Capitolo Novanta
La spazzola era ormai diventata di sua proprietà dopo che l'aveva trovata in quel piccolo bagno, e aveva preso a servirsene regolarmente. Spazzolandosi i capelli davanti allo specchio notò con rinnovato disgusto la ricrescita ormai evidente. Il rosso che aveva imparato a odiare stava tornando prepotente, come per ricordarle da chi lo aveva ereditato.
La piccola foto era sempre lì, sulla scrivania alla sua destra. Non aveva osato toglierla. Quegli occhi stretti in quel sorriso che le si era stampato in testa le scaturivano ormai emozioni contrastanti. Per quanto avesse voluto assomigliarle in tutto e per tutto, adesso, si sentiva estremamente differente da quella donna.
Lei non avrebbe mai accettato a cuore leggero tutto quel lusso esagerato fregandosene di come il padre lo avesse ottenuto. Non avrebbe mai accettato di vivere alle spalle delle vite di altre persone, o attraverso il ricavato di traffici illeciti.
Qualcuno bussò alla porta, distraendola dai suoi pensieri, e Loredana apparve, come sempre già truccata e perfettamente acconciata di prima mattina.
"Oggi hai deciso di prendertela comoda?"
Quel tono continuamente saccente aveva iniziato presto a darle sui nervi. Quella donna aveva qualcosa che non riusciva a capire, sembrava nascondere un segreto, ma era sicuramente una fantastica attrice. Restava il fatto che non si fidava di lei.
"No!" Sospirò frustrata e appoggiò la spazzola. "Puoi pure dire a mio zio che sto scendendo."
"Brava, sbrigati. Sai che vuole che tu sia presente durante la colazione, e non ama aspettare."
La donna stette per uscire, ma sembrò ripensarci, chiuse la porta e rimase nella stanza.
Sentendosi osservata Selvaggia la guardò confusa: "Ho detto che sto venendo!"
Loredana le si avvicinò, assumendo uno sguardo commosso. "Coi capelli rossi assomigli di più a tua madre."
Sospirò spazientita. "Sì... Lo so..."
"Sei molto fortunata ad assomigliarle così tanto, lei era davvero molto bella."
Stizzita, si alzò di scatto e si avviò fuori dalla stanza, precedendo la donna lungo le scale. A metà rampa la donna le si piazzò davanti, fermandola con una mano.
"Aspetta, fermati!" Dovette fermarsi, ma era sempre più irritata. "Non essere troppo impulsiva nelle tue scelte," le bisbigliò, avvicinandosi.
E adesso cosa intendeva dire?
Loredana le lanciò uno sguardo affilato e finì di scendere le scale con la sua solita compostezza.
Un giorno avrebbe scoperto cosa nascondesse, sembrava avere troppi segreti per non destare sospetti nella figlia di un avvocato.
La raggiunse nell'ingresso ed entrarono insieme nella sala da pranzo, dove don Carmelo stava aspettando spazientito seduto al suo posto a tavola.
"Ce l'avete fatta ad arrivare!" Fece un gesto alla cameriera che si affrettò a servirgli la colazione. "Stavo quasi per iniziare senza di voi. Come mai ci avete messo così tanto?"
Le due si sedettero una alla sua destra e una alla sua sinistra, mentre lui si posizionava il tovagliolo sulle gambe.
"Selvaggia ha bisogno di tingersi i capelli." Loredana prese a spalmare la marmellata su una fetta biscottata. "Quel nero sta lasciando il posto al suo colore naturale."
"Provvederò a fare venire una brava parrucchiera." Don Carmelo annuì. "Voglio vederti del tuo colore naturale, sono contento che hai deciso di tornare come prima." Tornò alla sua colazione senza attendere una risposta da nessuno. "Quel nero non ti dona affatto. Il rosso è il colore più adatto a te."
Non si pose il problema di chiederle che colore avrebbe preferito, decise per lei senza consultarla. Da quando viveva lì la sua vita era guidata del tutto da lui. Non poteva fare un solo passo di sua spontanea volontà senza dovergli chiedere il permesso, e se lui non la avesse voluta tra i piedi per qualche motivo, doveva restare nella sua stanza, senza mettere il naso fuori. Se uno dei suoi uomini la beccava in giro quando non avrebbe dovuto aveva il compito di riportarla nella sua stanza, anche di peso se fosse stato necessario.
Era stato del tutto inutile chiedere che quegli energumeni smettessero di tenerla d'occhio. Quando glielo aveva chiesto, lui aveva subito liquidato la sua domanda con una scusa. Lei era lì solo per un suo capriccio, e doveva stare alle sue regole.
Ormai si era rassegnata a rimanere sequestrata in una gabbia dorata senza sapere perché, in attesa che qualcuno venisse a prenderla. Ma più passava il tempo e più diventava una possibilità remota. Il sistema di sicurezza di quella villa non permetteva l'ingresso di nessuno se non era lui a volerlo. Era infatti stato lui ad aprirle il cancello, quella volta, e fu davvero stupido da parte sua entrare di soppiatto.
***
I suoi capelli erano di nuovo del loro colore originale e avevano ripreso anche la loro piega di un tempo, ricci come una matassa: quello che più detestava. Camminava distrattamente nel maestoso giardino che contornava la villa, infastidita da questa forzata reclusione, e continuava a chiedersi quale fosse il motivo della sua permanenza lì e cosa avesse in mente di fare con lei don Carmelo. Dopo averla attirata in quella gabbia dorata sembrava tenerla in serbo per un momento propizio. Si maledisse per essere stata così sventata, la voglia innata di conoscere sua madre le aveva portato solo guai.
Si avvicinò sovrappensiero all'enorme cancello con il viale alberato quando delle voci portate dal vento le giunsero alle orecchie, confuse e lontane. Alzò d'istinto lo sguardo, due uomini camminavano lungo quel viale in direzione del portone principale. Uno dei due era il braccio destro di don Carmelo, quell'energumeno la tiranneggiava dalla prima volta in cui l'aveva trascinata al cospetto del suo aguzzino, ma l'altro non lo riconobbe. Era la prima volta che vedeva un estraneo lì dentro. Incuriosita si avvicinò per vederlo meglio e da come questi camminava e gesticolava le sembrò familiare. Era ancora troppo lontana per vederlo bene e si avvicinò ulteriormente, nascondendosi dietro a uno degli alberi dello stesso viale. Si sporse appena in tempo per vedere un uomo che assomigliava in modo impressionante a Riccardo entrare nella villa e sparire oltre quella porta. Le bastò quello per avvertire il cuore iniziare a battere con più prepotenza.
Doveva accertarsi che fosse lui, non poteva rimanere nel dubbio.
Raggiunse velocemente il portone e lo aprì cercando di fare il meno rumore possibile, appena in tempo per vederli scomparire oltre la porta dell'ufficio del boss. La sua curiosità non era stata appagata.
Fece alcuni passi nell'enorme e scintillante ingresso, cercando di non farsi sentire, ma qualcuno le bussò sulla spalla. Uno degli scagnozzi di don Carmelo l'aveva raggiunta.
"Mi perdoni, signorina. Ho avuto l'ordine da don Carmelo di dirle che oggi non dovrebbe andarsene tanto in giro per la villa. Ha cose urgenti da sistemare e non la vuole tra i piedi."
Guglielmo era quello che le si rivolgeva nel modo più educato rispetto a tutti gli altri, ma restava il nemico per lei ed era stufa di venire seguita costantemente da qualcuno di loro.
"Stavo giusto andando in camera mia."
Lo rabbonì con un sorriso e si avviò subito su per le scale, evitando che ce la portasse lui con le buone maniere. Si assicurò che nessuno la vedesse e si affacciò dalla ringhiera che dava nell'ingresso, ma Guglielmo era sempre dove l'aveva lasciato, per assicurarsi a sua volta che entrasse nella sua stanza. Sbuffò di frustrazione e si rifugiò oltre la sua porta. Aspettò un paio di minuti e con circospezione tornò ad affacciarsi. Guglielmo era sparito e sembrava non esserci nessun altro nei dintorni. Si sedette a terra e aspettò che quei due uscissero dall'ufficio di don Carmelo.
Se era veramente lui doveva saperlo. Una piccola speranza di poter uscire finalmente da quella prigione si accese nel cuore. Non dovette aspettare molto prima di vederli uscire da quella porta. Si alzò d'istinto, non poteva crederci, era proprio Riccardo!
Un coro di gioia e giubilo si innalzò nel suo petto e, senza pensarci, prese a scendere di nuovo le scale per raggiungerlo. Era lì per lei, non poteva essere altrimenti. Arrivata in fondo, svoltò immediatamente alla loro ricerca. Erano fermi poco distanti, ma entrambi la stavano guardando con aria sorpresa.
"Tu cosa ci fai qui?" L'apostrofò il braccio destro del boss. "Sbaglio o dovresti startene in camera tua? Nessuno ti ha detto niente?"
Le si era rivolto in italiano corretto, non in dialetto come al solito, ma lei non lo aveva ascoltato, intenta com'era ad osservare un Riccardo più bello di quanto si ricordasse. Indossava quei jeans che lo slanciavano e gli fasciavano le gambe muscolose, e sopra una maglietta a maniche lunghe con un foulard attorno al collo gli dava un ché di intellettuale. Quando salì sul suo viso, però, lo sguardo con cui la stava guardando non era esattamente quello che si aspettava.
I suoi occhi erano vuoti, privi di ogni espressione. Come se fosse la prima volta che la vedeva.
L'energumeno le si avvicinò e l'afferrò per un braccio, con prepotenza. "Mi hai sentito? O devo portartici di peso?" Grugnì.
Selvaggia strattonò il braccio e fissò uno sguardo adirato nelle iridi di quel bestione. "Giù le mani, so camminare da sola!"
Lanciò un ultimo sguardo di aiuto verso Riccardo, che la guardò come se fosse scocciato dalla sua presenza, e col cuore pesante si voltò e salì di nuovo le scale. Si fiondò nella sua stanza e si gettò sul letto tuffando il viso nel cuscino, dando libero sfogo alle sue lacrime.
Non era affatto lì per lei. L'aveva guardata come se non le facesse nessun effetto, come se fosse una perfetta estranea. Non poteva credere che non l'avesse riconosciuta solo per il colore dei capelli. Era dura da digerire! In fondo era un carabiniere, era sicuramente lì per seguire delle indagini, non certo per portarla via da quell'inferno!
***
Con la coda dell'occhio Riccardo la seguì salire le scale, cercando di non darlo a vedere. Avrebbe pagato chissà cosa per poterla inseguire e rassicurare, lo sguardo che gli aveva regalato era stato un pugno nello stomaco, ma doveva fingersi ciò che non era. Se l'energumeno davanti a lui si fosse accorto della sua agitazione la sua copertura sarebbe saltata.
Era la prima volta che la vedeva coi capelli rossi e ricci, gli fu facile accostare la sua nuova immagine a quella della ragazzina che conobbe cinque anni prima, ma non la scisse da l'immagine della mora che aveva amato con passione. Era decisamente bellissima!
Antonio tornò da lui con un ghigno scocciato.
"Non fare caso a quella ragazza. È solo la nipote del capo ma deve avere qualche rotella fuori posto."
"Si vede!" Lo assecondò.
In realtà avrebbe voluto cavargli gli occhi.
"Seguimi, ti mostro la cucina e la porta di servizio."
L'uomo gli fece strada fino all'estremità del vasto ingresso. Dietro a una delle tante porte vi era una cucina in muratura che occupava un'intera parete della stanza. Le mattonelle erano di un caldo colore mogano, intervallate da alcune verdi screziate di scuro, fondendosi in un insieme di colori rilassanti alla vista. I fornelli erano all'americana, immensi e larghissimi, così come il forno sottostante, dove avrebbe potuto cuocere un maialino intero senza problemi. Poteva benissimo rivaleggiare con quella del ristorante di suo zio. La tavola in legno massello dello stesso rosso delle piastrelle era contornata da otto sedie alte e massicce. A centrotavola, un vaso di girasoli adornato da felce e altri piccoli fiorellini lo rendevano ricco e colorato. Era tutto magnifico, ma d'altronde non si aspettava niente di meno facoltoso dalla casa di un boss mafioso.
"Tranquillo che nessuno ti metterà ai fornelli," scherzò Antonio. "D'altronde chiedere a un milanese di cucinare a casa di un siciliano sarebbe come chiedere a un farmacista di preparare piatti da portata in una cucina di un ristorante stellato."
Scoppiò a ridere sguaiatamente, dietro il sorrisetto tirato dell'altro, che mostrava tutto il risentimento per quella battuta. Ma quel sorriso tirato non fece che alimentare l'ilarità dell'energumeno.
In fondo alla cucina, una porta con un vetro dava sul giardino sul retro. Antonio uscì da lì e Riccardo lo seguì all'aperto. Un tavolo con delle sedie spaiate e alquanto mal ridotte erano ordinatamente riposte su un patio dall'aria antica. Sembravano formare una sorta di laboratorio a cielo aperto.
"A cosa servono?" Le indicò.
L'altro lo guardò come se avesse fatto la domanda più stupida del mondo. "Gli affari di don Carmelo ruotano principalmente su un'unica cosa. Qui avviene il primo step di taglio e divisione, ma d'altronde sei qui per saperlo. Vieni con me."
Lo precedette verso una porta in legno nascosta dalla vegetazione, da lì lo seguì scendendo delle ripide scale a chiocciola, ricavate dalla nuda terra, fino a sfociare in una sorta di cantina, con i mattoni alle pareti ma, invece di contenere vini pregiati e invecchiati, era colma di scaffali contenente panetti di droga. Sarebbe bastata una sola fotografia di quel posto per fare scattare un raid.
"Questa è la banca di don Carmelo." Gli spiegò l'energumeno. "Direttamente dai campi dell'America del sud la merce arriva qui e viene stipata in attesa di essere introdotta sul mercato."
"È impressionante!"
Antonio lo guardò sospettoso. "Di solito non mi interesso di chi entra nel libro paga di don Carmelo, ma tu non sembri un uomo di fatica. Mi piacerebbe sapere perché ha deciso di prendere proprio te."
La domanda lo mise in crisi. Rammentò ciò che avevano concordato lui e il signor Girolamo e tentò di sembrare scocciato.
"Dovrei ripetere quello che ho detto a don Carmelo? Non sono un omone di fatica come voi buttafuori." Alzò il mento per indicarlo. "Sono un'ottima guardia del corpo, e mi sono fatto una buona nomea di come sono riuscito a incrementare gli introiti della mia attività di smaltimento rifiuti al nord... se sai a cosa mi riferisco."
"Se ti andava tutto così bene perché sei qui?"
"Il mio principale è stato beccato con le mani nel sacco. Qualche soffiata." Fece una smorfia di disgusto. "Vuoi che ti racconti tutto nei minimi particolari?"
Antonio lo guardò, nauseato. "No, grazie. La storia della tua miserabile vita non mi interessa."
Riprese a salire le scale ma a quel punto fu Riccardo a fermarlo:
"Tu, piuttosto, com'è che sei così leale nei confronti di don Carmelo?"
L'energumeno si bloccò dopo due scalini. "Cosa vuoi sapere?"
"Da quant'è che sei alle sue dipendenze?"
Ridiscese i due scalini e lo affrontò a muso duro. "Cosa vorresti insinuare?"
"Ehi, calmati, non voglio insinuare niente!" Alzò le mani come per difendersi. "È che le voci girano. Si sente dire che il vecchio boss avesse ucciso la moglie per non avergli dato un erede maschio dato che il primo era morto e il secondo se n'è andato. Don Carmelo è della stessa pasta?"
Antonio strinse gli occhi a due fessure, minaccioso. "Non conosci la storia, milanese! Ti consiglio di startene muto quando non sai le cose."
Lo lasciò solo in quella sorta di cantina claustrofobica, a rimuginare su ciò che gli aveva detto. Si vociferava che don Gaetano avesse ucciso la moglie dopo il suo ultimo figlio, ma si rendeva conto che erano solo voci infondate. Ma in fondo gli interessava poco. Era lì per cercare delle prove che riguardavano don Carmelo, oltre che a portare Selvaggia fuori di lì, ma prima di avere libertà di movimento avrebbe dovuto accaparrarsi la sua più completa fiducia.
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