Capitolo Quarantacinque

Un lieve rumore proveniente dalla porta della sua stanza svegliò Giancarlo ancora abbracciato a Selvaggia nel suo letto. Sbatté le palpebre e alzò la testa, sua madre svettò alla luce proveniente dal corridoio.

“Mamma…”

Lo sguardo della donna era decisamente arrabbiato, spostò lo sguardo su Selvaggia e tornò su di lui.

“Ti aspetto in cucina.”

Richiuse la porta e si allontanò, provocando in Giancarlo un sospiro di costernazione. Sapeva già la ramanzina che lo aspettava.

Selvaggia era ancora profondamente addormentata e non resistette a darle un bacio sulle labbra e ad accarezzarle il viso. Si lamentò nel sonno ma non si mosse. Giancarlo si alzò controvoglia, se restava a letto con lei avrebbe finito per svegliarla, e allora sì che sarebbe stato difficile alzarsi. Si mise un paio di pantaloni e una maglietta e, a piedi scalzi, si diresse in cucina.

***

Il rumore della porta che si chiudeva svegliò Selvaggia. Si guardò attorno, disorientata. Era da sola nel letto di Giancarlo. In un primo momento non ricordò come ci fosse finita, ma i ricordi di quell’esperienza vissuta assieme le affollarono la mente e un turbine di sensazioni dolci e gioiose la investì in pieno. Come per accertarsi che quello che stava ricordando fosse la verità si passò una mano sulla pancia nuda, trovandola calda e morbida. Scivolò al di sotto dell’ombelico e fino in mezzo alle cosce, per ritrovarsi senza alcun indumento addosso, esattamente come mamma l’aveva fatta. Si accarezzò i riccioli che ricoprivano la sua femminilità e la sua mano sulla pelle nuda le ricordò la pelle di Giancarlo, rovente e dolce, ma dura nei punti giusti… Di colpo si sentì prendere fuoco e fu felice di essere sola, perché era sicura di essere arrossita.

Si alzò con circospezione e indossò la prima maglietta che trovò. Arrivava a coprirla quasi per intero i fianchi, si strinse nelle spalle e uscì dalla stanza alla ricerca del bagno. Aveva solo bisogno di fare pipì e vedere che fine avesse fatto Giancarlo. Forse era in cucina a bere un caffè… ne sembrava un drogato, a volte.

Si avventurò nel corridoio, a malapena rischiarato dalla luce che proveniva dalle altre porte socchiuse, diretta verso la cucina. Si avvicinò di qualche passo e sentì Giancarlo parlare con qualcuno. Si bloccò e rimase in ascolto.

“…e poi è tornata qui in piena crisi e io l’ho soltanto consolata…”

“E poi siete finiti a letto," sua madre gli rispose, sarcastica. "Sì, lo so come funzionano certe cose.”

Dalle sue parole capì che Grazia sapeva quello che avevano fatto, non c’erano dubbi, e se ne vergognò. Sperò che fosse tornata tardi e non avesse visto o sentito nulla di sconveniente, ne sarebbe morta!

Si voltò per tornare in camera e vestirsi in un modo più consono ma non fece caso al mobiletto dietro di lei e lo urtò, facendo cadere un piccolo soprammobile. Fortunatamente non si ruppe, ma causò un po’ di rumore, abbastanza da attirare l’attenzione di Giancarlo che si affacciò dalla porta della cucina. Si chinò per raccogliere l’oggetto ma lui la fermò.

“Selvaggia, cosa stai facendo?”

Alzò uno sguardo imbarazzato. “I…io… niente…” Si alzò, senza il coraggio di guardarlo in faccia. "Volevo tornare in camera per—"

Grazia la chiamò all'improvviso, interrompendo la sua spiegazione. “Selvaggia, tesoro, vieni avanti, fatti vedere.”

Avrebbe voluto sprofondare! Vedere la madre del ragazzo col quale era appena andata a letto, vestita con addosso soltanto una sua maglietta che le copriva a malapena le parti intime, era inconcepibile! Ma non poteva tirarsi indietro. Guardò vergognosa Giancarlo, che le restituì uno sguardo comprensivo ma non poté aiutarla in nessun modo. Si fece avanti ed entrò in cucina.

“Ciao…” borbottò.

Grazia era seduta a tavola, ma si alzò subito in piedi per andarle incontro e abbracciarla. "Oh, tesoro, come stai?”

Selvaggia rimase del tutto disorientata. Si lasciò abbracciare inerme, senza riuscire a ricambiare l’abbraccio. “Bene… grazie…”

Grazia si scostò e le afferrò il viso con entrambe le mani. “Sappi che qui sarai sempre la benvenuta, ogni qualvolta avrai bisogno di un posto in cui rifugiarti.”

Selvaggia sbatté le palpebre, confusa. "Grazie..."

“Giancarlo mi ha raccontato cosa ti è successo… so chi è tuo padre e dev’essere terribile per te venire a scoprirlo in questo modo.”

“Io… non so come ringraziarti.”

“Non hai bisogno di ringraziarmi, per me è un piacere averti qui.” Si allontanò per rivolgerle uno sguardo critico. “Ma adesso sarebbe meglio se ti mettessi qualcosa di più coprente addosso, che ne dici?”

Selvaggia sprofondò dalla vergogna. Non avrebbe mai pensato di fare una figura simile; fortuna che conosceva Grazia e sapeva che era una donna comprensiva, ma era lo stesso imbarazzante.

“Sì… credo di sì...”

Si allontanò da lei e scambiò uno sguardo imbarazzato con Giancarlo. Tornò in camera e si rimise i suoi vestiti. Si sedette sul letto, facendo mente locale sulla sua situazione.

Ripensò a quando Michele era entrato nella sua vita e l’aveva adottata. A quei tempi le metteva addosso un po’ di timore, lo vedeva come un tipo troppo impostato e sulle sue, non riusciva ad aprirsi con lui e nemmeno lui con lei, ma a lungo andare riuscì a conquistare la sua fiducia e infine il suo affetto, facendola sentire finalmente parte di una famiglia. Aveva deciso di seguire le sue orme e studiare per diventare avvocato, esattamente come lui, in modo da poter difendere chi veniva accusato ingiustamente o avesse comunque bisogno di una difesa, in quanto, come le aveva sempre ripetuto Michele, chiunque ha bisogno di essere difeso, anche se era colpevole, perché spesso una persona non è mai colpevole al 100% ma viene portato a compiere certe azioni, perciò la sua pena dev’essere adeguata al suo grado di colpevolezza.

E adesso? Sembrava proprio che tutte quelle motivazioni fossero venute meno, che niente di tutto ciò avesse più importanza.

Si guardò attorno svogliatamente finché la sua attenzione non venne attratta da una macchia sul lenzuolo, semi nascosta dalle coperte. La scoprì del tutto e mise in bella vista la prova della sua verginità perduta. Imbarazzata, strappò le lenzuola dal letto con movimenti bruschi.

***

Michele era rimasto per alcuni lunghissimi istanti da solo in quella cucina, dopo che Selvaggia era scappata a gambe levate. Lo aveva in pratica accusato di essere il responsabile per la morte di quell’uomo, e lui non aveva saputo ribattere… dentro di sé sentiva che era così.

Era uscito da quella casa senza accorgersi cosa stesse facendo e all’improvviso si ritrovò seduto nella sua macchina senza sapere come ci fosse arrivato.

Non poteva permettersi di uscire fuori di testa e si obbligò a calmarsi, fece profondi respiri e chiuse gli occhi. Mise in moto e guidò ininterrottamente per più di tre ore, assorto nei suoi pensieri. Sembrava che stesse andando tutto a rotoli, non avrebbe mai potuto immaginare un epilogo simile.

Varcò il cancello della sua villa e Vincenzo gli andò incontro per provvedere a qualsiasi necessità avesse avuto bisogno. Ma Michele non lo guardò nemmeno, scese dalla macchina e si rinchiuse nel suo ufficio, lasciando Vincenzo perplesso a guardarlo sparire oltre l’uscio.

Michele si fiondò sulla poltrona della sua scrivania. Allungò le gambe e guardò il soffitto, incapace di dare un senso alla sua vita. Sembrava tutto finito, niente aveva più senso.

Si appoggiò coi gomiti sul ripiano in mogano e si massaggiò le tempie. La sensazione di inutilità lo stava devastando. Aprì il primo cassetto della scrivania e ne estrasse un bicchiere e una bottiglia di rum. Se ne versò una generosa dose e la ingollò in un solo colpo. Se ne versò una seconda e l'occhio gli cadde sulla foto dentro il cassetto ancora aperto. Afferrò quella cornice dorata e la posizionò sulla scrivania, davanti a sé, scrutando la foto con nostalgia.

“È esattamente uguale a te, ha il tuo stesso carattere forte…” borbottò.

Accarezzò il viso ritratto nella foto con mano tremante. Ingollò per intero il secondo bicchiere di rum e se ne versò subito un altro.  I benefici effetti dell’alcool iniziarono a fare il loro effetto, e la coscienza di Michele iniziò a intorpidirsi. Tornò a contemplare la foto che aveva davanti con sguardo lucido.

“Cosa devo fare, adesso?”

***

Grazia preparò un letto di fortuna accanto a quello di Giancarlo, sotto gli occhi stupefatti di Selvaggia che non sapeva come replicare.

“Io… non so come ringraziarti."

Grazia si tirò in piedi e la guardò stupita: “Tesoro, credi che non abbia capito cosa c’è tra voi due?”

Selvaggia ammutolì. Questo lato di lei non se lo aspettava. Grazia diede un ultimo colpo al lenzuolo e ridacchiò:

“Sarebbe come chiudere il cancello dopo che i buoi sono ormai scappati, che dici?”


Era senza fiato dalla vergogna, ma Grazia la salutò con una carezza e uscì dalla stanza, lasciandola sola a riflettere. Si sedette su quel letto di fortuna e restò in silenzio. La mattina dopo avrebbe dovuto passare da casa per prendere i suoi libri e poi recarsi all’Università, ma non ne aveva voglia, il solo pensiero la metteva in agitazione.

Tutto ad un tratto tornare a studiare le sembrò soltanto una stupidaggine, una totale perdita di tempo. Il suo obiettivo iniziale era quello di seguire le orme di suo padre adottivo, di quell’uomo che le aveva donato una sicurezza e l’amore di un padre, il calore di una famiglia… ma adesso il solo pensiero di diventare come lui la inorridiva.

Si spogliò lentamente e si mise sotto le coperte, indossando una lunga maglietta di Giancarlo per la notte. Restò così per un po’, a guardare il soffitto e cercare di capire i sui suoi sentimenti verso quel padre che nel giro di un giorno sì era trasformato in un mostro.

Giancarlo entrò nella stanza e si coricò nel suo letto, mettendosi su un fianco per guardarla.

“Non hai sonno?”

Lei riuscì a distogliere lo sguardo dal soffitto e a posarlo su di lui. “No… stavo pensando.”

“A cosa?”

“A mio padre.”

Giancarlo sbuffò dal naso, non era affatto una sorpresa.

Di colpo Selvaggia si alzò in piedi, fece il giro e si fermò al lato del letto di Giancarlo. Lo guardò per alcuni istanti come un cucciolo smarrito, lui allora scostò le coperte, invitandola silenziosamente a distendersi nel letto insieme a lui.

Selvaggia accettò l’invito come se fosse stato un oasi nel deserto, assaporando il calore del suo letto e il suo odore.

Giancarlo le fece spazio al suo fianco e Selvaggia appoggiò la testa sulla sua spalla, bisognosa solo di affetto e della sua presenza. Comprendendo il suo bisogno, la avvolse con un braccio e appoggiò la testa tra i capelli, per poi lasciarle un bacio.



Spazio autrice:

Ok, qui c'è un altro piccolo indizio che si ricollega a due capitoli fa, quel piccolo indizio che non so quante di voi avevano colto. E adesso ci siete riuscite? Beh... Se la risposta è sempre no, non temete, tra poco vi verrà tutto molto chiaro.

Baci baci!

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