Capitolo Quindici
Il maresciallo Falsina uscì dalla stanza degli interrogatori con un profondo sentimento di impotenza. Le aveva provate tutte per farla parlare, ma non era riuscito a cavare un ragno dal buco. "È talmente sotto shock che non riesce letteralmente a emettere un suono, sta muta, ferma, immobile... anche con te ha fatto la stessa scena?" chiese al suo subalterno Felici.
"No, con me qualcosa è riuscita a dire..."
"Ah sì? E cosa?"
Riccardo rimase ghiacciato da questa domanda... perché la risposta avrebbe significato una cosa sola e avrebbe peggiorato la situazione della ragazzina. "Mi ha solo detto che non voleva sparare a suo padre..."
L'espressione del suo superiore fu la conferma che il suo non era solo un sospetto. In un certo senso, con questa affermazione, Selvaggia aveva confessato di essere la responsabile della morte dell'uomo.
Grazie ai giornalisti che erano riusciti a fotografarla e a riprenderla in video fuori da quella casa, la sua immagine aveva fatto il giro di tutte le televisioni e dei tg locali, nonché dei quotidiani, additandola come l'unica indagata per la morte di Sebastiano Caruso. Purtroppo per i Carabinieri la situazione, almeno per il momento, non poteva essere più chiara: la minore aveva in qualche modo confessato e secondo l'accusa, raffigurata dalla signora Caruso, la dichiarazione fatta era più che sufficiente per condannarla.
Per Selvaggia iniziò un vero e proprio inferno personale. Da quel momento sembrò totalmente perdere la facoltà di parola, sembrava totalmente assente.
Data la sua minore età e la sua situazione, non ci fu altra soluzione che tenerla sotto custodia cautelare, almeno fino a che non ci sarebbe stato un tribunale che l'avrebbe resa responsabile davanti alla legge o che l'avrebbe scagionata. Per questo fu mandata da una coppia di genitori affidatari.
Due giorni dopo Felici e Usai stavano accompagnando la ragazzina dalla famiglia Russo, una coppia di quarantenni ai quali di tanto in tanto veniva affidato un minore con problemi comportamentali o in attesa di giudizio come Selvaggia.
Abitavano in una fattoria lontana dal centro abitato, in mezzo alla campagna e piena di animali, come cavalli e asinelli. Imparare ad accudire questi animali aiutava molto i ragazzi con problemi particolari ad aprirsi e riconquistare il sorriso, la loro casa era il posto migliore per aiutare Selvaggia a risanare le ferite della sua anima martoriata da tanta sofferenza.
Imboccarono la strada sterrata che portava alla fattoria, sembrava completamente assente a quello che le succedeva attorno. Si intravedevano già i recinti dei cavalli in lontananza e le stalle con i puledrini, ma lei non riusciva a vedere niente.
La macchina si fermò nello spiazzo di fronte alla casa e un bellissimo cane corso venne loro incontro correndo sul prato. Si avvicinò alla volante e i due ragazzi si sentirono per un attimo in pericolo di fronte a un tale colosso. Rimasero immobili senza nemmeno riuscire a chiudere gli sportelli. Il grande cane nero si avvicinò al Carabiniere Felici ignaro dei suoi sentimenti, annusandolo contento e, vedendolo immobile, cominciò ad abbaiare. Ancora più spaventato, il ragazzo si irrigidì finché non sentì la voce di un uomo dare un comando al cane.
"Sansone, a cuccia, sta' buono!"
Alla voce del padrone il cane gli andò incontro scodinzolando, ricevendo da quest'ultimo un paio di carezze, prima di andarsi a distendere all'ombra vicino all'entrata di casa. Il signor Russo era un uomo alquanto imponente, con le spalle larghe e piuttosto muscoloso, alto e ben piazzato. Riccardo pensò che ci volesse per forza un uomo di robusta costituzione per badare a un cane del genere. Ma, a dispetto del suo fisico possente, l'uomo rivolse loro un sorriso cordiale di benvenuto e strinse la mano ad entrambi.
"Lei è il signor Russo?"
"In persona, ma chiamatemi pure Antonio." Chiamò la moglie, la quale apparve da dietro la casa vestita con dei larghi jeans sgualciti e una lunga camicia a scacchi che copriva tutte le sue forme, ma dai lineamenti del viso e dal sorriso che rivolse ai due ragazzi dimostrò di essere gentile al pari del marito, e anche altrettanto avvenente. Aveva dei dolcissimi occhi castani, così come i capelli, raccolti in una lunga treccia che portava sulla spalla. Si presentò col nome di Lucia e, dopo aver stretto la mano a entrambi i ragazzi, si avvicinò alla macchina per scorgere e conoscere la ragazzina ancora seduta al suo interno.
Aprirono lo sportello ma Selvaggia rimase immobile sul sedile, con lo sguardo basso e le mani giunte in grembo. Il brigadiere Usai la chiamò ma lei sembrava non sentirlo, soltanto Riccardo riuscì a convincerla a scendere dall'auto. Mise piede a terra impacciata, continuando a stringersi le mani senza sapere cosa fare.
"Questi sono Antonio e Lucia Russo," per rompere il ghiaccio, il carabiniere tentò di presentarglieli. "Starai con loro in questo posto meraviglioso per un po', ti piace?"
Per tutta risposta, lei alzò uno sguardo vuoto verso i due che la guardavano sorridenti e lo riabbassò senza dire niente. Gli adulti si scambiarono uno sguardo comprensivo e Lucia si avvicinò alla ragazzina mettendole un braccio attorno alle spalle, ma questa si scansò. La donna non si lasciò scoraggiare e tentò lo stesso di parlare in modo chiaro e calmo.
"Vieni con me, tesoro, ti porto nella tua stanza. Vuoi?"
Selvaggia non rispose ma la seguì docilmente dentro casa.
La donna la guidò verso l'ingresso, cercando di trasmetterle sicurezza mentre le descriveva la casa e l'arredamento. Attraversarono un rustico salotto con corna appese alle pareti e un enorme camino in pietra, che regalava all'ambiente un calore rustico e familiare, ma la ragazzina non se ne avvide, continuando a guardare a terra, completamente mortificata dagli eventi. Segui la donna in silenzio su per delle scale in pietra, finché non entrò con lei dentro una camera da letto con tutti i mobili in legno, sembravano appena fatti a mano da un falegname.
"Questa sarà la tua stanza, finché starai qui." Lucia allargò le braccia come a mostrare la stanza alla ragazza. "Ti piace?"
Non si aspettava che facesse un passo avanti guardandosi attorno.
Selvaggia si avvicinò al letto e si sedette, rimanendo in silenzio, tornando a fissare il vuoto.
Lucia la osservò dispiaciuta. Non voleva credere che una ragazzina della sua età, sana e bella come lei, dovesse combattere da sola contro un demone simile. Insieme al marito aveva assistito al telegiornale in cui parlavano di lei, e quando erano stati chiamati dalla polizia per ospitarla per un tempo imprecisato, per loro non fu affatto un problema. Molti ragazzi erano passati da lì, la maggior parte di essi con un passato molto simile al suo, ma nessuno di loro avrebbe potuto fare una cosa come uccidere un adulto deliberatamente. Nessun bambino nella stessa situazione di Selvaggia avrebbe potuto assassinare il proprio genitore adottivo senza la malsana influenza di un adulto, e adesso che l'aveva conosciuta non aveva affatto cambiato idea.
Si decise a trovare un modo per rompere il ghiaccio e, stampandosi un sorriso in faccia, si avvicinò a lei e si sedette sul letto. "Sono contenta di conoscerti e di averti qui in questa casa, molti ragazzi della tua età sono passati da noi e ognuno di loro non voleva più andarsene alla fine, sono sicura che anche tu ti troverai bene."
Selvaggia non rispose, alzò soltanto per un attimo gli occhi su di lei, riportandoli subito sulle sue mani.
"So che non hai vestiti con te, ma non è un problema, in quell'armadio ci sono molti vestiti che sono sicura ti andranno benissimo, potrai usufruirne quanto vuoi, e se ti piaceranno considerali pure tuoi."
All'improvviso un gatto nero, con le zampe posteriori bianche e un ciuffetto di peli bianchi a forma di fiocco sotto il collo, salì sul letto e si avvicinò a Selvaggia senza mostrare un minimo di paura. Iniziò ad annusarle le mani e Selvaggia rimase immobile, per non spaventarlo e farlo scappare.
Lucia fece sentire una risatina e accarezzò il gatto. "Ti presento Milord, chiamato Milo, il signore di questa casa. Credo che ti stia dando il suo benvenuto."
Come se capisse le parole della sua padrona, il gatto si sedette sul letto e prese a guardare la ragazzina negli occhi. Quegli occhi gialli e dolci la conquistarono e, sorprendendo la donna, alzò un braccio e riservò al gatto una lunga carezza. Subito Milord si alzò in piedi godendosi quel gesto, tirando su la coda e chiudendo gli occhi.
Lucia ridacchiò di nuovo. "Direi proprio che gli piaci."
Selvaggia la guardò e tornò ad accarezzare il gatto, che le si avvicinò, annusandola febbrilmente e prendendo a fare le fusa. Un timido sorriso affiorò sulle labbra della ragazzina. A quel punto Lucia seppe che anche per lei sarebbe tornato a splendere il sole.
***
Durante il ritorno in caserma, il giovane Felici era assorto nei suoi pensieri, tanto che il collega dovette chiamarlo tre volte per farsi sentire. Riccardo finalmente se ne accorse, sbatté le palpebre e lo guardò, confuso.
"Mi hai chiamato?"
"Per ben tre volte, a cosa pensi?"
Lui sospirò: "A quella ragazzina... Selvaggia. C'è qualcosa in tutta questa storia che non riesco a capire."
"Che cosa c'è da capire? Per me la storia è semplice."
"E cioè, come sarebbe secondo te?"
"Dico che la ragazzina era troppo abituata a vivere in un determinato modo e a stare in una famiglia per bene con due genitori normali e a tutte le loro regole è impazzita e alla fine si è vendicata."
"Ma no, che stai dicendo?!" Si accalorò Riccardo. "Ma l'hai vista bene? È solo una bambina, e in più ha vissuto in un orfanotrofio alle direttive di una suora, che, da quanto si dice in giro, sia molto severa. Non ce la vedo a rubare un fucile e a sparare al suo padre adottivo. Senza contare che chi conosceva quell'uomo ha detto che amava la bambina, e sembrava esserci un bel rapporto tra i due."
Simone stette in silenzio riflettendoci. "No... hai ragione. L'unica che parla male di quella ragazzina è la madre. Quella donna mi è parsa strana dal primo momento che l'ho vista. Però dalle ricerche che abbiamo fatto sul suo conto non è emerso niente di rilevante."
"No... però c'è qualcosa che non mi torna, come se ci fosse un dettaglio che continua a sfuggirmi."
"Un dettaglio di che tipo?"
"Non lo so... ho come la sensazione che ci fosse qualcosa di cui mi ero accorto ma che poi è sparito."
Simone sembrava più confuso dell'amico. "Qualcosa tipo un oggetto che mancava dal luogo del delitto? O un atteggiamento di quella donna che ti ha destato dei sospetti."
"Non saprei. Perché, per te è tutto a posto in questa storia?"
"Io ho avuto come l'impressione che la donna stesse recitando, perché ha cambiato atteggiamento molte volte e troppo repentinamente durante i colloqui, e anche quando siamo andati alla casa subito dopo l'omicidio."
"Che tipo di atteggiamento dici?"
Simone si grattò la testa, cercando di ricordare. "Beh... ad esempio mi ricordo che passava troppo velocemente dal pianto alla rabbia. Si copriva il volto come se non volesse farsi vedere piangere, e appena la ragazzina è entrata nella stanza si è trasformata da donna disperata a donna arrabbiata in un lampo. Non mi ha convinto."
"Già..." Concordò Riccardo. "Purtroppo però queste sono solo tue supposizioni, ci sono gli esperti che ci stanno lavorando e la tua parola non vale niente."
Simone si chiese allora perché avesse voluto conoscere i suoi sospetti se sapeva che non avevano valore in senso legale, ma rimase in silenzio, il suo collega sembrava molto coinvolto in questa storia, più del solito. Ormai era quasi un anno che lavoravano insieme, e non gli era mai sembrato così colpito da un caso come questa volta.
"Quella ragazzina ha qualcosa di speciale, vero?"
"Cosa? Perché me lo chiedi?"
"Perché finora non ti eri mai appassionato così tanto a un caso di omicidio."
Riccardo storse la bocca. "Ma no... è solo che, te l'ho detto, c'è qualcosa che non mi torna in tutta questa storia."
Simone ci pensò su, poi ebbe un'idea. "Se andassimo a ricontrollare la casa credi che potresti trovare questo dettaglio che ti sfugge?"
"Non lo so... non so se si tratta di un oggetto o solo di una mia impressione."
"Tentar non nuoce."
"E credi che i RIS ci lascino passare?"
"Hanno sigillato l'appartamento, ma non credo che abbiano lasciato un piantone, e non credo nemmeno che un vicino si insospettisca se vede entrare due Carabinieri in una casa sigillata dai Carabinieri."
I due si scambiarono una lunga occhiata d'intesa e si sorrisero.
Pochi minuti dopo Riccardo parcheggiò proprio di fronte alla villa dove il signor Caruso era stato assassinato. Si avviarono verso il cancello guardandosi attorno, e anche se in giro non videro anima viva, erano sicuri che la gente del posto li aveva visti attraverso le imposte chiuse. Entrarono nella villetta e si diressero immediatamente nella camera da letto dove era stato ritrovato il corpo dell'uomo e, indossando i loro guanti per non lasciare le proprie impronte, cercarono di osservare attentamente qualsiasi cosa che potesse destare la loro attenzione. Le tracce di sangue sul muro erano circoscritte attorno alla parte del letto in cui il corpo del signor Caruso era disteso, ad indicare l'esigua distanza da cui era partito il colpo; a terra un cerchio effettuato con un gesso indicava il punto in cui era stata rinvenuta la cartuccia del proiettile... poi il punto del fucile stesso, tutte cose che erano riportare anche nel rapporto effettuato dai RIS, ma niente di tutto ciò soddisfece la sensazione irritante di Riccardo.
"Sono sicuro che qualsiasi cosa stessi cercando era in questa stanza."
Si alzò dopo essersi chinato per guardare sotto il letto, pur sapendo che non vi avrebbe trovato niente; si ricordava di averci già guardato quel giorno.
"Sei sicuro?" Simone era rimasto sulla porta. "Perché io ho letto attentamente il rapporto dei RIS, e tutto quello che vi hanno riportato è ben visibile anche da qui, compresi quegli stupidi coupon sulla caccia che erano sul letto."
"Forse mi sto sbagliando... ho letto anch'io il rapporto dei RIS e mi ricordo ogni oggetto repertato."
"Torniamo di sotto, forse hai solo sbagliato stanza, forse lo hai visto in salotto e lo hai inconsciamente collocato nella zona del delitto."
Riccardo diede retta al collega e tornarono nel salone. Tutto era esattamente come quel giorno, non era stato toccato niente. La casa era stata lasciata anche dalla signora Caruso; finché le indagini erano aperte nessuno poteva entrare.
"Tornare in questa stanza mi ricorda la brutta sensazione che mi trasmise quella donna," Simone di tolse i guanti e camminò verso il centro del salone. "Se ne stava costantemente su quella poltrona come se ci volesse mettere le radici, e mi sembrava anche che fingesse di piangere."
"Anche a te ha dato questa impressione? Quella donna non è piaciuta nemmeno a me."
"Poi mi ricordo che quando ero tornato qui dopo che quella bionda logorroica, la vicina, ci aveva accompagnato al piano di sopra, l'abbiamo trovata che stava rientrando attraverso la porta in giardino. Appena ci ha visti è corsa subito a sedersi sulla sua poltrona come se avesse avuto paura che qualcuno potesse rubarle il posto."
"Cosa ci faceva fuori in giardino?"
Era anomalo da parte della donna andarsene in giro mentre era sotto shock per la morte del marito, quando sembrava del tutto incapace di alzarsi dalla poltrona. I due si guardarono per un secondo e si diressero a loro volta in giardino. Un tavolo in vimini era stato lasciato sotto a un gazebo con le sedie in coordinato ammucchiate tutte attorno, diverse piccole aiuole formavano un disegno geometrico attorno allo stesso gazebo e l'erba era ancora perfettamente curata. Continuarono a guardarsi intorno, notando le graziose finestre della casa e la scala esterna che portava al piano di sopra.
"La scala dove porta?"
Riccardo si avvicinò ad essa e prese a salire i vari gradini, fino a ritrovarsi di fronte alla porta finestra della camera da letto matrimoniale. Di colpo una lampadina si accese nella sua mente e scese velocemente le scale per tornare in casa passando dalla porta del giardino.
Simone, che era rimasto a osservarlo in silenzio, rimase incuriosito da quel comportamento e lo seguì di nuovo in casa. "Che è successo, ti sei ricordato di qualcosa?"
Riccardo stava rovistando compulsivamente tra i cuscini della poltrona dove era seduta la signora Caruso. "Se è come dico io devono essere qui!" Borbottò tra sé.
"Ma cosa... cosa stai cercando?"
Riccardo si bloccò guardandolo con un sorriso furbo e tra le pieghe della poltrona estrasse un paio di tappi per le orecchie.
"Eccoli! Erano questi che stavo cercando!"
Simone sbatté le palpebre, sapeva che il suo collega aveva un certo istinto per queste cose, ma in quel momento non riusciva a capire che collegamento potessero avere quei due piccoli oggetti con il caso in questione.
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