Capitolo Dieci
La sua era la stanza più bella che avesse mai visto. C'era un enorme letto comodo e confortevole tutto per lei, dove subito si sedette per saggiare la morbidezza del materasso e si sentì avvolgere dal copriletto colorato come da una nuvola. Una scrivania grandissima era posta in un angolo della stanza, dove avrebbe potuto studiare, scrivere e disegnare nella più completa comodità; c'erano addirittura dei quaderni e delle penne in un bicchiere, pronte all'uso. Sul comodino un abat-jour a forma di fiore accresceva la freschezza della stanza, era la cosa più colorata e costosa che avesse mai posseduto. Il suo sguardo si posò sull'armadio... Con un forte sentimento di gioia e di timore si avvicinò con cautela ad esso, come a voler prolungare quell'aspettativa che la faceva sentire viva. Alzò lentamente una mano e la poggiò sulla maniglia, poi, di colpo, spalancò l'anta. Una sfilza di vestiti ordinatamente appesi ben in ordine erano pronti per essere indossati da lei. Sorrise a quella vista e ne prese uno a caso, appoggiandoselo addosso per vedere come le stava. Era un grazioso vestitino estivo con una semplice scollatura e a maniche corte, in tinta unita e con la gonna che le arrivava sopra il ginocchio. Non aveva niente di particolare ma per lei era il vestito più bello che avesse mai avuto. Si accorse che aveva ancora il cartellino attaccato, era un sogno che si avverava! Sbirciò la sua valigia, vicino alla porta dove l'aveva lasciata, e quasi si vergognò dei vestiti che vi conteneva, ma li ripose ugualmente in un cassetto che trovò vuoto, e subito se ne dimenticò. Tra le altre cose... peluche, bambole, libri, giochi... era commossa; non aveva mai avuto tutti quegli oggetti.
Si sedette a quella che era a tutti gli effetti la sua scrivania con un sorriso che andava da un orecchio all'altro, si guardò attorno affascinata da tutti quegli oggetti di cancelleria che erano suoi... Suoi! Come era bella questa parola! Si alzò dalla sedia sentendosi leggiadra come una farfalla e a passo di danza si affacciò alla finestra, che dava sul giardino della casa e sulla strada adiacente. Era primavera e gli uccellini cinguettavano allegri rincorrendosi tra i rami degli alberi mentre un tiepido sole illuminava ogni cosa sulla quale si posava. Un gatto dormiva placido sugli scalini di una scala esterna che portava alla porta finestra della camera padronale. Fece un grosso respiro, espirando l'odore dell'erba e degli alberi e tornò dentro, sempre a passo di danza si buttò leggiadra sul letto, continuando a sorridere. La sua vita stava subendo un deciso cambiamento. Sebastiano sembrava una gran brava persona, credeva che si sarebbe affezionata a lui molto presto. Margherita, invece, non era entusiasta della sua presenza. Le aveva fatto capire molto chiaramente che non la gradiva e questo guastò il suo buonumore. Sperò di riuscire ad appianare le loro divergenze, o almeno a imparare a convivere pacificamente.
La prima cena con la sua nuova famiglia si svolse in un clima un po' teso. Scoprì che i suoi nuovi genitori avevano una cuoca personale che viveva poco lontano e anche una sorta di donna delle pulizie, alla quale davano vitto e alloggio in una stanza al pianterreno con ingresso indipendente. Non sapeva cosa pensare di tutte queste scoperte. Non aveva mai pensato che un giorno sarebbe stata adottata da una coppia di persone così. Si sedette alla tavola apparecchiata con un certo sentimento di timore. Non aveva mai visto piatti ornati da una sottile striscia dorata e bicchieri lavorati con lo stelo alto. Aveva quasi paura di rompere qualcosa. La cuoca doveva ancora servire il cibo e loro tre erano già seduti ad attendere la prima portata, in silenzio. Osservò i suoi genitori adottivi senza azzardarsi a rompere il silenzio che si era creato... non si sentiva volare una mosca. Sebastiano stava leggendo il giornale, totalmente assorto dalle notizie di cronaca che riguardavano il suo paese, mentre Margherita leggeva una rivista di gossip, tenendola arrotolata in una mano. Che fine aveva fatto quel cane spelacchiato?
Finalmente la cuoca entrò in sala portando una grossa ciotola fumante. Un delizioso profumino solleticò le narici dei presenti, portando entrambi gli adulti seduti a riporre frettolosamente le proprie letture.
Sebastiano sembrò avvedersi solo in quel momento della presenza di Selvaggia a tavola.
"Oh, tesoro, spero che tu abbia fame, la cucina di Luciana ti farà sicuramente leccare i baffi... anche se non li hai." Bofonchiò con un sorriso simpatico.
Selvaggia gli sorrise divertita e osservò la cuoca posare la grossa cuccuma che aveva tra le mani su un lato libero del tavolo. Come era stata abituata a fare, si accinse a servire prima di tutto la ragazza, riconoscendola come ospite. Ma appena Margherita la vide afferrare il piatto di lei fece tintinnare i suoi bicchieri.
"Da quando in qua i padroni vengono serviti per ultimi?"
Presa in contropiede, la cuoca sussultò al rimprovero e lasciò la presa dal piatto, che atterrò su quello sotto con un forte rumore di porcellana.
"Che importanza ha chi serve per primo o chi per ultimo?" Si intromise Sebastiano. "Basta che mangiamo tutti insieme."
Sapeva bene che la moglie non era pienamente contenta di aver adottato quella ragazzina, ma i due erano sposati da tanti anni e non erano riusciti ad avere figli a cui far ereditare tutti i loro possedimenti. Solo in seguito a una gravidanza isterica scoprirono che in realtà Margherita non avrebbe mai potuto avere figli, e da quel preciso istante tra loro si ruppe qualcosa... che nessuno dei due seppe decifrare. Margherita era diventata ogni giorno sempre più acida e distaccata, mentre Sebastiano aveva trovato il senso della vita in altre attività che poteva svolgere da solo, come la caccia o la pesca, il golf con i suoi amici o impegnandosi di più sul lavoro. Amava ancora sua moglie, ma diventava sempre più difficile andare d'accordo con lei e pensò che sarebbe stata una buona idea darle un figlio o una figlia da poter accudire. Magari già cresciuta, in modo da risparmiarle gli sbattimenti dei primi anni di vita e i fastidi dovuti a continue malattie di cui i bambini piccoli sono soliti ammalarsi. Credeva che una dolce ragazzina in casa avrebbe potuto addolcire quel carattere inacidito dall'impossibilità di divenire madre. O almeno così sperava.
"L'importante è che non prenda l'abitudine di essere servita sempre per prima." La donna volle avere l'ultima parola.
Sebastiano scosse la testa esasperato, ma subito rivolse a Selvaggia un sorriso divertente e le fece l'occhiolino.
La banca in cui lavorava l'uomo era un edificio di medie dimensioni in una zona poco trafficata di quel paese. Selvaggia era emozionata di entrare per la prima volta in vita sua in un posto del genere. Come direttore, aveva un ufficio tutto suo e una segretaria, Maristella. La donna, di circa sessant'anni, aveva un sorriso dolce mentre il suo capo le presentava la figlia. Abbassò gli occhiali sul naso e la salutò amichevolmente.
"Signor Caruso, questa è la vostra nuova bambina? È davvero una bellezza!"
"Grazie Maristella, ma direi che sia tardi definirla ancora una bambina, ormai è una ragazza, ha quasi tredici anni."
"Ha proprio ragione, quegli occhi meravigliosi possono appartenere solo a una giovane donna bella e intelligente."
"E lo è." Aggiunse l'uomo, appoggiandole una mano dietro la schiena.
Selvaggia si sentì commossa e lusingata da tutti quei complimenti, in cuor suo non sapeva nemmeno se meritarli davvero.
Dopo la visita alla banca, la portò a farle conoscere i suoi amici, alcuni dei quali avevano dei figli pressappoco della sua età, ma con i quali non riuscì a stringere alcun rapporto. La portò a giocare a bowling, a pesca e a caccia, ma su quest'ultima Selvaggia ebbe delle riserve.
Prima di allora aveva sentito parlare della caccia, sapeva cosa fosse a grandi linee, ma la vita che aveva condotto non le aveva permesso di conoscere molte cose che la circondavano. Infatti, la sua nuova vita come figlia di Sebastiano Caruso era piena di continue sorprese. Era avida di conoscere, di scoprire e divertirsi, ma quando si accorse di quello che diventava suo padre quando lo vide sparare in aperta campagna contro un piccolo coniglio indifeso, si tappò le orecchie e scoppiò a piangere.
Dispiaciuto per aver scatenato questa reazione nella figlia adottiva, Sebastiano mollò la caccia e la portò subito a casa, dove cercò di farla calmare. Non poté contare sull'aiuto della moglie, alquanto passiva di fronte a tutte queste nuove avventure che Selvaggia viveva per la prima volta, e cercò di provvedere da sé. Varcò la porta d'ingresso tenendola in braccio, con il viso rigato di lacrime e il corpo scosso da singhiozzi concitati. Margherita osservò la scena con distacco vedendo il marito portare la bimba in salotto e farla sedere su una poltrona per cercare di calmarla.
"Dai, non è successo niente... in fondo è una cosa normale."
Il piccolo Lucky, ormai abituato alla presenza della ragazza in casa, si avvicinò annusandole un piede. Sebastiano ne approfittò per prenderlo tra le braccia e mostrarlo a sua figlia, facendolo sbuffare dal naso per la foga con la quale lo aveva afferrato.
"Vedi? io amo gli animali, ma ci sono animali e animali..." Accarezzò il cane, concitato.
Gelosa, Margherita si avvicinò ai due e strappò il cane dalle mani del marito, che sbuffò nuovamente per il trattamento ricevuto.
"Si può sapere cosa è successo da dover prendere Lucky come cavia?"
"La piccola Selvaggia non si aspettava che nella caccia dovessi uccidere un innocente coniglio."
La donna guardò la ragazzina con fare sprezzante. "E cosa si aspettava, che gli animali si immolassero da soli e si presentassero alla nostra porta di loro spontanea volontà per essere mangiati?"
Selvaggia guardò la donna con gli occhi pieni di lacrime, lei non avrebbe mai potuto uccidere un essere indifeso, ma in quel momento odiò quella donna dal profondo di sé stessa.
"Dai, calmati, tesoro. Non ti porterò più a caccia con me, non dovrai più assistere mentre sparo a un coniglio. Ma basta piangere, ok?"
Selvaggia tirò sul col naso e si asciugò le lacrime. "Ok..."
Sbuffando, Margherita si allontanò tornando alle sue faccende. L'uomo era profondamente mortificato per averle fatto prendere quel terribile spavento. Ma come avrebbe potuto saperlo? Quando l'aveva portata a pesca non aveva battuto ciglio, anzi, si era divertita molto. Le accarezzò il viso e notò che finalmente aveva smesso di piangere.
"Va meglio, adesso?"
Lei annuì e lui, istintivamente, la tirò a sé e la abbracciò.
Selvaggia rimase oltremodo sorpresa da questo gesto d'affetto. Nemmeno le sue suore l'avevano mai abbracciata così. Ma quel contatto caldo e rilassante la fece sentire protetta, al sicuro. Chiuse gli occhi e si lasciò cullare. Era la sensazione più magica e calda che avesse mai avvertito.
Quando si sciolsero da quell'abbraccio, Sebastiano la guardò negli occhi. "Tutto a posto?"
Lei annuì nuovamente. "Sì, grazie Sebastiano."
L'uomo la osservò con un misto di felicità e orgoglio stampati sul viso. Era la prima volta che lo chiamava per nome, gli si riempì il cuore di tenerezza.
"Mi piacerebbe se un giorno riuscissi a chiamarmi papà."
I verdi occhi di Selvaggia lo scrutarono ancora umidi, commossa da quella rivelazione, ma non aggiunse altro. Forse un giorno ci sarebbe riuscita ma era ancora troppo presto.
Sebastiano la guardò sorridendo benevolo e le regalò una carezza sulla gota, prima di alzarsi e lasciarla sola. Proprio in quel momento Selvaggia si accorse di Margherita che la stava fissando con una strana espressione, che non fece niente per nascondere. Quegli occhi la scrutavano attraverso la porta aperta che dava sul giardino nel retro. Quell'espressione arcigna la fece sentire minacciata, strana... Era come se la donna fosse gelosa di lei. Non voleva dare questa spiegazione a quella occhiata, ma non sapeva quale altro significato attribuirle.
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