Capitolo Quarantadue

Giancarlo camminava di fronte a lei in evidente agitazione. Doveva trovare il coraggio e le parole giuste per rivelarle la verità che vedeva coinvolti i loro padri. Si accese una sigaretta dopo l'altra, ignorando l'ordine di sua madre di non fumare in camera, e finalmente si fermò di fronte a lei, guardandola negli occhi. Selvaggia dovette alzare la testa per guardarlo.

"Non ti ho mai parlato di mio padre." Fece una pausa e prese un bel respiro. "E... credo che sia arrivato il momento di farlo."

Si sedette accanto a lei scuotendo la sigaretta sul comodino. Selvaggia non gli mise fretta, lo aspettò quando rimase in silenzio accanto a lui per un'altra manciata di lunghissimi secondi. Finalmente alzò lo sguardo su di lei.

"Prima di tutto devi sapere che mio padre era un brav'uomo. Quando ero ragazzino abitavamo nella provincia di Palermo e lui era il proprietario di uno dei ristoranti più rinomati della zona. Aveva diversi dipendenti, anche mia madre lavorava lì come cuoca, il ristorante aveva un bellissimo giardino tutto attorno e si occupava soprattutto di matrimoni e cerimonie di stile. Io ero solo un ragazzino ma non ero stupido, sapevo che spesso e volentieri aveva dei mafiosi come clienti. Ogni tanto c'era qualcuno di loro che doveva sposare la figlia, o fare qualche compleanno in pompa magna e venivano spesso al ristorante di mio padre, lui faceva loro un trattamento di favore... per tenerseli buoni, credo. Non voglio essere ipocrita, gli faceva comodo perché erano sempre in molti e lo pagavano bene. Solo che, a volte, durante questi compleanni o matrimoni, veniva effettuato qualche incontro particolare." Mimò le virgolette alle ultime parole.

"In che senso incontro particolare?" Lo imitò Selvaggia.

"Niente di troppo eclatante, da quanto ne so si limitavano a scambiarsi qualche pizzino durante le loro feste, o avevano piccole discussioni tra familiari per decidere chissà cosa. Almeno all'inizio, ma poi le cose si erano fatte un po' più serie. Non so, ma ricordo che mio padre all'ultimo era spesso nervoso e scoprii che era in contatto con un ispettore... E forse quelli lì se ne accorsero."

Selvaggia temette di dar voce ai suoi pensieri. "E hanno incastrato tuo padre?"

"Non lo so... forse. Non lo avevano mai coinvolto nelle loro cose, o almeno, non direttamente. Anzi, proprio perché chiudeva un occhio per questi incontri veniva molto rispettato, nonostante fosse una persona pulita e facesse finta di non sapere veniva trattato con rispetto. Forse all'inizio lui chiudeva un occhio e permetteva che usassero il suo ristorante perché aveva paura che se lo avesse impedito avrebbero potuto vendicarsi in qualche modo, ma alla fine forse vide qualcosa che non gli stava più tanto bene e credo che abbia provato a tutelarsi in qualche modo."

"Capisco..." Annuì lei.

Selvaggia provò a immaginarsi cosa potesse essere successo da far innervosire il padre di Giancarlo. Forse aveva visto qualcosa che non gli era piaciuta e non voleva andarci di mezzo... fu l'unica cosa che le venne in mente.

"Comunque... Questa storia andò avanti per anni. Lui aveva aperto quel ristorante grazie ai soldi dei miei nonni che ebbe in eredità prima che nascessi io. Era figlio unico, e i miei nonni erano benestanti. Ma poi..." si bloccò, non sapendo più come continuare.

Lei rimase in attesa, con la paura che se lo avesse interrotto gli avrebbe fatto perdere il filo. Lo vide prendere l'ultimo tiro della sigaretta e spegnerla dentro un piccolo portacenere per poi espirare, inondando lo spazio davanti a lui di fumo grigio.

"Poi, un bel giorno, la polizia fece una retata, proprio durante una di queste feste particolari, e venne arrestato anche mio padre."

Lei sgranò gli occhi. "Con quale accusa?"

"Associazione mafiosa." Sussurrò. "Ovviamente era innocente, anche se sapeva quello che combinavano non aveva mai partecipato ai loro affari, in fondo erano solo scambi di informazioni apparentemente casuali. Lo sapeva perché aveva imparato a riconoscerli, ma solo questo... insomma, hai capito: Loro erano a conoscenza che lui sapeva ma ufficialmente ne era all'oscuro e così doveva restare."

"E cosa c'entra mio padre?"

Giancarlo ebbe quasi un fremito alla sua domanda e la guardò preoccupato. "Tuo padre, in parole povere, è l'uomo che ha fatto uccidere il mio."

La reazione di Selvaggia fu di completa immobilità, sentì il sangue defluire dal viso e lo guardò sconcertata.

"Che cosa?" Sussurrò flebile.

***

Michele si svegliò tranquillamente nel suo letto e, come ogni domenica, si recò in cucina credendo di trovarci Selvaggia seduta a tavola per la colazione. Ma quando trovò la cucina vuota ebbe un brutto presentimento. Rimase assorto nei suoi pensieri per alcuni secondi, si voltò per chiamare Carmen e la trovò lì in piedi, a guardarlo con l'espressione rammaricata di chi attende delle domande.

"Carmen, come mai non hai preparato la colazione? Dov'è Selvaggia?"

"Beh, ecco, vede..." Deglutì e fece un passo avanti. "Selvaggia se n'è andata, questa mattina molto presto."

Michele sgranò gli occhi, incredulo. "Come se n'è andata? Andata dove?"

"Mi ha pregato di accompagnarla alla stazione questa mattina presto, è tornata a Catania-"

"Ma come? Perché non mi ha avvisato?" Si guardò attorno, stava entrando nel panico. "Ma tu non le hai detto niente, non hai provato a fermarla?"

"Io..."

Non attese una risposta da parte sua e uscì di corsa dalla cucina. Tornò nella sua stanza e si vestì velocemente, non voleva perdere altro tempo prezioso, e senza nemmeno avvisare né Vincenzo né Carmen, prese il suv nero e partì di corsa, senza neanche prepararsi adeguatamente. Sapeva di sembrare un invasato ma Selvaggia era troppo importante per lui e dopo quello che era successo con quel ragazzo sapere che adesso poteva trovarsi con lui lo stava facendo impazzire. Non voleva assolutamente che conoscesse quella parte del suo passato; avrebbe sicuramente iniziato a guardarlo con occhi diversi e non poteva permetterlo.

***

"Mi dispiace di avertelo dovuto dire così..." Giancarlo sospirò senza il coraggio di guardarla in faccia.

Si aspettava che gli dicesse qualcosa da un momento all'altro, ma la sentì immobile e in silenzio accanto a lui e si azzardò a guardarla.
Selvaggia aveva gli occhi lucidi e lo sguardo fisso davanti a sé, completamente sotto shock. Preoccupato, allungò un braccio e le avvolse le spalle, cercando di scuoterla dal suo torpore. Lei sbatté le palpebre e una lacrima scivolò silenziosa lungo la guancia.

"Ehi... per favore, non piangere."

"Mi dispiace così tanto..." Balbettò confusa.

Giancarlo la prese e la strinse a sé. "Dai... non è assolutamente colpa tua."

Le accarezzò la schiena ma Selvaggia proruppe in un pianto disperato.

"Mio padre avrebbe dovuto difenderlo e impedire che venisse incarcerato," singhiozzò, balbettando. "Invece ha lasciato che delle prove false lo incastrassero, che venisse rinchiuso in un carcere a pagare per delle colpe che non aveva..."

"Shhh... non devi preoccuparti adesso, ma era giusto che tu sapessi."

"No, non capisci!" esplose e si sciolse dal suo abbraccio. "Non puoi capire quello che significa per me..." Si asciugò il viso anche se le lacrime continuavano a bagnarlo. "Lui..."

Giancarlo le prese le mani. "Selvaggia, lo so che non è veramente tuo padre e che sei stata adottata, non pensavo che ti sconvolgesse così tanto-"

Selvaggia sembrò riprendersi e lo guardò sconvolta. "Come fai a saperlo?"

"Che cosa?"

"Che non è il mio vero padre."

"Ah..." Si pentì aubito di averlo detto. "Beh... me lo ha detto il tuo amico..."

"Il mio amico?"

"Il ricciolino... Matteo... si chiama così, no?"

Selvaggia lo guardò a bocca aperta senza capire. "Come fai a conoscerlo?"

Giancarlo si rese conto della gaffe che aveva fatto nel rivelare una cosa simile, ma era troppo tardi per rimangiarsela.

"Beh... è stato lui a cercarmi. È venuto in redazione dopo che avevano pubblicato il mio articolo con le informazioni che mi hai dato tu, e mi ha affrontato."

"Ti ha affrontato?"

"Sì... è venuto da me e mi ha preso di petto." Distolse lo sguardo, vergognandosi di quella confessione. "Ha aspettato che uscissi e poi mi ha fermato e mi ha parlato di te. Mi ha detto che avete passato la vostra infanzia in un istituto, che siete stati entrambi adottati e che, se avessi continuato a trattarti male me le avrebbe date di santa ragione, anche se è più mingherlino di me."

Selvaggia restò un attimo in silenzio, cercando di metabolizzare quelle parole. "Allora è per questo che sei venuto alla stazione." Sussurrò. "Perché lui ti ha detto che te l'avrebbe fatta pagare."

Percependo la rabbia dietro quelle parole, Giancarlo prese nuovamente le sue mani per stringerle e rassicurarla. "No... no, calmati! L'intervento del tuo amico mi ha fatto solo capire quanto mi stessi comportando da cretino, ma in realtà avevo già deciso di tornare da te. Ho solo questo bruttissimo carattere orgoglioso e volevo... non lo so cosa volevo, ma... forse avevo solo bisogno di qualcuno che me lo facesse capire."

L'espressione di Selvaggia non mutò minimamente. Convinto che il suo appello non avesse sortito nessun effetto le passò una mano tra i folti capelli e si avvicinò ancora.

"Credimi Selvaggia... io ti amo."

Selvaggia spalancò gli occhi e rimase a bocca aperta. Non si aspettava di sentire quelle parole.

Nemmeno lui aveva programmato di farle quella rivelazione, ma era troppo tardi per tornare indietro. Aspettò in silenzio una sua reazione, impaurito che non fosse corrisposto, che fosse troppo presto. Ma lei era completamente scioccata, incapace di reagire. Il silenzio si propagò all'infinito. Ma alla fine lei sembrò riprendersi di nuovo.

"Davvero?"

La sua espressione era un misto di incredulità e felicità. Giancarlo tirò mentalmente un sospiro di sollievo. Le si avvicinò tuffandosi in quei meravigliosi occhi verdi.

"Sì, certo che ti amo."

Abbassò lo sguardo sulla sua bocca e lentamente le si avvicinò fino a baciarla.

Si scambiarono un bacio dolce e appassionato, che divenne ben presto molto più profondo e intenso. Giancarlo si lasciò sopraffare dalla voglia che aveva di lei e cominciò presto ad accarezzarla in posti sempre più nascosti, dove sapeva di regalarle sensazioni interessanti, e dove sapeva di sentire lui stesso quelle stesse sensazioni interessanti.

*

Selvaggia si lasciò accarezzare senza cercare di allontanarlo in alcun modo, neanche quando lo sentì infilare le mani sotto al suo maglioncino e toccarle il seno. La sensazione fu subito potente, sentì un tenero languore al centro del suo essere. Restò immobile a subire passivamente quelle carezze, non accennando a ricambiare.

Lui si staccò all'improvviso da lei e sentì le sue mani scivolare dalla sua pelle. Restò con gli occhi chiusi. Si chiese vagamente cosa stesse succedendo. Riaprì gli occhi, Giancarlo era vicinissimo, a fissarla con il fiatone.

"Non voglio fare niente che tu non voglia fare, o se non ti senti pronta..."

Lei non seppe come replicare. Si sentiva in una sorta di limbo, sospesa a metà tra la realtà e la fantasia. Da una parte avrebbe tanto voluto superare quella barriera e scoprire cosa significasse unirsi a lui in modo carnale. Da un'altra lui aveva ragione, non si sentiva ancora pronta, e il fatto che non avesse ricambiato quelle carezze ne era una palese dimostrazione.

Prese un grosso respiro e si appoggiò a lui, chiudendo gli occhi contro il suo petto.

Giancarlo scostò le coperte del suo letto e la spinse a sdraiarsi, con dolcezza le tolse le scarpe e si sdraiò accanto a lei, accogliendola tra le sue braccia e stringendola addosso a sé. Lei appoggiò la testa sul suo petto, sentendosi al sicuro come non le era mai successo, e chiuse gli occhi, inspirando l'odore della sua pelle misto a quello della sigaretta. Ormai era diventato il suo profumo preferito.

Si addormentarono insieme, stretti in quel lettino che poteva sembrare troppo piccolo per ospitarli entrambi ma che invece si dimostrò perfetto.

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