Capitolo Diciotto
La villa che si apriva davanti ai suoi occhi era immensa, bellissima e immersa nel verde. Un grande cancello in ferro battuto, con disegni intricati, si aprì dinnanzi all'auto dell'avvocato, che guidò attraverso un viottolo di pochi metri che portava di fronte alla maestosa entrata. Una ricca vegetazione circondava un giardino con vari vasi e aiuole già un po' appassite per via della stagione autunnale avanzata. Le ruote della macchina facevano uno strano rumore sopra i sassi che formavano il viottolo di quello strano giardino posto di fronte all'entrata, dove un uomo di circa sessant'anni e una donna sui trenta li aspettavano immobili.
L'avvocato parcheggiò l'auto accanto a una Porche Cayenne scuro come la notte, ed entrambi scesero ammirando quel bolide come se fosse una bestia pericolosa messa a riposo.
"Siamo davvero felici che siete arrivati," con voce molto servile l'uomo che attendeva davanti all'ingresso li accolse e si avvicinò. "Il signore per il momento ha dovuto assentarsi, ma conta di tornare a casa il più presto possibile."
Selvaggia restò per un attimo incantata chiedendosi chi fosse questo signore di cui parlava; non conosceva nessuno che potesse vivere in quella villa e che potesse volerla adottare. Ma le sue considerazioni vennero interrotte dalla donna:
"Volete accomodarvi dentro? Attenderemo il padrone molto più comodamente."
Seguirono i due docilmente, entrambi confusi, attraverso un grande disimpegno dagli alti soffitti e dentro un enorme soggiorno, signorile e imponente.
Durante la strada in macchina per arrivare fin lì Selvaggia aveva cercato di sapere di più su chi l'avesse adottata, ma lo stesso avvocato ne sapeva poco più di lei. Quello che doveva essere il suo nuovo padre aveva parlato esclusivamente con l'assistente sociale che aveva seguito tutta la pratica, iniziata addirittura poco dopo l'inizio del processo, l'unico incarico dell'avvocato era quello di scortare la ragazzina fino alla sua nuova casa, non gli era stato detto altro. Alle domande della giovane non seppe rispondere e questo aumentò la curiosità nel cuore di lei.
Chi mai potevano essere?
In un millesimo di secondo si era fatta una marea di idee strane in testa; sperava che potesse trattarsi di una fantastica coppia di giovani appena sposata che non poteva avere figli, oppure già sui quarant'anni che avevano deciso di fare del bene adottando una ragazzina vittima delle circostanze come lei.
L'enorme libreria di quel soggiorno, sovrastava un'intera parete, era stracolma di libri dall'aria austera, tomi alti come mattoni e dai vari titoli complicati. I divani erano sobri, scuri, rivestiti in pelle che si appiccicava alle braccia. Pure il resto della mobilia e i tappeti trasmettevano severità e serietà, niente che potesse farle capire l'identità della coppia che vi abitava; non una foto, non un souvenire... Ma, un momento! Quella sorta di domestico aveva parlato del signore, non dei signori. Possibile che fosse solo un uomo?
In ogni modo quell'arredamento cupo non le suggeriva niente che potesse darle un'idea di chi fosse. Selvaggia aveva letto a mala pena i libri presenti nella villa dei Caruso, piccoli romanzi per ragazzi o Harmony della signora Margherita che leggeva di nascosto quando lei non c'era e che spesso e volentieri la facevano arrossire, ma i titoloni che vedeva lì erano del tutto estranei per lei. Stette a fissarli per un bel pezzo quando vide l'avvocato alzarsi in piedi guardando l'orologio.
"Io temo che per me si sia fatto veramente tardi." La guardò trafelato. "Ho paura che non potrò aspettare questo signore come avevo programmato."
A queste parole Selvaggia balzò in piedi di scatto. "Come... andate via?"
"Mi dispiace, tesoro," sembrò rammaricato, ma non cambiò idea. "Purtroppo ho altri impegni che mi aspettano, e ci vuole un po' di tempo per rifare la strada."
"Ma... ma io non posso... non so..." Selvaggia non voleva stare da sola in mezzo a persone sconosciute. Non sapeva minimamente come comportarsi, cosa fare, e non voleva che l'unica persona a lei conosciuta se ne andasse.
"Non ti preoccupare, tesoro, sono sicuro che ti troverai bene qui."
Selvaggia si ammutolì, cercando di comunicargli con gli occhi di non essere lasciata sola, ma l'avvocato non seppe leggere il suo sguardo e la salutò amorevolmente con una carezza.
"Abbi cura di te, sono contento che sei andata a stare bene." Le fece un cenno di saluto e si allontanò, scortato dal maggiordomo.
Selvaggia rimase a fissarlo finché non lo vide sparire oltre la porta. Tirò un grosso sospiro di frustrazione e si voltò verso la cameriera, che era rimasta con lei, immobile.
"Posso portarle qualcosa, signorina?" La donna sembrava comprendere il suo disagio.
Scosse la testa e si rimise a sedere. Non vedeva l'ora che questo fantomatico signore arrivasse, non le piaceva restare da sola tra quei due che non conosceva.
Stette a sedere su quel divano per mezz'ora prima che le ruote di un'auto sulla ghiaia del giardino richiamarono la sua attenzione. Guardò verso la porta e delle voci sconosciute le arrivarono attutite... una le sembrava essere quella del maggiordomo, ma l'altra, sempre maschile, aveva un timbro molto più forte, molto più profondo. Restò a fissare l'entrata in preda dall'ansia, in attesa che apparisse il proprietario di quella voce. Era stranamente emozionata, come se sentisse che conoscere quella persona fosse di estrema importanza per lei.
Quando finalmente il proprietario di quella voce apparve si trovò a fissare un uomo di alta statura, estremamente raffinato e vestito in modo elegante, con dei folti capelli ricci e profondi occhi grigio/verdi, molto intensi e vivaci. Dall'aspetto avrà avuto sì e no quarant'anni, per quanto riusciva a calcolare lei, e dopo un primo attimo di sorpresa si accorse che anche lui la stava fissando con la stessa identica espressione sorpresa.
Lui chiuse la bocca e si ricompose. "Mi fa piacere che tu sia qui." La fissò sconvolto. "L'avvocato ti ha lasciata sola?" Si guardò brevemente attorno alla ricerca dell'uomo. Selvaggia non seppe cosa rispondere e si limitò ad annuire. "Che razza di uomo!"
Quel tono la spiazzò molto più della persona in sé. Perché sembrava così arrabbiato?
La cameriera gli si avvicinò e gli sussurrò qualcosa che lei non sentì, l'uomo tornò a guardarla con un'espressione colpevole.
"Perdonami, speravo che come avvocato ti aiutasse ad ambientarti, ma evidentemente ha altre priorità. Immagino che non ti abbia detto niente di me." Selvaggia tornò a scuotere la testa, senza rispondere. "Come sospettavo..." Sospirò spazientito e le si avvicinò. La osservò attentamente e poi sorrise. "Mi chiamo Michele Giordano, sono un avvocato molto rinomato nella provincia di Palermo... e sono felice che tu sia qui."
Quella sorta di benvenuto non era certo dei più ortodossi, ma sentiva che era sincero e in qualche modo l'aveva fatta sentire accettata.
"Ti è stata fatta vedere la tua stanza?" Le domandò con fare più dolce. Lei scosse di nuovo la testa in segno di diniego. "Allora lascia che te la mostri."
Le allungò una mano che lei rimase a guardare, instupidita. Lì per lì non capì, ma decise di seguire la direzione che lui le stava indicando. Si avvicinò a una porta vicino a un caminetto in pietra con dei piccoli putti alati di cemento, posti ai due lati della mensola sovrastante; quei due piccoli bambini nudi con le ali, fermi come se messi in posa, attirarono la sua attenzione.
"Questa casa è molto antica," l'uomo le sorrise, indicando i due angioletti. "Appartiene alla mia famiglia da diverse generazioni. I putti alati erano molto presenti nel periodo in cui questa villa venne costruita."
Selvaggia sorrise, ma non osò fare domande. Si sentiva strana in compagnia di quell'uomo. Incuteva un certo grado di timore con il suo fare dignitoso e altero, ma era comunque riuscito a metterla a suo agio con quel benvenuto un po' impacciato.
Le restituì un sorriso dolce e le aprì la porta che portava a una sorta di disimpegno dove delle grandissime scale eleganti portavano al piano di sopra.
"Immagino che ti vada di fare un giro della casa, è molto bella, sai? O prima vuoi un po' riposarti nella tua stanza?" Sembrava confuso al pari di lei.
Aveva già una sua stanza? Non ne aveva idea! Selvaggia non seppe cosa rispondere... certo, la curiosità di ammirare il resto di quella enorme casa era davvero grande, ma avrebbe tanto voluto stendersi e riposarsi un po'; tutte quelle emozioni l'avevano un pochino frastornata. Non ci fu bisogno di dirlo e Michele Giordano la guidò senza indugio al piano di sopra, facendole attraversare una serie di porte semichiuse dalle quali poté intravedere alcune camere da letto, tra le quali una con una fantastica foto in una cornice dorata, poggiata su di un comodino. Si fermò ad ammirare da lontana la donna ritratta in quella foto: aveva dei bellissimi capelli rossi e mossi, non riusciva bene a capire il colore degli occhi per via della scarsa luce presente, ma erano accesi e vivaci, stretti in un sorriso meraviglioso. A quel punto la porta della stanza le venne chiusa di fronte al naso senza troppe cerimonie.
"Da questa parte." La risvegliò Michele, e le fece strada fino a una porta in legno.
Selvaggia ebbe appena il tempo di guardarsi attorno e notare le grandi finestre lungo la scalinata e un busto in marmo posto al centro del corridoio prima che Michele le aprisse quella porta. Due grandissime finestre con delle lunghissime tende rosa antico illuminavano con una tenue luce solare una stanza spaziosa e femminile, l'armadio e la specchiera, quest'ultima già munita di ogni pettine o profumo che poteva esserle di gradimento, sembravano di recente costruzione in legno di ciliegio, intarsiati magistralmente a mano.
Il letto era qualcosa di spettacolare, che la fece restare senza fiato. Il baldacchino, contornato da delle candide tende bianche trattenute alle colonne, avrebbe attirato l'attenzione anche del più distratto passante. Quel letto era un rifugio confortevole dall'aria estremamente comoda, dove almeno mezza dozzina di cuscini colorati facevano bella mostra di sé, accatastati in fila contro la testiera, anch'essa in legno e intarsiata esattamente come l'armadio. Una trapunta soffice e profumata rendeva quel letto un vero e proprio sogno per ogni ragazza. Alle due sponde, due scendiletto rosso scuro, che riprendevano le venature del legno, attendevano i suoi deliziosi piedini appena svegli, in modo da non farle prendere freddo... era estasiata.
Finalmente Michele entrò nella stanza e si voltò verso di lei. "Allora, che fai, entri o no?"
Solo in quel momento si accorse di essere rimasta sulla porta in completa ammirazione. Presa alla sprovvista fece un passo avanti e quasi le sembrò di varcare un portale tridimensionale... era bellissimo.
"Ho già fatto sistemare tutti i tuoi vestiti nell'armadio, e mi sono permesso di sistemare le tue cose personali nei vari cassetti vicino alla specchiera, ovviamente sei liberissima di risistemare il tutto come meglio credi."
Selvaggia era confusa... non si aspettava tutto questo.
Lui si mise le mani in tasca e ondeggiò sui talloni, in imbarazzo. "Bene... ti lascio sola. Se hai bisogno di qualcosa chiama pure Carmen, la cameriera. A dopo." Si voltò imbarazzato e uscì senza altri preamboli.
Rimasta sola si guardò attorno cercando di prendere confidenza con quella bellissima stanza. Aprì l'armadio e riconobbe tutti i suoi vestiti che le erano appartenuti mentre era la figlia adottiva di Sebastiano Caruso, tutti i vestiti che aveva dovuto lasciare in quella villa maledetta perché sotto sequestro dei carabinieri. C'erano anche i vestiti nuovi che Lucia Russo le aveva regalato durante il suo soggiorno nella fattoria, più altri ancora che non aveva mai visto.
Fu colta da un pensiero strano e corse verso i cassetti sotto alla specchiera. Aprì il primo cassetto e quello che vide fu proprio quello che si aspettava. Proprio lì, davanti a tutto, c'era il carillon che Sebastiano le aveva regalato. Lo afferrò con cura, con entrambe le mani, e lo poggiò sul ripiano della specchiera, sentendo gli occhi inumidirsi dai ricordi. Sollevò il coperchio e la musica della Danza dei Cigni la riportò indietro nel tempo, a quando Sebastiano glielo aveva regalato. Una marea di ricordi di quell'uomo tanto caro la investirono e alcume lacrime di commozione e tenerezza le solcarono il viso. Aprì il cassettino del piccolo portagioie e vi trovò quel paio di orecchini che adorava, consistenti in due semplicissimi brillantini bianchi, anch'essi regalo di Sebastiano. Asciugandosi gli occhi chiuse il coperchio facendo cessare quella musica e posizionò la sua reliquia al centro della specchiera, in bella vista.
Anche se adesso aveva un altro padre non avrebbe mai dimenticato il primo a cui aveva voluto veramente bene.
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