Capitolo Novantadue
Era andata a letto da più di un'ora ma non era riuscita a prendere sonno. Il pensiero dell'accordo stipulato dai due uomini la metteva in agitazione. Alla fine aveva scoperto il motivo per cui don Carmelo l'aveva attratta nella sua trappola: doveva tener fede a un patto esistente da venti anni. Inorridì al solo pensiero, e pur non volendolo, iniziò a comprendere anche sua madre e perché fosse scappata da lì. Da quel che le aveva raccontato Loredana, era già incinta di lei quando lo zio aveva fatto accordi con don Carmine. Ripensando che dovette scappare in stato di grazia si vergognò di quello che aveva pensato di lei.
Aveva avuto modo di pensare in quelle giornate di tedio. Sua madre era nata in quelle condizioni, era cresciuta tra il lusso, era normale che cercasse di vivere una vita spensierata, non avrebbe potuto fare altrimenti anche se conosceva la sorgente della sua ricchezza. Certo, se fosse stata in lei avrebbe sicuramente cercato di fare qualcosa per tutte quelle persone che suo padre sfruttava, ma non le andava più di demonizzarla. Alla luce di quello che aveva scoperto era intenzionata a seguire il suo esempio.
Si alzò in punta di piedi, facendo più silenzio possibile, e tastò a terra alla ricerca delle sue morbide pantofole. Non osava accendere la luce per non attirare l'attenzione di nessuno; qualche buttafuori di suo zio avrebbe potuto vedere la luce accesa dal giardino e insospettirsi.
Si avvicinò con cautela alla porta, tese l'orecchio e lo appoggiò alla lastra di legno, in allerta ad ogni minimo rumore. Non ne sentì e abbassò lentamente la maniglia. Aprì la porta con un movimento lento, il cuore a mille e i sensi a fior di pelle. Solo una volta aveva cercato di uscire dalla sua camera durante la notte, due giorni dopo il suo arrivo. Al tempo non sapeva che gli scagnozzi di don Carmelo passavano in continuazione per accertarsi che tutto andasse per il verso giusto anche di notte. Mise fuori la testa e si guardò attorno con attenzione. Accertatasi che non ci fosse nessuno uscì finalmente dalla stanza, sempre con molta cautela.
La richiuse a chiave e se la nascose addosso. Si avvicinò con passo felpato alle scale e iniziò a scenderle in punta di piedi, un passo dopo l'altro. Arrivò all'ultimo scalino tenendosi aggrappata alla ringhiera. Si fermò ad ascoltare il silenzio, stette per voltarsi e avvicinarsi alla cucina ma di colpo una mano grande e forte le coprì la bocca, impedendole di urlare.
Spaventata all'inverosimile spalancò gli occhi e tentò di scappare, ma un braccio altrettanto forte le avvolse la vita e la alzò di peso. Nella penombra tentò di colpire alla cieca con i pugni chiusi il suo assalitore, scalciò e si dibatté come poté, ma chiunque fosse era decisamente più forte di lei e senza sforzo la trasportò nel bagno vicino, tenendole una mano sulla bocca. Smise di lottare ma respirava pesantemente. Si appoggiò al lavandino con le lacrime agli occhi, credette che l'ospite di don Carmelo, quel tal Carmine, l'avesse colta di sorpresa nel buio della notte e adesso volesse prendersi quello che, secondo lui, gli spettava di diritto. Strizzò gli occhi e avvertì il suo assalitore accendere la luce dello specchio, senza toglierle la mano dalla bocca. Riaprì gli occhi di scatto e nel riflesso dello specchio vide Riccardo che la teneva ferma.
Le tolse la mano dalla bocca e allentò la stretta attorno alla sua vita. I loro occhi si incastrarono nel riflesso per alcuni secondi, finché si voltò. Non riusciva a credere che fosse veramente lui.
Quegli occhi azzurri e dolci la accolsero, stupiti e sconvolti.
"Cosa diavolo ci fai in giro a quest'ora?" Le sussurrò.
Lei non riuscì a rispondergli e, senza rendersene conto, si aggrappò al suo collo, abbracciandolo forte. Iniziò a piangere, incapace di pensare in modo lucido. Sentì le braccia di lui avvolgersi attorno alla sua figura, consolandola e stringendola a sua volta.
"Perché sei entrata qua dentro? Sei pazza..."
"Volevo... cercare mia madre..." Balbettò tra le lacrime.
Riccardo la allontanò per guardarla negli occhi. Iniziò a scuotere la testa lentamente. "Ti sei comportata da incosciente."
Tirò su con il naso. "Lo so... Sono stata stupida."
Ma lui sembrò imbambolarsi mentre la fissava. Le sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio.
"Sei bellissima anche rossa. Sei davvero quella bambina che conobbi sette anni fa... i tuoi occhi sono sempre gli stessi."
Selvaggia deglutì, sconvolta. "Ti ricordi di me! Ma come..."
Un sorrisetto piegò le labbra di lui. "Pensavi davvero che non ti riconoscessi? Ho capito che eri tu dopo che sei sparita da Milano senza lasciare tracce."
Le lanciò uno sguardo di rimprovero che colpì le corde dei suoi sensi di colpa.
"Mi dispiace... Quel boss che è morto... quello al quale piantonavate la cella─"
"Era tuo nonno. Sì, lo so." La interruppe. "Altrimenti perché saresti venuta qui a cercare tua madre?"
Questo stava a significare che adesso lui sapeva tutto? Non seppe e non volle darsi una risposta. L'unica cosa che le importava in quel momento era che si trovasse lì per lei, per salvarla da quell'inferno... e la guardava con lo stesso identico sguardo di quando erano ancora a Milano.
Fu proprio quello sguardo la rovina di Riccardo. Non riusciva a resistere a quegli occhi verdi e, senza rendersene conto, si avvicinò alle sue labbra e iniziò a baciarla.
Lei si aggrappò alla sua giacca come a una scialuppa di salvataggio. Si dimenticò del motivo per il quale era uscita dalla sua stanza, tornare tra le sue braccia e riassaporare il suo sapore equivaleva a tornare a respirare. Si assaggiarono con rinnovata foga, e senza perdere tempo, iniziarono a spogliarsi.
Selvaggia gli sbottonò la camicia, scostando la giacca e infilando le braccia sotto la stoffa, a contatto con la sua pelle calda. Le loro bocche continuavano a esplorarsi con avidità.
Lui le calò i pantaloni del pigiama e la alzò di peso. La fece sedere sul mobiletto in marmo del lavandino e, scostandole gli slip, la penetrò con foga, alla ricerca di quell'appagamento che solo con lei poteva raggiungere. La sensazione fu devastante per entrambi.
I loro sospiri, per quanto affievoliti dalla paura che potessero scoprirli, saturarono l'aria di quel bagno, immergendoli nel loro mondo. I gemiti soffocati dai baci divennero gli unici rumori che riuscivano a percepire, oltre alle sensazioni del loro amplesso.
Smisero di baciarsi, continuando ad amarsi con una foga mai posseduta. Selvaggia si aggrappò al suo collo e gli leccò il petto, salì con la lingua fino alla mandibola per arrivare all'orecchio, facendolo gemere di piacere. Lui volle contraccambiare il favore e l'afferrò per i fianchi, affondando in lei con più prepotenza. Spinse un paio di volte e godette nel vederla chiudere gli occhi e abbandonarsi all'indietro, dandogli libero accesso alla sua gola.
Iniziò a baciarla sul collo, a succhiarle la pelle, senza smettere di spingere. Tornarono a incastrare le loro bocche in un bacio che li rese assetati. La consapevolezza che qualcuno potesse scoprirli rendeva ancora più eccitante quell'incontro e al tempo stesso speravano che nessuno li scoprisse.
Una mano di Riccardo vagò sul corpo di lei, in cerca del suo capezzolo. Lo trovò e iniziò a stuzzicarlo tra due dita, stringendolo e titillandolo come un nocciolo. Fu a quel punto che la sentì tremare di piacere. Selvaggia si lasciò andare a un orgasmo potente, e lo spettacolo di lei che perdeva il controllo fu troppo per il povero Riccardo, che esplose, e riversò dentro di lei tutto sé stesso.
Rimasero abbracciati nella stessa posizione, cercando di riportare i loro respiri a un ritmo normale. Gli occhi chiusi, i cuori in sincrono e il mondo che tornava alla cruda realtà.
Selvaggia alzò la testa. "Come hai fatto a farti assumere da don Carmelo?"
Lui le accarezzò una guancia, appagando la vista con la sua bellezza. "Ho conosciuto tuo padre, e anche il suo amico Girolamo."
Selvaggia fece tanto d'occhi. "Come─"
"Non ha importanza, adesso. Tu, piuttosto. Dove stavi andando a quest'ora? Quel mafioso ospite di tuo zio sta dormendo nella stanza di fronte alla tua. Se dovesse uscire e trovarti─"
"Potrebbe portarmi nel bagno e prendersi quello che ti sei preso tu?" Terminò per lui.
"Non scherzare! Tu non li hai sentiti parlare... Sono..."
Non riuscì a terminare la frase, ma al solo ricordo strinse maggiormente il braccio attorno a lei.
"Stavo andando in cucina per cercare una torcia." Gli bisbigliò, addosso al petto.
"Una torcia?"
Sorrise, furba. "Nella stanza che apparteneva a mia madre ho scoperto un passaggio segreto."
A Riccardo cadde la mascella. "Dici sul serio?"
Lei annuì. "Ma è completamente al buio, ho bisogno di qualcosa che mi faccia luce per scoprire dove porta."
Lui sembrò per un attimo assorto in considerazioni personali. Guardò l'orologio al polso. "Ho ancora un'ora prima che Gustavo mi venga a dare il cambio." La sollevò dal lavandino e la depositò a terra. "Ricomponiti. Voglio vedere questo passaggio segreto."
Nel buio della notte, aprì lentamente la porta del bagno e ne uscì guardandosi attentamente attorno, aguzzò l'udito per sentire qualsiasi rumore potesse esserci. Non sentì volare una mosca e fece cenno a Selvaggia di uscire a sua volta. Si presero per mano e in totale silenzio attraversarono l'ingresso e salirono le scale. Selvaggia aprì la porta della sua stanza con la chiave che teneva in tasca ed entrarono.
Accese la luce e, sempre in silenzio, lo condusse nel bagno. Riccardo si guardò attorno cercando un qualche segno che indicasse la presenza di un portale, o una prova che qualcosa fosse fuori posto, ma il bagno era perfettamente integro.
"Dove sarebbe?"
Selvaggia gli fece cenno di attendere e si avvicinò alla vasca. Si chinò e girò tutte le bocchette dell'idromassaggio. Appena mosse la prima la vasca iniziò a muoversi lentamente verso l'interno. Quando le ebbe girate tutte la vasca era rientrata verso il muro di parecchi centimetri, permettendo l'accesso a un tunnel segreto.
"Devono esserci dei binari sul quale scorre senza fare rumore."
Si chinò, inginocchiandosi a terra e guardando sotto la vasca.
"Lascia perdere, non è importante!" Selvaggia si avvicinò all'apertura. "Vedi, è impossibile percorrerla senza una luce."
Riccardo si alzò in piedi e le sorrise, sornione. Dalla tasca interna della giacca estrasse una piccola torcia. Allungò una manovella e iniziò a girarla e questa si accese. Lei la guardò stupefatta.
"Non ha nemmeno bisogno delle pile!"
"Esattamente." Si avvicinò all'apertura e illuminò le scale. "Sembra molto profondo. Strano che don Carmelo non ne sapesse niente."
"Secondo me è stata mia madre a farla fare. Credo che lo abbia tenuto nascosto a tutti."
"Ok. Io vado, ho un po' di tempo per vedere dove conduce."
"Adesso?" Selvaggia fece tanto d'occhi.
"Certo!" Le diede un bacio sulle labbra e si addentrò oltre quel pertugio.
Selvaggia lo vide sparire e subito si sentì in apprensione. Se ci fossero stati degli animali pericolosi? Iniziò a camminare avanti e indietro, sperò che tornasse il prima possibile. Non si seppe spiegare perché ma saperlo là sotto la metteva in agitazione.
Qualcuno bussò alla sua porta, facendole balzare il cuore in gola. Per un attimo non seppe cosa fare e rimase immobile e in silenzio, credendo che chiunque fosse decidesse di andarsene e lasciarla in pace. Ascoltò il suo cuore sovrastare ogni altro rumore, finché quel qualcuno non tornò a bussare. Deglutì la paura e si affacciò alla porta del bagno.
"Chi è?" Urlò.
"Selvaggia... tutto bene?"
Era uno degli energumeni di suo zio. Ma non doveva passare dopo un'ora? Cercò di calmarsi e di parlare con voce più ferma.
"Certo, perché dovrebbe essere altrimenti?"
"È strano che abbia la luce accesa a quest'ora?"
Era davvero al limite della sopportazione. "Cos'è, adesso mi è proibito andare in bagno di notte?"
"Sto solo dicendo che è strano. Le chiedo di aprirmi la porta."
A quelle parole sgranò gli occhi. Non poteva aprire!
"Non posso, non sono presentabile."
"Le ricordo che ho una chiave di riserva se dovesse servire."
Questa non ci voleva. Si guardò attorno in modo nervoso. Pensò velocemente a cosa dovesse fare. L'uomo fuori dalla sua stanza insisté.
"Mi apra la porta, Selvaggia!"
Innervosita, si chinò e chiuse le bocchette della vasca. Questa tornò nella sua posizione iniziale, chiudendo il passaggio. Uscì dal bagno, ma la porta della sua stanza si spalancò all'improvviso e l'uomo vestito di nero apparve, contrariato.
Selvaggia ne rimase senza fiato. "È inconcepibile una cosa simile. Sono pur sempre una donna!" Squittì con voce stridula.
Ma l'uomo non le diede retta e la sorpassò, entrando con prepotenza nel bagno e cercando in ogni angolo. Lo perlustrò da ogni parte, senza trovare niente di rilevante.
"Cosa stai facendo, si può sapere?"
L'uomo si guardò attentamente intorno, senza nessuna intenzione di risponderle.
Lei batté i piedi a terra. "Oh, ma insomma! Ho sonno, voglio andare a letto, te ne vuoi andare! O devo mettermi a urlare?"
L'uomo sembrò finalmente accorgersi di lei e la guardò. "È da sola."
"Certo che sono da sola, chi doveva esserci?"
L'uomo dovette uscire, anche se non sembrava convinto del tutto. Selvaggia gli sbatté la porta sul naso e si affrettò a chiuderla a chiave. Adesso che sapeva che anche loro avevano una chiave di riserva non si sentiva più sicura di stare lì. Chissà se anche altre volte erano entrati a sua insaputa, magari mentre dormiva. Un brivido la percorse... era in una situazione da cui doveva uscire il prima possibile.
Tornò subito in bagno e si affrettò a riaprire il passaggio, riprese a camminare nervosamente come un leone in gabbia.
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