Capitolo Ottantadue

Il cortile del suo appartamento era bagnato dalla pioggia di quel pomeriggio. Erano due giorni che pioveva, il tempo sembrava seguire i suoi stati d'animo. Esalò una boccata di fumo dalla sigaretta che oscurò la sua visuale, ma solo per un attimo, la brezza proveniente dalla finestra lo trasportò via, diffondendolo nell'aria della sera. Spense la sigaretta in un portacenere sul davanzale e proprio in quel momento Riccardo entrò dal cancello del suo cortile e camminò spedito verso di lei, riparandosi sotto un ombrello nero.

Si alzò in piedi di scatto e tentò di fare arieggiare il salotto scuotendo una mano in aria, come a scacciare delle mosche immaginarie. La voce di Riccardo la fece sussultare:

"Dlin dlon" Si era affacciato alla finestra aperta imitando il campanello.

Selvaggia sussultò e gli sorrise, corse ad aprirgli. Riccardo chiuse l'ombrello lasciandolo fuori dalla porta a scolare ed entrò in casa col suo sorriso da bravo ragazzo.

"Ciao..."

Si avvicinò per stamparle un bacio sulle labbra. Fece qualche passo nella stanza mentre lei chiudeva la porta e si voltò a guardarla.

"Hai fumato?"

A Selvaggia sembrò più un'accusa che una domanda. "Mmm... Può darsi."

Si rifugiò in cucina, dove Riccardo la seguì e si guardò attorno, spaesato.

"E... Cosa si mangia?"

Selvaggia lo guardò confusa. Ma prima di chiedergli spiegazioni ricordò quello che si erano detti poche ore prima nel pub, quando lui era andato a trovarla mentre lavorava, e sgranò gli occhi: Gli aveva detto che avrebbe preparato qualcosa per entrambi, ma se ne era completamente dimenticata. Si portò una mano alla bocca, guardandolo dispiaciuta.

"Me ne sono scordata! Mi dispiace!"

Riccardo strinse le labbra, assorto, ma non volle farsi prendere impreparato. Afferrò il suo cellulare e ordinò due pizze da asporto. Ormai sapeva i gusti di Selvaggia senza doverle chiedere come la volesse.

La ragazza sospirò e si sedette su una sedia del tavolo da pranzo. "Grazie... Perdonami, ultimamente sono un po' confusa."

Il gatto si strusciò sui polpacci del ragazzo, che subito lo prese in braccio e iniziò ad accarezzarlo.

"Non sapevo che fumassi." Le si avvicinò, cambiando argomento.

Selvaggia lo guardò confusa. "Che fumassi?"

"Sì... Si sente che hai fumato." Spiegò, mimando l'odore nell'aria.

Selvaggia credeva che fumando davanti alla finestra aperta non rimanesse odore in casa. "Ti sbagli, quando ci siamo conosciuti già fumavo."

Riccardo fece mente locale. "È vero, ora che mi ci fai pensare ricordo qualcosa, ma in questo mese e mezzo non ti avevo più vista con una sigaretta in mano."

Lei lo guardò, stupita. In effetti era vero, da quando avevano iniziato a uscire insieme non aveva più fumato. Ripensandoci, si accorse che non aveva più comprato un pacchetto di sigarette e quella che aveva appena fumato era di un pacchetto che si era ritrovata in fondo alla borsa, dimenticato lì chissà da quanto. Deglutì e si alzò, togliendo il gatto dalle braccia di lui.

"Scusa, amore mio, mi sono dimenticata di darti da mangiare." Lo accarezzò e lo mise a terra per dargli le sue crocchette.

Vedendola dirigersi verso lo sportello in cui le teneva, il gatto si fiondò lì prima di lei e cominciò a miagolare, affamato. Si chetò soltanto quando poté affondare il muso nella sua ciotola colma di pappa.

"Se non sapessi che è un affamato cronico direi che non mangia da una settimana." Riccardo ridacchiò, guardandolo abbuffarsi.

Selvaggia non rispose, non voleva ammettere che l'ultima volta che aveva dato da mangiare al gatto era il giorno prima, e avendo piovuto tutto il pomeriggio, non era nemmeno uscito a caccia di lucertole o topi. Lo osservò mangiare per un po' e tornò a sedersi sulla sua sedia davanti alla finestra a guardare il cortile e, dimenticandosi completamente di Riccardo, prese il pacchetto dalla borsa e si accese un'altra sigaretta.

Lui la osservò in silenzio e le si avvicinò, preoccupato. "Che cosa ti sta succedendo, Selvaggia?"

Anche questa volta Selvaggia non rispose. Sentì la domanda, in parte se l'aspettava, ma rimase con la sigaretta in mano e buttò fuori il fumo, continuando a guardare il cortile come se fosse assente. Si voltò verso di lui con un sorriso tirato in viso.

"Niente... Sono solo molto stanca." Si morse le labbra e tornò a guardare fuori.

"Perché non ti apri con me?"

A questa domanda Selvaggia si bloccò e si voltò verso di lui. "Che cosa...?"

Riccardo si inginocchiò di fronte a lei. "Non tenerti tutto dentro, puoi parlare con me. Non ti giudicherò, qualsiasi cosa tu debba dirmi."

Selvaggia lo guardò sconvolta. Perché le stava dicendo quelle cose? Sbatté le palpebre, era senza fiato, ma anche se avesse voluto non avrebbe potuto parlargliene. Deglutì e si sforzò di sorridere.

"Ma non c'è proprio niente. Sono solo molto stanca. Credimi."

Lui la osservò e si chinò vicino a lei, prendendole la sigaretta di mano e spegnendola nel portacenere sul davanzale.

"Hai ragione, scusa." Le afferrò le mani e le baciò le nocche. "Vorrei solo che sapessi che non devi aver paura di parlare con me, puoi dirmi di tutto, senza remore. D'accordo?"

*

Riccardo la guardò negli occhi per diversi istanti, sincerandosi che avesse compreso ciò che voleva dirle. Ma dopo un po' si dimenticò delle sue intenzioni e si avvicinò per baciarla. Quelle labbra morbide e invitanti gli fecero dimenticare cosa avrebbe voluto dirle, e il modo in cui rispondeva al suo bacio risvegliò in lui quella voglia che non riusciva mai a saziare. Ma all'improvviso il citofono interruppe quel momento e Selvaggia si alzò di scatto.

"Le pizze!"

Andò ad aprire e pagò il ragazzo alla porta senza chiedergli niente, si diresse in cucina e appoggiò le pizze sul tavolo, come se non avesse nessun pensiero al mondo.

Riccardo sospirò alzandosi da terra e dirigendosi al tavolo da cucina. Si rese conto che attendere che fosse lei a parlargli dei suoi problemi poteva diventare un'attesa troppo lunga. Forse avrebbe dovuto pensarci da solo...

***

Selvaggia terminò di allacciarsi le stringhe delle scarpe e andò a prendere il suo giacchetto e il suo ombrello; oramai erano tre giorni che pioveva, faceva alcune pause di mezz'ora e poi ricominciava, senza dare cenno di voler cambiare. Sembrava seguire la scia del suo stato d'animo: a tratti pensava di poter superare l'accoglienza che le aveva dato quell'uomo, ma per il resto del tempo si sentiva di aver sbagliato a volerlo incontrare. Era solo una fallita... tutta la sua vita era un fallimento.

Stava per uscire e comprare qualcosa da mettere sotto i denti, e magari cucinare per Riccardo, tanto per farsi perdonare per la sera prima. Eppure non le aveva fatto pesare quella mancanza, era addirittura rimasto con lei tutta la notte nonostante non avessero fatto l'amore come le altre volte. Sembrava aver creduto alla scusa della stanchezza anche se quel discorso sul potersi aprire con lui l'aveva lasciata scombussolata.

Perché le aveva fatto quella supplica? Le venne per un attimo l'atroce dubbio che l'avesse riconosciuta quella mattina, travestita da suora... ma se così fosse glielo avrebbe detto. Perché tenerle nascosto di averla riconosciuta? Non aveva senso.

Indossò il giacchetto e uscì di casa, constatando che aveva smesso di piovere. Ma non si illudeva, era solo una tregua di pochi minuti, poi avrebbe ripreso.

Raggiunse la piccola piazza dove c'era il supermercato e passò a prendere il pane fresco dal panificio. Entrò dalla porta di vetro e le campanelle sulla sua testa avvisarono del suo arrivo, ma dentro la bottega c'erano già tre persone che aspettavano il loro turno. Una tra queste, una signora anziana con dei corti capelli biondi pettinati con un'acconciatura anni sessanta, si voltò verso di lei e la salutò con un sorriso, come se la conoscesse.

Si mise ad attendere il suo turno ascoltando la radio in sottofondo che trasmetteva Another brick on the Wall. Si mise a canticchiarla nella sua testa e si guardò intorno, osservando i prodotti in vendita. Dopo la canzone, iniziò il radio giornale con le notizie del giorno. Il proprietario del panificio finì di servire una signora dai riccioli neri e iniziò a servire un uomo sulla cinquantina. Davanti a lei c'era solo la donna che l'aveva salutata. La radio intanto passò in rassegna le notizie sportive e quelle di cronaca, finché la voce dello speaker non fece il nome di Lo Iacovo.

"Sembra che durante la notte le condizioni dell'ex boss del clan Lo Iacovo siano peggiorate drasticamente. A seguito di una violenta crisi respiratoria è stato trasportato urgentemente all'ospedale San Giuseppe di Milano in prognosi riservata..."

Proprio nel momento in cui la moglie del panettiere si rivolse a lei per servirla, Selvaggia si voltò e uscì dalla bottega, lasciando stupefatti tutti gli altri, che si guardarono confusi chiedendosi perché fosse scappata a quel modo proprio quando toccava a lei.

Appena aveva sentito quella notizia alla radio il suo cuore aveva preso a correre, come se la morte di quell'uomo che conosceva a fatica potesse essere significativa per lei. Lui era il solo che poteva dirle se sua madre fosse ancora viva, ma se fosse morto non avrebbe più potuto saperlo.

Camminava veloce, evitando le pozzanghere, senza guardarsi attorno. Doveva arrivare a casa e prendere quella veste da suora che la Madre Superiora le aveva lasciato. Era come se sapesse che le sarebbe servita di nuovo. Di colpo si bloccò in mezzo alla strada, colpita da un pensiero importante: all'ospedale l'avrebbero sicuramente perquisita e chiesto i documenti, e lei non li aveva, la Madre Superiora se li era portati con sé. Avrebbe dovuto chiederglieli. Sospirò rassegnata riprendendo la marcia, non avrebbe voluto coinvolgerla nuovamente, ma non poteva fare altrimenti.

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