Capitolo Quarantatrè

Erano le undici di mattina quando Michele arrivò a Catania. Aveva fatto sosta una sola volta lungo la strada, e solo per riprendersi dalla foga e rilassarsi un secondo per poter guidare con più lucidità, ma una volta rimontato in macchina non era più riuscito a pensare ad altro che a sua figlia che lo ripudiava per la fine che aveva fatto fare a quell’uomo. Dopo tutto quello che aveva fatto per poterla adottare non poteva permettersi di perderla di nuovo.

Parcheggiò nella via in cui abitava e scese veloce dall'auto per citofonare nel più breve tempo possibile, non voleva perdere tempo. Non aveva neanche dovuto cercare troppo a lungo un posto auto dato che di domenica c’era meno gente in giro, e questo gli regalò un po’ di coraggio per quello che doveva fare.

Nel suo letto, Eleonora venne svegliata dall’insistente suono del citofono, sembrava che qualcuno ci si fosse aggrappato. Si tolse la coperta di dosso e si mise a sedere, sfregandosi un occhio, ancora assonnata.

“Sì, vengo, vengo!” Borbottò con la voce impastata.

Si accorse del braccio che il suo compagno di letto le aveva lasciato attorno alla vita e con cautela lo tolse da sé. Di solito di domenica né Selvaggia né Manuela erano in casa e ne approfittava per far venire a dormire da lei il suo ragazzo, che teneva nascosto a tutti per paura che sua madre le proibisse di frequentarlo, dato che era molto più grande di lei. Quest'ultimo si voltò, infastidito dal suono del citofono, e si coprì la testa con il cuscino. Eleonora sbadigliò e si alzò in piedi infilandosi alla meno peggio le pantofole, si avviò alla porta strusciando i piedi per terra. Quando rispose al citofono rimase sorpresa di sentire la voce del padre di Selvaggia.

***

Giancarlo aprì lentamente gli occhi, intontito per non aveva  dormito molto la notte scorsa, ma appena vide il viso di Selvaggia accanto a sé nel suo letto, ancora addormentata e accucciata addosso a lui, si sentì di colpo completamente sveglio. Ne approfittò per osservare quel viso dai lineamenti perfetti. L’espressione rilassata la faceva apparire come una bambina; si truccava pochissimo ma era comunque bellissima. Quelle lunghe ciglia scure appoggiate con delicatezza sulla pelle levigata del viso sembravano invitarlo a lasciarvi sopra un bacio delicato, anche se non lo fece per paura di svegliarla. Ma non poté resistere dal toccarla e passò un dito leggero sulla sua guancia, le scostò i capelli e glieli pettinò con le dita, godendo della loro sofficità e del loro profumo. Seguì con un polpastrello il contorno del suo ovale e delle sue labbra, meravigliandosi che potesse esistere tanta perfezione in un solo viso.

Si era pentito di essersene andato da casa sua, il giorno prima, ma la scoperta sull’identità di suo padre lo aveva scioccato. Vedersela arrivare a casa nel cuore della notte gli aveva riempito il petto di gioia, si era sentito integro, forte. Non aveva nessuna intenzione di farla soffrire di nuovo e si ripromise che avrebbe fatto di tutto per evitare che succedesse.

Scostò le coperte e si alzò cercando di non svegliarla, si diresse in cucina a piedi nudi. Nell’aria aleggiava un deciso aroma di caffè e sulla tavola trovò la caffettiera e due tazze pronte, insieme alla zuccheriera e a un bigliettino. Si stropicciò la faccia e sbadigliò, afferrò il biglietto e lo lesse: 

“Non ho voluto svegliarvi, dormivate così bene. Se Selvaggia volesse fare colazione ricordati che ci sono i biscotti nella credenza.”

Sorrise per la premura di sua madre e versò subito due tazze di caffè. Le zuccherò e le mise su di un vassoio, sua madre doveva essere uscita da pochissimo perché il caffè era ancora molto caldo. Portò il vassoio nella sua stanza e lo appoggiò sul comodino, mentre Selvaggia stava ancora dormendo profondamente. Non sapeva se svegliarla o no ma venne distratto dal cellulare. Aveva tolto la suoneria, come faceva sempre quando non voleva essere disturbato, ma si accorse che lo schermo si era illuminato, e lo recuperò dal comodino. Guardò lo schermo e per non svegliare Selvaggia uscì dalla stanza:

“Manuela, è successo qualcosa?”

Era quasi un anno che Manuela non lo chiamava al telefono e gli sembrò subito strano.

“Insomma… Selvaggia è lì da te?” La voce della ragazza era decisamente preoccupata.

“Sì, è qui. Perché?”

“Me la puoi passare?”

“Ehm… sta dormendo.”

“Allora svegliala e dille di tornare subito a casa che suo padre è là che la sta cercando.”

“Perché, tu dove sei?”

“Io sono da Sergio, ma c’è Eleonora disperata, mi ha appena chiamata perché non riesce a mettersi in contatto con lei e io ho pensato di chiamare te.”

Giancarlo strinse le labbra, pensando alle parole da usare con lei. “Ok… ti ringrazio.”

Chiuse la chiamata e tornò in camera. Osservò la sua ragazza ancora profondamente addormentata e con un sospiro allungò una mano per svegliarla.

***

A Selvaggia tremavano le mani mentre cercava le chiavi del suo appartamento, sapere che suo padre era lì ad attenderla non aiutava. Era arrivato il momento di affrontarlo, voleva sentire da lui quello che le aveva detto Giancarlo, voleva capire se suo padre avrebbe avuto il coraggio di dirle la verità o no. Ancora non aveva digerito il suo ordine, quindi non era molto propensa ad ascoltarlo… ma al tempo stesso sentiva che doveva sapere anche la sua versione dei fatti.

Quando finalmente infilò la chiave nella toppa e la girò vide immediatamente suo padre alzarsi in piedi da una sedia della cucina con lo sguardo preoccupato. Si pentì di non aver permesso a Giancarlo di venire con lei. Fece qualche passo nella sua direzione mentre Eleonora, in piedi in cucina che cercava di fare la parte della buona padrona di casa, si defilò senza dare nell’occhio.

Finalmente Michele ammorbidì la sua espressione. “Dove sei stata? Perché sei andata via così presto?”

Eccoci, era arrivato il momento della verità. “Avevo bisogno di sapere… sono andata da Giancarlo.”

Michele assunse di nuovo l'espressione preoccupata. “Che cosa ti ha detto?”

“La verità.”

Non riusciva a credere che stesse trattenendo quella discussione proprio con l’uomo che le aveva regalato serenità e felicità dopo una bruttissima esperienza, con l’uomo che credeva al di sopra di ogni sospetto, incapace di fare del male a qualsiasi persona. E invece...

Michele sospirò, scoraggiato. “Non è come pensi.” Abbassò lo sguardo e scosse la testa. “Io ero l’avvocato di suo padre. Il tuo fidanzato a quel tempo era solo un bambino, certe cose non le può sapere—”

“È vero o no che hai permesso che delle prove false lo incastrassero e che venisse accusato di associazione mafiosa?” Lo interruppe, alterando il tono di voce.

Michele non seppe cosa rispondere… non poteva dirle che era tutto vero. “Te l’ho detto, non è come pensi…”

“E allora com’è?”

Forse sperava davvero che suo padre le desse una versione in cui non figurasse come un venduto alla mafia, perché la sua versione era stridente come le unghie su una lavagna. E continuava a farle sanguinare le orecchie.

“Fabrizio Siriani era a conoscenza di alcuni movimenti della mala che avvenivano nel suo ristorante e per anni non ha fatto niente per impedirli. Non era così innocente come suo figlio vuole dipingerlo.”

“Che ne sai tu di quello che mi ha detto suo figlio?!” Urlò, incapace di accettare le sue parole. “Era un uomo buono, faceva solo il suo lavoro. Tu, per chissà quale motivo, hai lasciato che lo accusassero di qualcosa del quale non c’entrava niente!”

“Ma che cosa stai dicendo?” Michele sembrò seriamente confuso.

“Il signor Siriani era stufo di questi continui movimenti nel suo ristorante ed era in contatto con un ispettore proprio perché lui non c’entrava niente!” Urlò di nuovo.

Michele sospirò, non sapendo come discorrere di questa cosa con sua figlia. “Ho capito quello che ti ha detto lui, anzi, che ti ha fatto credere, ma non è così…”

“No!” Sbraitò lei, non poteva credere che Giancarlo le avesse raccontato delle bugie. “Perché non dici la verità? Perché non dici che sei stato venduto e hai permesso che arrestassero il padre di Giancarlo… e che poi lo uccidessero!”

Michele era sempre più esasperato. “Non è stata colpa mia…”

“Io credo di sì, invece!” Strinse un pugno, ormai in preda alla collera. “Tu hai permesso che lo arrestassero quando avresti dovuto dimostrare la sua innocenza!”

La collera la stava facendo straparlare, stava dimenticando di voler sentire la sua versione dei fatti; il dolore che aveva sentito nella voce di Giancarlo le aveva trasmesso il suo stesso rancore verso l’uomo che aveva di fronte.

***

Michele era profondamente sconvolto. Aveva inculcato la giustizia e la forza della verità in sua figlia, nonostante fosse già grandicella quando l’aveva adottata, e adesso era combattuto se raccontarle la verità sul suo passato o no. Se le avesse detto che il padre di quel ragazzo era veramente associato ai mafiosi e che le prove che avevano portato alla sua carcerazione erano vere avrebbe vissuto di nuovo l'odio verso se stesso, lo stesso sentimento che provò all’epoca durante il processo. In fondo credeva veramente nella forza della verità, nella giustizia e nella legge… Era solo stato debole per una volta e aveva permesso che i suoi desideri personali offuscassero la sua integrità morale.

“Io ho solo permesso che la giustizia facesse il suo corso.”

“Non è vero!” Sbraitò Selvaggia, ormai era fuori di sé.

Michele la guardò sconvolto, era la prima volta che sentiva sua figlia alzare la voce a quel modo.

“Selvaggia…”

“All’inizio del processo tu avevi iniziato a difenderlo nel migliore dei modi, ma per chissà quale motivo ad un certo punto hai permesso che delle accuse false, montate ad arte da quegli stessi mafiosi, permettessero che quell’uomo venisse accusato ingiustamente…”

“Selvaggia… cosa stai dicendo?” Sospirò, sempre più sconvolto.

“Per colpa tua quell’uomo è finito in carcere, dove ha conosciuto persone che sono riuscite a ucciderlo! E solo perché era un uomo buono che voleva vivere la sua vita con tranquillità!”

Michele stava iperventilando e tornò a sedersi sulla sedia. “Non… non puoi capire quello che successe…”

“Sì, invece!” Ribadì lei con vigore.

Osservò la sua reazione e si calmò. “Io pensavo che tu fossi speciale. Che tu fossi il migliore, quello che avrebbe fatto di tutto per proteggere un innocente, che non si sarebbe mai lasciato comprare.” Si chetò un istante, raccolse le idee e parlò con una vena di rammarico. “E invece ho scoperto che sei uguale a tutti gli altri anzi, forse peggio.” La delusione era palpabile nelle sue parole.

“No, Selvaggia, ti prego!”

Michele la supplicò, ma la delusione aveva preso fuoco nei suoi occhi, non poteva più essere spenta.

“Io volevo diventare come te…” una lacrima le solcò il viso. “È per questo che ho voluto iniziare a studiare giurisprudenza. Poter diventare un avvocato come te e difendere gli innocenti. Ma adesso…”

Michele fu devastato da questa dichiarazione, non avrebbe mai potuto immaginare che tutti i suoi sforzi per averla accanto potevano ritorcersi contro di lui. E non poteva nemmeno dirle che accogliere quelle prove false fu l’unico modo  per adottarla. Come avrebbe potuto dirle che se non avesse ubbidito a quello che gli avevano ordinato non gli avrebbero permesso di diventare suo padre? Sarebbe stato come ammettere che la legge poteva essere infranta quando le aveva sempre professato che fosse al di sopra di tutte le persone e che andava sempre rispettata a prescindere dalla situazione.

Vide lacrime amare bagnare il viso di sua figlia, ma fu incapace di asciugarle.

*
C'è una cosa che vi sfugge o l'avete capito tutti?

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top