei anni era diventato sottotenente e, dopo la cena con i genitori, aveva dovuto correre per festeggiare con i colleghi, altrimenti non glielo avrebbero perdonato se avesse dato loro buca, perciò non vedeva l’ora di rilassarsi un po’.
I colleghi lo prendevano spesso in giro per questa sua indole pantofolaia, lo chiamavano vecchietto; quando c’era una festa o una serata di divertimento era sempre il primo ad andarsene e quello che non beveva mai.
Ma che ne sapevano loro?
Da quando la sua storia con Loredana era finita era come se avesse perso interesse per ogni cosa, solo il lavoro lo manteneva vivo. Dopo più di due anni lei se n’era andata, così, all'improvviso, adducendo come scusa che il lavoro di Carabiniere gli portava via troppo tempo e che non voleva passare la vita ad aver paura che gli succedesse qualcosa mentre era in servizio. Balle! La verità era che non capiva quanto il lavoro per lui fosse una missione, una vocazione.
Ma da una parte gli aveva fatto un favore a lasciarlo, ultimamente non faceva altro che fargli pesare quanto sembrasse più fedele all’arma che a lei, e forse aveva anche ragione.
Camminò distrattamente verso l’entrata del locale, dove alcuni ragazzi ciondolavano a fumare sigarette e a bere da delle bottiglie di birra attorno ai tavolini di legno. Si avvicinò svogliatamente alla sua auto parcheggiata poco più avanti e l’occhio gli cadde sulla macchina di Roberto, parcheggiata dall’altra parte della strada. Sicuramente l’indomani gli avrebbe chiesto di accompagnarlo per venire a riprendersela, come se lui fosse il suo autista personale. Già al solo pensiero gli venne la nausea. Si soffermò un’ultima volta per decidere se andarsene o tornare dentro, ma per lui l’atmosfera all’interno del locale non rappresentava nessuna attrattiva.
Ma una voce femminile e irritata lo attrasse eccome!
“Ho detto che non mi interessa la tua compagnia, mi hai capita!”
Uno dei ragazzi che ciondolavano con le birre di fronte all’entrata del pub stava importunando una ragazza con dei lunghi capelli neri. Un ragazzo coi capelli lunghi e una giacchetta di jeans si avvicinò a lei e l'afferrò per un braccio, mentre lei cercava di divincolarsi.
“Andiamo, non hai paura a tornare a casa da sola? hai bisogno di una guardia del corpo.”
“Tieni giù quelle mani, ti ho detto che non ho bisogno di niente!” Gridò lei, ancora più infastidita.
Un altro paio di ragazzi stava assistendo alla scena in disparte, ma senza intervenire. Tifavano per l’amico ignorando le proteste della ragazza di essere lasciata in pace.
Il molestatore tolse la sigaretta dalle mani della ragazza e se la mise tra le labbra.
“Wow, Marlboro Rosse, ti tratti bene…”
La ragazza ne approfittò per svignarsela, ma il ragazzo l'afferrò per un braccio per tirarla contro di sé in modo che i loro corpi si accostassero l’uno all’altro. La avvolse con l’altro braccio, tenendola stretta a lui mentre lei cercava di spingere con le mani contro il suo petto.
“Lasciami!”
“Andiamo… a me servirebbe proprio un po’ di dolce compagnia, stasera…”
“Di’ un po’, ma sei sordo o cosa?” Riccardo non riuscì più a guardare senza fare niente e si avvicinò cercando di aiutare la ragazza. “Ha detto che vuole essere lasciata in pace, perché continui a importunarla?”
Il tipo si fermò a osservare Riccardo con ancora la sigaretta tra le labbra, continuando a tenerla stretta addosso al suo petto. “Ehi, ma tu che vuoi? Fatti i cazzi tuoi.”
“Solo dopo che avrai lasciato andare la ragazza.”
Il tipo si voltò verso di lei, aspirò una grossa boccata dalla sigaretta e le buttò addosso tutto il fumo. La ragazza scostò il viso quanto poté, disgustata dal gesto e dal puzzo di birra che il tipo emanava.
“Mi dispiace, amico, ma non mi conviene fare quello che dici.”
I suoi due compari, che fino a quel momento erano rimasti in disparte, avanzarono sghignazzando, ma uno dei due riconobbe Riccardo e si bloccò di colpo. Riccardo gli restituì uno sguardo accondiscendente, anche lui lo aveva riconosciuto; lo aveva fermato appena due giorni prima per spaccio di droga in piazza Sempione, lo aveva portato in caserma trattenendolo per un paio d’ore, per poi rilasciarlo perché aveva poche dosi di droga addosso a sé, anche se quel poco glielo aveva confiscato. Non aveva passato due ore piacevoli comunque, per questo la faccia di Riccardo gli era rimasta impressa.
Ricordando l’accaduto, il tipo guardò l’amico che teneva ferma la ragazza e gli fece cenno di lasciar perdere. Subito quest’ultimo cambiò espressione e tornò a guardare Riccardo… Con un respiro di rassegnazione mollò la presa dalla ragazza, spingendola con disprezzo lontano da lui, e per ribadire il concetto, buttò la sigaretta per terra e la spense con un piede.
“Ho cambiato idea, posso trovare di meglio altrove.”
Sputò a terra e si allontanò da lei.
Appena fu abbastanza lontano Riccardo si avvicinò alla ragazza.
“Stai bene?”
Era visibilmente scossa, ma sembrò riprendersi subito, come se non volesse il suo aiuto.
“Sì, grazie.” Si sistemò i vestiti sgualciti e gli rivolse un accenno di sorriso.
Riccardo rimase letteralmente folgorato da due iridi verdi e luminose, che lo fissarono intensamente per alcuni interminabili secondi. Gli sembrò di precipitare. Erano gli occhi più belli che avesse mai visto.
Lei distolse lo sguardo e lui ebbe l’impressione che qualcuno lo avesse appena risvegliato da una seduta di ipnosi, schioccandogli le dita davanti al viso. Sbatté le palpebre e la guardò imbambolato.
“Se vuoi posso accompagnarti fino a casa… o fino a dove stavi andando.”
Ok, non era in servizio, ma in quel momento gli venne naturale offrire il suo aiuto… fu più forte di lui. La osservò abbassare lo sguardo, come se fosse imbarazzata da qualcosa. Era buio, ma giurò di avergli visto del rossore sulle guance.
“No… grazie, sono abituata a questi importuni, succedono più o meno tutte le sere.”
“Tutte le sere?”
“Sì, ogni volta che esco dal lavoro.” La ragazza indicò il vicolo buio che costeggiava il pub. “Ho appena finito il mio turno, sono una cameriera del pub…”
Riccardo sembrò cadere dalle nuvole. “Ero lì dentro con degli amici, come mai non ti ho vista?”
Lei lo fissò un po’ incredula. “Ma hai visto quanta gente c’è, stasera?”
Riccardo strinse le labbra, mortificato. “Hai ragione…”
La ragazza gli rivolse un timido sorriso. “Beh… comunque ti ringrazio.”
Si voltò e si allontanò lungo il marciapiede, sotto gli occhi estasiati di Riccardo.
“Ehm... sei sicura che non vuoi un passaggio?”
Lei si voltò senza smettere di camminare e gli sorrise, divertita. “Sì, ti ringrazio!” Si voltò di nuovo e alzo un braccio per salutarlo.
Riccardo la guardò allontanarsi imbambolato dalla sua figura, osservò quel fondoschiena fasciato nei jeans che sembrava parlare da solo, sfiorato da quei capelli neri e lisci come se volessero catapultare ogni malcapitato sguardo proprio lì.
Ma quello che lo aveva colpito veramente erano stati i suoi occhi...
Era strano ma era pronto a giurare che quegli occhi lui li conosceva, li aveva già visti, ma in quel momento era completamente incapace di ricordarsi quando o dove. L’unica cosa che sapeva era che erano incredibilmente belli.
Spazio autrice:
Un nuovo capitolo, sia del libro che della vita di Selvaggia, è appena iniziato. Nuova casa, nuova città... nuova vita! Ma il ricordo di Giancarlo sarà così facile da annullare?
Però adesso c'è Riccardo...
Chi si ricorda di lui? Chi mi sa dire quando è apparso per la prima volta? Chi se lo ricorda?
E secondo voi riuscirà a prendere il posto di Giancarlo?
Baci!
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