Capitolo Ottantacinque
C'era una grande folla tutt'attorno a lei, un brusio continuo di gente che le camminava accanto, che la sfiorava con i fianchi o con le mani, che la trasportava a passo spedito, senza volerlo, verso l'uscita del gate dell'aeroporto di Catania. Alla sua destra c'era una mamma con un bambino per mano, che la seguiva con lo sguardo curioso e l'aria timida, dall'altra un uomo in giacca e cravatta, che non aveva fatto in tempo a scendere dall'aereo che subito si era infilato un auricolare in un orecchio, aveva composto un numero sul proprio cellulare e aveva iniziato a discorrere con chissà chi di cose che per lei erano senza senso.
Smise di guardarsi intorno quando afferrò finalmente la sua valigia e si diresse verso l'uscita del gate. Una volta varcata quella porta scorrevole intravide subito il signor Girolamo, sempre con un completo di tintoria e la testa calva e lucida sotto le luci della sala, intento a guardarsi attorno per cercarla tra la folla. Gli si fermò proprio di fronte e, appena gli occhi di lui si posarono su di lei, i baffi che era tornato a portare gli si allungarono per seguirne il sorriso.
"Ciao, Selvaggia, ben tornata."
Mai benvenuto fu così caldo come quello che le rivolse; un sorriso sincero le ammorbidì lo sguardo. "Grazie, Girolamo. Le stanno bene i baffi."
Il signor Girolamo fece sentire una risatina e se li lisciò. "Oh, grazie... Ogni tanto mi piace avere qualcosa sotto il naso."
Selvaggia scoppiò a ridere, quei baffi le ricordavano la sua adolescenza, durante quell'esperienza traumatizzante del suo passato dove lui ebbe un ruolo cruciale per tirarla fuori dai guai.
Girolamo le offrì un caffè al bar dall'aereoporto e la accompagnò alla sua auto. "Posso ospitarti a casa di mia madre. Lì puoi stare comoda e non ti darà fastidio nessuno."
"Ma non sarò io a dare noia a lei?" Si preoccupò.
"Mia madre è morta da una decina d'anni, direi proprio di no."
Si portò una mano alla bocca. "Oh, mi dispiace!"
"Non fa niente."
Il viaggio fino alla casa della madre di Girolamo proseguì in silenzio. Selvaggia osservò la città per tutto il tempo assorta in una specie di limbo. Rivedere quei luoghi familiari le fece realizzare lo strano disegno della sua vita, rammentò Giancarlo e tutte le gioie e i dolori che la sua terra le aveva regalato come se appartenessero a un'altra epoca. Le sembrava che ultimamente avesse vissuto in un'altra dimensione, completamente all'opposto: con una casa, un gatto e un lavoro indipendente... E con un ragazzo!
Riccardo si fiondò nei suoi pensieri come un'isola felice in un mare in tempesta, dove sapeva potervi trovare pace e amore, ma sapeva anche che prima doveva affrontare e vincere la tempesta per potersi godere la pace dell'isola.
Solo che non aveva avvertito la sua isola felice che stava per affrontare la tempesta.
Un'improvvisa paura la colpì al petto: e se l'isola felice non ci fosse più stata una volta affrontata la tempesta?
Non conosceva così bene Riccardo da essere certa che l'avrebbe capita, o aspettata. In effetti era questo il motivo per cui non gli aveva detto niente: lui era un tutore della legge e lei la figlia bastarda di un'ereditiera di un boss mafioso... Erano ai due opposti della legalità, forse non avrebbero mai dovuto stare insieme. Se sua madre si fosse rivelata ben che meno onesta, sempre che l'avesse trovata, cosa avrebbe fatto? Come avrebbe potuto conciliare la sua relazione con Riccardo con la voglia di conoscerla e averla vicina? Non volle esprimere il pensiero che forse sarebbe meglio trovare la sua tomba e mettersi l'anima in pace. Sperò solo che Riccardo potesse almeno perdonarla, anche se non era sicura che lo avrebbe mai rivisto.
Girolamo parcheggiò la macchina lungo una stradina secondaria e sorrise a Selvaggia. "Siamo arrivati." Scese dall'auto e recuperò la sua valigia dal bagagliaio.
La ragazza scese a sua volta e lo seguì oltre un portone di una palazzina bifamiliare. La porta dell'appartamento della madre aveva ancora quel tocco femminile di una donna di altri tempi, con il campanello in ottone e il tappetino marrone un po' consunto.
"Chi ci abita, lì?" Indicò la porta di fronte.
"Io." Girolamo sorrise e aprì la porta col tappeto consunto.
Entrò invitandola a fare altrettanto, trasportando la valigia di Selvaggia in camera da letto. Selvaggia si guardò attorno, si ritrovò in un piccolo ingresso con un mobile in legno scuro sormontato da un grande specchio in una cornice dello stesso stile, dove era posato un telefono anch'esso antico, uno di quelli con la rotella per comporre il numero. Un attaccapanni a muro, sempre in legno, teneva appeso su di sé un piccolo stemma con un'immagine sacra e, accanto c'era una scarpiera anch'essa in legno. Appeso al soffitto, un lampadario con alcune gocce di vetro e le lampadine vecchie, di quelle che non vendono più nemmeno al supermercato.
"Era una donna molto anziana?" Era intimorita da quella casa dall'aspetto rigido.
Girolamo sbucò dalla porta della camera da letto. "Sì, era del '23. Anzi, è vissuta anche molto a lungo. Mio padre è morto giovane e lei è sempre stata una persona molto credente, da quando divenne vedova ancora di più."
Si sentiva che in quella casa non viveva più nessuno da molto tempo, l'aria era ferma e l'odore di chiuso si avvertiva forte e chiaro. Seguì l'uomo fino alla cucina, che trovò esattamente come si aspettava: i mobili erano visibilmente antiquati, di legno scuro e dallo stile ormai passato, i fornelli, anch'essi in stile antico, avevano l'aria vissuta ma tenuta bene. In compenso era una casa che raccontava il carattere della sua precedente padrona, testimoniando quanto le donne di un tempo erano dedite alla pulizia e alla famiglia.
Girolamo accese la stufa a cherosene, spiegandole brevemente come si accendeva, e si accomodò a tavola. "Ti va di sederti?"
Selvaggia si sedette, circospetta, sapeva già quale discorso volesse intavolare. E infatti non fu sorpresa dalle parole che le riservò.
"Non che non sia felice di ospitarti e di rivederti dopo tutto questo tempo, ma mi chiedo cosa ti abbia portato così frettolosamente di nuovo in Sicilia. Per telefono non mi hai detto niente, è qualcosa di serio?"
Come avrebbe potuto spiegargli il vero motivo per cui era tornata in Sicilia?
"Avevo bisogno di tornare un po' alle mie radici." Gli sorrise, indecisa. "Volevo staccare per un po' dalla vita frenetica di Milano, sa, là si ha poco tempo per pensare a sé stessi."
Girolamo la guardò in silenzio per alcuni secondi, come a studiarla, non sembrava pienamente convinto di quella scusa. "E quanto pensi di trattenerti?"
"Oh, sono certa che potrei trovare un altro alloggio, se─"
"Calma, calma." La interruppe lui. "Mi hai capito male, volevo solo sapere quanto hai deciso di restare in Sicilia, ma in questa casa puoi restare fin quando vorrai, non c'è nessun problema."
Selvaggia tirò le labbra in un sorriso forzato. "Scusi... So bene quanto le faccia piacere che io sia qui."
"Esatto!" Ribadì lui. "Ma va bene, capisco che sei stanca e probabilmente hai fame, sono già le otto di sera."
Selvaggia sorrise, questa volta di un sorriso sincero. "Sì, effettivamente sono abituata a mangiare verso quest'ora."
Un pensiero le attraversò la mente, un fatto che la sconvolse interiormente, facendola sentire in errore. Di solito a quest'ora Riccardo suonava alla sua porta per passare delle piacevoli ore insieme, spesso con qualcosa da mangiare tra le mani e quel sorriso splendido e luminoso sulle labbra. Se lo figurò suonare al suo campanello insistentemente senza ricevere risposta, mentre cercava di guardare dalla finestra un segnale della sua presenza.
"Selvaggia, tutto bene?"
La voce di Girolamo la strappò dai suoi pensieri. Si sforzò di sorridere e si alzò in piedi.
"Sì... Ha solo ragione lei, ho fame. Ha detto che ha comprato qualcosa per cena?" Si avvicinò al frigorifero ma prima che potesse aprirlo Girolamo si alzò in piedi a sua volta.
"Sì, ma ho appena cambiato idea, permettimi di portarti a mangiare fuori. Così non dovrai cucinare e mangeremo senza sporcare niente."
Selvaggia si morse le labbra, indecisa, ma le affermazioni dell'uomo non sembravano ammettere un diniego. "Va bene... Se proprio insiste."
Girolamo sorrise e la scortò con gentilezza verso la propria macchina, fino a un ristorante poco lontano in cui sapeva cucinavano dell'ottimo pesce. Ma Selvaggia non fece che pensare a Riccardo tutto il tempo. Lo immaginava nell'atto di suonare alla sua porta senza ricevere risposta, riusciva perfino a vedere spegnere quella luce nei suoi occhi quando si rendeva conto che di lei non c'era più alcuna traccia.
***
Stava piovigginando insistentemente quella sera, l'intera città di Milano era avvolta da una pioggia persistente e fitta, che scoraggiava chiunque a uscire di casa per preferire una bella serata davanti alla TV e al calduccio sul proprio divano. Chiunque, tranne Riccardo che, come ormai era sua abitudine, stava camminando verso l'appartamento di Selvaggia con un ombrello in una mano e un sacchetto di cibo d'asporto nell'altra.
Camminava spedito, cercando di evitare le pozzanghere, e non si accorse che dalla finestra di Selvaggia non filtrava nessuna luce quando varcò il cancello del suo cortile interno. Arrivò trafelato di fronte alla sua porta e suonò il campanello, afferrando in modo maldestro il sacchetto con la stessa mano con la quale teneva l'ombrello. Solo allora si accorse del buio della finestra. Corrugò la fronte e suonò nuovamente, pensando che si fosse addormentata e non avesse nessuna luce accesa nel soggiorno.
Suonò altre due volte, senza risultato. Uno strano tocco soffice e caldo gli sfiorò i pantaloni. Abbassò lo sguardo e incontrò gli occhi del gatto di Selvaggia, che lo guardava da sotto in su con la coda diritta e la speranza di qualcosa. Fece sentire un miagolio squillante e prese a strusciarsi nuovamente sui suoi pantaloni umidi.
"Luke, che ci fai fuori con questo tempo?"
Qualcuno fece schioccare le labbra per riprodurre quello strano richiamo per i gatti, e l'attenzione di Luke venne attratta dalla persona dietro di lui. Si voltò verso la casa della vicina, Caterina, che uscì sulla porta del suo appartamento con un ombrello in mano, nella ovvia ricerca proprio del gatto:
"Micio? Dove sei, vieni che sta piovendo!"
Riccardo le si avvicinò sotto la pioggia. "Caterina, buona sera!"
La donna strizzò gli occhi, non riusciva a vederlo bene alla scarsa luce dei lampioni, finché Riccardo non le fu abbastanza vicino. "Oh, Riccardo... Buona sera a te!"
"Mi scusi, sa dove si trova Selvaggia?" Le indicò il portone dietro di sé.
La donna sembrò un po' perplessa. "Non dirmi che non ti ha detto niente!"
Riccardo sembrò cadere dalle nuvole. "Perché, dov'è andata?"
Caterina strinse le labbra, guardandolo con uno sguardo dispiaciuto. "Mi dispiace, caro, Selvaggia è partita con tutte le sue cose in una valigia, mi ha lasciato il gatto pregandomi di tenerlo per lei e poi ha detto che stava tornando in Sicilia."
A Riccardo sembrò che gli stesse franando il mondo sotto i piedi. "Ma... Non le ha detto perché, o quanto sarebbe stata via?"
"No... Mi dispiace."
Restò per alcuni secondi imbambolato, cercando di digerire questa affermazione. Sembrò riprendersi e salutò la donna, che gli restituì un sorriso pietoso e tornò in casa con il gatto. Riccardo tornò alla sua automobile, dove entrò e rimase a guardare fuori dal parabrezza le gocce di pioggia che si infrangevano contro il vetro, che creavano una musica triste e derisoria per le sue orecchie.
Perché se n'era andata così all'improvviso, senza nemmeno dirgli niente? A quel punto gli fu chiaro che tutte le supposizioni che si era fatto su di lei erano vere, non poteva essere altrimenti. Mise in moto e tornò a casa, deciso a non restarsene con le mani in mano.
Non avrebbe potuto restare a Milano mentre la ragazza che amava stava affrontando qualcosa molto più grande di lei senza il suo aiuto... Poco importava che avesse cercato di lasciarlo fuori da quella storia.
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