Capitolo Novantuno
Era davvero una stupida!
Continuava a ripetersi all'infinito questa nenia continuando ad asciugarsi le lacrime dal viso. Era ovvio che avesse fatto finta di non conoscerla. Cosa credeva, che le sarebbe corso incontro abbracciandola e baciandola davanti al braccio destro di don Carmelo? Sarebbe stato un folle!
Si sedette sul letto e si asciugò meglio il viso con le mani. La speranza tornò a rifiorire nel suo cuore; doveva solo avere un po' di pazienza e Riccardo avrebbe trovato un modo per portarla via da lì.
Si alzò e si diresse nel bagno. Aprì il rubinetto della vasca e tornò in camera con rinnovato ottimismo. Spalancò l'anta dell'armadio per trovare un abito che si era provata e che le era piaciuto particolarmente. Era di un tenue color pastello, con una scollatura audace e il corpetto aderente. Le piaceva come le valorizzava le gambe, giocando con i polpacci a ogni passo. Lo afferrò e lo appese all'anta dell'armadio. Lo rimirò per alcuni secondi, pensando alla faccia di Riccardo quando l'avrebbe vista con quello addosso. Sorrise di un piacere segreto e tornò in bagno.
Si accorse che la vasca non si era riempita minimamente. Sbuffò per il contrattempo e vide che il tappo non era posizionato bene e non tappava lo scarico. Si chinò appoggiandosi al bordo, ma allungando una mano per sistemarlo si accorse che una delle bocchette dell'idromassaggio era lievemente spostata dalla sua posizione originale. La smosse per rimetterla a posto e questa si girò su se stessa di centottanta gradi e, contemporaneamente, la vasca si spostò di pochi millimetri verso il muro, entrando verso l'interno.
Spaventata, credette di averla rotta in qualche modo e per istinto afferrò i bordi della vasca e iniziò a tirarla verso di sé, nella speranza di riportarla alla posizione di prima. Ma la vasca non si mosse. Ci mancava solo che la accusassero di aver rotto la vasca idromassaggio. Si passò le mani nei capelli e si mise di nuovo a tirarla, ma senza risultati. Iniziò a camminare avanti e indietro, come un leone in gabbia. Se aveva davvero rotto la vasca cosa sarebbe successo? La studiò cercando di capire come potesse farla tornare come prima. La tastò in ogni altra parte e, senza volerlo, anche la seconda bocchetta dell'idromassaggio girò su sé stessa, esattamente come la prima, e la vasca si mosse ulteriormente verso l'interno del muro per altri pochi centimetri, senza fare il minimo rumore. Insospettita, restò a fissarla per alcuni secondi, chiedendosi cosa nascondesse quel meccanismo e si affrettò a girare tutte le altre bocchette: la vasca rientrò silenziosamente all'interno del muro, in un movimento fluido e continuo, aprendole un varco da dove poteva passare agevolmente.
Non poteva credere ai suoi occhi.
Con il cuore a mille si affacciò in quel pertugio, scoprendo una sorta di cunicolo che dava su una lunga scalinata ricavata dalla nuda pietra, che scendeva e si perdeva nel buio più totale. Si guardò attorno per cercare qualcosa che potesse farle luce. Scendere per quella scala senza una torcia o un lume poteva essere molto pericoloso. Trovò il suo accendino, ma farlo adesso sarebbe stato altrettanto pericoloso; era quasi l'ora di cena e se don Carmelo non l'avesse vista in sala da pranzo avrebbe sicuramente mandato qualcuno a cercarla e si sarebbe bruciata una probabile via di fuga.
Rigirò tutte le bocchette e la vasca tornò nella posizione originale, senza fare il minimo rumore. Emozionata da questa scoperta si affrettò a lavarsi. Non voleva perdere altro tempo, doveva trovare una qualche fonte di luce maggiore per scoprire dove portava quel tunnel.
Si ricordò che suo padre le aveva spesso parlato di cunicoli segreti ritrovati nelle case confiscate alla mafia, da cui i vari boss scappavano e si davano alla latitanza. Ma qualcosa le diceva che don Carmelo era all'oscuro di quel tunnel. Forse era stata addirittura sua madre a farselo costruire, e forse l'aveva addirittura usato per scappare di lì... no, un momento, don Carmelo le aveva fatto intendere che sua madre stava bene in quella casa, non aveva nessun motivo per scappare. E allora perché costruirsi una via di fuga?
C'era qualcosa che non tornava.
Finì di vestirsi e si infilò un fermaglio tra i capelli, per toglierseli dal viso e mettere in risalto i suoi occhi. Avrebbe voluto anche qualcosa per truccarsi, per valorizzarsi agli occhi di Riccardo, ma ripensandoci era meglio di no. Avrebbe potuto attirare l'attenzione di don Carmelo e farlo insospettire. Meglio rimanere acqua e sapone.
Aprì la porta per recarsi in sala da pranzo e il cuore le balzò in gola alla vista di Riccardo che l'attendeva appena fuori. Era vestito come tutti gli altri buttafuori del boss, con camicia, cravatta e giacca neri, ma su di lui quelle vesti prendevano vita. Gli sembrò impacciato, soprattutto quando si scostò per farla passare.
"Ho avuto l'ordine di scortarla fino alla sala da pranzo. Prego."
Le fece un gesto in direzione delle scale e si ammutolì, senza degnarla di un altro sguardo.
Stava per dirgli che non c'era bisogno di tutta quella manfrina, ma si accorse della presenza dell'energumeno del boss poco distante, che lo fissava in cagnesco. Sospirò amareggiata e iniziò a scendere le scale, senza badare che la seguissero. Avvertì i loro passi dietro di sé ma non volle accertarsene.
Arrivò di fronte alla sala da pranzo e Riccardo accorse per aprirle la porta. Restò impalato accanto a lei senza nemmeno guardarla e gli passò accanto fingendo indifferenza. Quanto avrebbe voluto farsi stringere di nuovo da quelle braccia forti!
Nella sala da pranzo c'erano don Carmelo e Loredana che parlavano pacatamente con un uomo sulla sessantina, dai capelli bianchi ma il portamento ancora giovanile. Stette a osservarli finché Loredana non alzò gli occhi su di lei.
"Selvaggia, sei arrivata, finalmente!"
Don Carmelo e il suo ospite alzarono contemporaneamente lo sguardo.
"Oh, eccoti qua!" don Carmelo alzò un braccio, invitandola ad avvicinarsi. "Ti presento don Carmine Salvetti. Sono contento di fartelo conoscere, è da tanto che voleva incontrarti."
Quest'ultimo le afferrò una mano e, con una galanteria di altri tempi, la sfiorò con le proprie labbra.
"Sono veramente incantato dalla vostra bellezza, signorina. Vostro zio aveva ragione, siete incredibilmente simile a vostra madre."
Gli occhi dell'uomo brillarono in modo strano, trasmettendole un forte senso di disagio. Spostò lo sguardo attorno a sé e l'occhiata profonda di Loredana sembrava metterla in guardia. Don Carmelo, invece, aveva uno sguardo di cupidigia. La luce che gli brillava negli occhi la fece sentire come un pezzo di carne da macello.
*
Riccardo respirò il dolce profumo di Selvaggia mentre gli passava accanto per entrare in sala da pranzo. Si affrettò a chiudere la porta, ma Antonio gli si accostò con fare burbero.
"Qualsiasi cosa tu ti sia messo in testa, scordatela!"
Non capì. "Di cosa stai parlando?"
"Degli occhi dolci che hai fatto alla nipote del capo. Lo vedrebbe anche un cieco di come la guardi. Prego, signorina, le apro la porta... Aspetti, la scorto per le scale." Lo scimmiottò con voce stridula. "Guarda che qui è solo don Carmelo che decide. E per lei ha già deciso."
Le ultime parole lo misero in allarme. "Che vuol dire che per lei ha già deciso?"
L'uomo sbuffò di derisione. "Cosa credi, che questa cena con questo ospite sia solo di svago?"
La verità piombò sul suo stomaco, facendolo precipitare in un buco nero. Don Carmelo voleva accasarla con quel vecchio? La situazione stava diventando ancora più difficile.
***
Durante l'intera cena, Selvaggia stette seduta a quel tavolo lasciandosi travolgere da una noia mortale. Con un orecchio ascoltava i discorsi di affari che intercorrevano tra i due uomini, che sembravano essersi dimenticati sia di lei che di Loredana dal momento in cui si erano seduti a tavola.
Anche la donna doveva annoiarsi a morte, ma restò a mangiare per tutto il tempo come se non gliene importasse. Si era fatta un idea precisa dell'uomo seduto con loro. Dato il suo portamento arrogante, il suo modo di fare pretenzioso e la voce da uomo di comando, dedusse che anche lui apparteneva alla malavita. Forse ricopriva un ruolo simile a quello di don Carmelo, a capo di un'altra famiglia altrettanto importante. Si domandò distrattamente il motivo della sua presenza, ma la sua mente era maggiormente occupata dal cunicolo che aveva appena scoperto. Chissà a dove portava, chissà se avrebbe potuto sfruttarlo in altri modi oltre a scappare di lì.
Le venne servito un succulento piatto di roastbeef, che degnò di poca attenzione. Non vedeva l'ora che quella cena finisse. Loredana, durante l'intera serata, continuava a lanciarle occhiate penetranti. Sembrava che le desse fastidio la sua presenza, ma al tempo stesso sembrava intimorita dal parlarle. Selvaggia si disse che fosse meglio così, non sopportava quella donna dal primo istante. Meno le parlava meglio era.
Finita la cena, una volta sazi, poterono alzarsi dalla tavola e don Carmelo e il suo ospite spostarono nuovamente l'attenzione su di lei. Il facoltoso ospite del boss si permise di sorriderle e di appoggiarle una mano sull'avambraccio. A quel contatto Selvaggia ebbe un fremito di disgusto.
"Io e tuo zio non potevamo essere più d'accordo sulla scelta che abbiamo fatto. Dopo tanti anni, l'affare che tua madre mandò a monte potrebbe concludersi molto meglio di come previsto, e non vedo l'ora che ciò accada."
Le ultime parole, pronunciate con un tono profondo e sensuale, le fecero accapponare la pelle. Iniziò a sospettare che la sua presenza lì assieme a quell'uomo non fosse solo un caso. Si accorse della strana occhiata ancora più penetrante di Loredana, fu come se la donna le avesse letto nel pensiero, affermando ciò che aveva pensato: Don Carmelo si stava servendo di lei per i suoi affari.
Fu presa dal panico e rimase in silenzio, l'uomo continuava a sorriderle ignaro dei suoi pensieri. Alla luce di ciò che aveva capito la sua figura prese l'aspetto di un mostro, e senti sempre più forte il bisogno di scappare da quella villa.
Don Carmelo le lanciò uno sguardo ben peggiore. Le volle far intendere che ormai era di sua proprietà, che il suo volere non aveva più significato, e che era lui a decidere per il suo futuro. Restò a fissarlo a bocca aperta, incapace di parlare, di reagire. I due uomini si avviarono fuori dalla sala da pranzo e dalla porta, lasciata aperta, intravide Riccardo e il braccio destro di don Carmelo impettiti a seguire i due uomini. Riccardo non si voltò nemmeno nella sua direzione e lei precipitò in un abisso di disperazione. Se non fosse riuscita ad andarsene da quel posto sarebbe stato impossibile evitare che ciò che i due uomini avevano concordato si avverasse.
Risvegliandola dal suo mondo, Loredana le si avvicinò. "Tua madre aveva mandato a monte i piani che avevano fatto per lei, scappando da qui senza lasciare tracce e partorirti chissà dove. Peccato che poi sia scomparsa nel nulla."
Le sue parole erano pungenti, graffianti, ma la sua espressione sembrava rammaricata.
"Doveva essere mia madre a far divertire quell'uomo?"
La donna scosse la testa. "Non doveva solo farlo divertire. Don Carmelo l'aveva promessa in sposa a lui, in cambio di un quartiere della città di don Carmine."
"Un quartiere della città?"
Era confusa, possibile che i due si scambiassero le città come in un qualsiasi gioco di ruolo? Ma lo sguardo derisorio dell'altra la fece ricredere.
"Don Carmine è siciliano di nascita e di origine, ma abita in America ed è lì che hai esteso il suo impero."
Parlava di quell'uomo come se fosse stato un Dio, provocandole nausea.
Quella sera stessa sarebbe scappata da lì, esattamente come fece sua madre.
***
Riccardo e Antonio avevano seguito i due uomini fino all'ufficio di don Carmelo, dove avevano continuato a parlare di affari come se a loro fosse tutto dovuto, fomentando la stizza del carabiniere che ascoltava quei discorsi del tutto impotente. Il discorso si spostò sull'accordo che prevedeva l'uso di Selvaggia come merce di scambio e dovette fare uno sforzo sovrumano per non reagire in alcun modo.
"Ricordavo che tua nipote fosse di una bellezza entusiasmante, ma sua figlia l'ha superata, ha preso la stessa bellezza e lo stesso portamento regale dalla madre. È decisamente più bella di lei."
"Siamo dunque d'accordo sui termini del nostro patto."
Don Carmelo giunse le mani davanti a sé, compiacente, appoggiandosi allo schienale della sedia della sua scrivania.
"Non correre troppo, vecchio mio." Don Carmine sorrise, facinoroso. "La transazione si effettuerà solo ad accordo terminato. Quando saremo ufficialmente sposati davanti a Dio tu potrai avvalerti del ricavato di una grande città americana."
Don Carmelo fece sentire una risatina. "Andiamo, alla fine è solo un paese come un altro. Non mi vanterei così tanto se fossi in te."
"Dimentichi che i paesi in America, per grandezza e popolazione, possono sostituire di gran lunga a città come Catania e forse anche Palermo. In Italia vi sognate una popolazione simile."
L'altro sembrava punto sul vivo: "Vuoi farmi credere che la situazione è cambiata?"
"Diciamo che vent'anni fa la parte che ci metto io era un tot e adesso è aumentata, come è normale che sia, mentre la tua, anche se è più giovane e fresca, ha lo stesso valore di allora."
"Io non sto facendo richieste ulteriori, tu invece mi pare di sì." I discorsi di don Carmine iniziarono a essere meno affascinanti di prima.
"Sto chiedendo solo quello che mi spetta di diritto."
"I patti sono stati concordati e accettati così com'erano." Sbraitò, irritato. "La zona che mi spetta non può diminuire solo perché nel frattempo è aumentata di popolazione!"
L'altro non si scompose e restò impassibile davanti alla sua ira.
"Stai tranquillo... Potremmo fare un piccolo strappo. Quanto ci tieni alla tua donna?"
Non che a Riccardo importasse più di tanto della donna del boss, ma ciò che sentivano le sue orecchie gli stava facendo salire la nausea. Non avrebbe mai permesso che la ragazza di cui era innamorato finisse con un maniaco malavitoso come quello. Doveva sbrigarsi a terminare la sua missione. Doveva muoversi quella stessa notte.
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