Capitolo Cinque

Ad un certo punto, un lieve bussare alla porta la distolse dalla sua pena e la spinse ad alzarsi dal letto per andare ad aprire. Con le guance bagnate di lacrime si ritrovò a dover alzare lo sguardo per incrociare quello di una graziosa ragazza di circa diciotto anni con degli splendidi occhi nocciola, circondati da dei lunghissimi capelli castani e trattenuti da una mezza coda. Aveva uno sguardo dolce e un sorriso rassicurante.

"Ciao, sono Cristina," si presentò con una voce altrettanto dolce. "So che ieri sera eri in punizione e non hai cenato, e dato che oggi non hai potuto nemmeno fare colazione, ho pensato di portarti qualcosa da mangiare. Starai morendo di fame."

Le allungò una brioche avvolta da un tovagliolo bianco e Selvaggia rimase a bocca aperta di fronte alla gentilezza di questa sconosciuta. Proprio quando iniziava a credere che in quel posto non esistesse nessuno che potesse rivolgerle una parola gentile, ecco che appariva questa deliziosa ragazza.

"Grazie." Sussurrò.

Prima di accettare la brioche dalle sue mani si tuffò su di lei, abbracciandole i fianchi e piangendole addosso. Quello era per lei il gesto più bello e commovente che avesse mai ricevuto.

Cristina restò sorpresa, vedendola continuare a piangere a quel modo si intenerì e prese ad accarezzarle i capelli.

"Non devi avercela con suor Maria, non è cattiva, è solo un po' troppo severa."

Mentre tentava di sfogare tutta la sua pena addosso a quella gentile ragazza, Selvaggia sentì una vocetta timida e delicata arrivare dalle spalle di Cristina.

"Sei ancora tanto triste?"

Si staccò dal ventre della ragazza e guardò dietro le sue spalle, sbattendo le palpebre pesanti di lacrime. Un visino minuto e grazioso la guardava con curiosità, con degli splendidi occhi azzurri e una frangetta di capelli biondi.

"Tu chi sei?"

"Io sono Aurora, tu come ti chiami?"

"Selvaggia." Le mancava il fiato.

"Stai tanto male?" Cercò di sapere Aurora.

I suoi bellissimi occhi l'avevano colpita e le sembravano ancora più grandi ora, lucidi di lacrime, di quando li aveva visti in mensa.

Selvaggia negò scuotendo la testa con energia. "No... non più."

Aurora sorrise, era felice di vedere quegli occhi sorridere. Aveva a malapena un anno più di lei, ma nella sua brevissima vita ne aveva già passate tante, costringendola a crescere più velocemente, pur conservando l'ingenuità della sua età. Per questo era diventata molto più sensibile rispetto ai suoi coetanei, vederla strattonata a quel modo da Suor Maria l'aveva spinta a chiedere di lei a Cristina e ad accompagnarla per portarle qualcosa da mangiare.

Selvaggia le fece entrare nella sua stanza, prendendo fra le mani quella deliziosa brioche ancora calda e affondando i denti nella pasta sfoglia e poi nella marmellata di pesche al suo interno, lasciandola sciogliere sulla lingua mentre mugolava di piacere. Tra la gentilezza di Cristina e la dolcezza di Aurora si sentì nuovamente a suo agio. Non si aspettava di trovare due persone così in quel posto, dove finora aveva incontrato solo tristezza e aggressività.

Seduta sul letto con le due bambine, Cristina tentò di capire la situazione: "Come mai sei arrivata così tardi in mensa? Nessuno ti ha detto a che ore si mangia?"

Selvaggia scosse la testa. "Forse suor Maria se l'è dimenticato. Ieri sera ero talmente triste che mi sono addormentata tra le lacrime... Stamattina mi sono svegliata solo al rumore della porta che veniva sbattuta."

"Non avercela con suor Maria, non è cattiva, usa la severità per tenere a bada i tanti bambini che ospita, ma non lo fa con l'intenzione di ferire."

Nonostante le proprie parole Cristina giunse alla conclusione che era stata ingiusta nei confronti della nuova arrivata. Ma non volle confessare alla bambina questi suoi pensieri.

Selvaggia annuì, cercando di non pensarci.

"E con Ilaria vai d'accordo?" Cristina sapeva che la compagna di stanza della nuova arrivata aveva un qualche ascendente nella direttrice, e che non andava d'accordo con i nuovi arrivati. Selvaggia rispose scuotendo il capo in un deciso diniego.

"Appena sono arrivata ha iniziato a prendere in giro le mie suore e a tirarmi i capelli."

"Ti ha tirato i capelli?" Aurora fece tanto d'occhi.

Selvaggia annuì. "Ha detto che sono troppo lunghi e che Suor Maria me li farà certamente tagliare, prima o poi."

Cristina immaginò subito il motivo di tali parole da parte della bambina. "I tuoi capelli non sono affatto troppo lunghi... Ilaria voleva solo provocarti. Le piace dare fastidio. Non badarle."

Selvaggia annuì nuovamente, convinta delle parole della ragazza. Di colpo la porta si spalancò e Ilaria entrò nella stanza senza degnare di uno sguardo le persone presenti. Era seguita a ruota da un'altra bambina, un'altra orfanella ospite di suor Maria, che la tallonava da vicinissimo con uno sguardo perso.

"Ciao Ilaria, ciao Silvia." Le salutò educatamente Cristina.

Ilaria le sorrise brevemente, per poi subito distogliere lo sguardo e dirigersi verso il suo comodino e recuperare un libro con delle figure, sedersi sul letto per contemplarlo e non dover rispondere. Silvia, invece, si soffermò un po' di più per salutare Cristina, poi spostò lo sguardo su Selvaggia, sorridendole istintivamente.

"Ciao, io sono..."

"Silvia!" La interruppe Ilaria con severità. "Cosa ti avevo detto, prima?"

Quest'ultima strinse le labbra e le si sedette accanto, iniziando a leggere in silenzio il libro che Ilaria teneva in grembo. Selvaggia non riuscì a comprendere perché quella bambina dagli occhi tristi si lasciasse dare ordini da Ilaria senza dire niente. Dal modo in cui l'aveva zittita sembrava proprio che la tiranneggiasse in qualche maniera.

Cristina volle interrompere quell'atmosfera tesa: "Ti va di uscire un po' in giardino con noi, Selvaggia?"

Stette quasi per rispondere positivamente ma le tornarono alla mente le parole di suor Maria, che le aveva detto di rimanere nella sua stanza fino a nuovo ordine, e il piccolo sorriso si spense dalle sue labbra.

"Mi piacerebbe, ma suor Maria mi ha detto che devo restare qui."

La ragazza se ne dispiacque, ma non se la sentì di spronarla a disubbidire alla suora. Dopotutto era la direttrice dell'Istituto, e lei una semplice impiegata comunale.

"Allora è meglio non farla arrabbiare se ti ha detto così."

Si congedò e uscì in giardino per badare agli altri bambini, questo comprendeva il suo lavoro; almeno finché non sarebbe iniziato l'anno scolastico e allora avrebbe dovuto accoglierli ogni mattina nell'aula presente al piano terreno dell'edificio e aiutare il maestro Faggi a insegnare loro a leggere, scrivere e far di conto.

Aurora decise di rimanere con Selvaggia ancora un po'. "Aspettami qui, torno subito."

Uscì dalla stanza e tornò subito dopo con in mano un oggetto di plastica circolare che posò sul letto.

"Volevo giocare con te con questo gioco."

Selvaggia osservò quell'oggetto strano senza sapere nemmeno cosa fosse questo gioco... C'erano dei piccoli pesci di plastica con le bocche rivolte verso l'alto, ma non riusciva a capire il suo funzionamento. Quando Aurora azionò il pulsante d'accensione i pesci iniziarono a girare in circolo, aprendo e chiudendo le piccole bocche continuamente, producendo dei rumori come di tanti schiocchi contro il legno, ne rimase estasiata. Estrasse una piccola canna da pesca da uno sportellino del gioco e mostrò la calamita all'estremità della piccola lenza:

"Con questa devi pescare i pesci. Vedi? Così!"

Si accinse a pescarne uno infilando con naturalezza la calamita nella sua bocca, tenendo la canna dall'estremità opposta. Per Selvaggia era la cosa più bella e divertente che avesse mai visto.

"Come hai fatto?"

"Provaci tu." Le passò la piccola canna.

Non ci mise molto a imparare il gioco e le due passarono la mattina intera a giocare e divertirsi con ciò che l'orfanotrofio metteva a loro disposizione.

Per tutto il tempo Ilaria e Silvia rimasero a leggere in silenzio, ignorandole. La biondina voleva dimostrare di essere più matura, e non poteva mettersi a giocare con dei giochi come quello, anche se ogni tanto sia lei che la sua compagna di lettura sbirciavano di sottecchi le due bambine che parevano divertirsi un mondo. Dalle loro espressioni sembravano invidiose della spensieratezza delle due che erano appena diventate amiche. Silvia non osava dirlo, ma avrebbe voluto unirsi a loro e giocare spensieratamente invece di seguire Ilaria nella sua lettura silenziosa e noiosa. Purtroppo, Ilaria le aveva regalato uno dei vestiti più belli che erano stati donati all'Istituto dalle famiglie del comune, come se fosse stato regalato direttamente a lei e poi avesse avuto il buon cuore di darlo a Silvia, per questo la bambina si sentiva in debito con lei, e non osò contraddirla o abbandonarla.

***

All'ora di pranzo qualcuno bussò gentilmente alla porta e quando invitarono a entrare, suor Maria apparve nella stanza con aria gentile e rassegnata. Per un attimo sembrò sorpresa di vedere la piccola Aurora in compagnia di Selvaggia, ma tornò subito seria e assunse di nuovo un'espressione neutra.

"Direi che la tua punizione è revocata, Selvaggia. È quasi ora di pranzo e voglio vederti in mensa insieme alle altre tra mezz'ora precisa. Spero che questa punizione ti sia servita a capire come funzionano le cose qui."

Selvaggia annuì in silenzio, non voleva parlare per paura di dire qualcosa di sbagliato e riscatenare le ire della suora. Quest'ultima annuì a sua volta e uscì dalla stanza. La bambina tirò un sospiro di sollievo, finalmente avrebbe potuto mangiare come si deve. Anche se le avevano portato una brioche era riuscita a calmare i morsi della fame ma di certo non a riempirsi lo stomaco. Finché giocava era riuscita a distrarsi dal senso di fame, ma adesso il pensiero di mangiare un pranzo intero le fece venire l'acquolina in bocca e sentì brontolare lo stomaco, provocando le risatine divertite della piccola Aurora.

Nella mensa, Aurora e Selvaggia si sedettero accanto e un'altra bambina della loro età si sedette accanto ad Aurora.

"Ti presento la mia amica Elena Ruffa." La presentò alla nuova arrivata.

Selvaggia le sorrise, ma la fame era troppa per indugiare ancora. Ignorò per il momento le due bambine sedute accanto e si tuffò sul suo piatto di pollo e patate. Quando fu riuscita a calmare i morsi della fame riuscì a prestare la giusta attenzione alla nuova arrivata.

"Quanti anni hai?" Cercò di essere gioviale.

"Sei," borbottò Elena con la bocca piena. Ingoiò il boccone e continuò: "Tu?"

"Cinque."

"Ho sentito dire che prima vivevi in un convento. È vero?"

"Un Monastero. Le mie suore mi hanno cresciuta dopo avermi trovata nella ruota."

"Cos'è la ruota?" S'intromise Aurora.

Selvaggia spiego alle due il luogo dove le suore l'avevano trovata, recitando la spiegazione che suor Carmela le aveva dato innumerevoli volte. Le due bambine si dimostrarono molto curiose, ma alla fine della spiegazione fu Selvaggia a essere curiosa:

"Aurora, ma tu non hai un cognome come Elena?"

L'amichetta si strinse nelle spalle. "Non lo so, e tu?"

Selvaggia sapeva benissimo qual era il suo, e derivava proprio dal luogo in cui l'avevano trovata.

Annuì. "Buonarote."

***

L'orfanotrofio di suor Maria ospitava diversi bambini di entrambi i sessi, che andavano da un'età di quattro o cinque anni fino ai più grandicelli di tredici o quattordici. Con quest'ultimi Selvaggia non era riuscita a stringere nessun tipo di amicizia, troppo vergognosa per parlare o addirittura giocare con loro. Li vedeva sempre riuniti in piccoli gruppetti, a giocare con delle biglie costruendo percorsi sulla sabbia o a scherzare in un modo che lei non riusciva a comprendere. Ma non si erano mai manifestati ostili nei suoi riguardi.

Fu perciò strano quando assistette involontariamente al discorso dai toni risentiti che due di loro stavano avendo vicino all'altalena dove era solita dondolare.

"Quindi oggi finalmente se ne andrà."

Quello conosciuto come Gennarino stava parlando fitto fitto con Filippo, detto Pippo, e le loro voci vennero trasportate dal vento fino a lei.

"A quelli più piccoli capitano tutte le fortune!"

La battuta risentita di Pippo la incuriosì e fermò il suo moto ondulatorio sull'altalena per non perdersi nemmeno una parola.

"Insomma. È qua dentro da quando aveva due anni, mischinu." Lo corresse l'amico.

"Ma intanto da oggi avrà di nuovo un papà e una mamma," cantilenò, sfottendo il soggetto di quella frase. "E noi restiamo qui ad ammuffire."

Non era sicura di aver compreso di cosa stessero parlando, ma in quel momento accanto a lei apparve Elena.

"Selva, ti va di giocare a nascondino, finché c'è luce?"

"Shhh!" L'ammonì con un dito sulle labbra corrucciate. "Voglio capire quello che dicono!"

Annichilita da questa risposta l'amica si guardò attorno. "Ma chi?"

Selvaggia indicò i due ragazzi poco distanti.

Gennarino fece schioccare la lingua contro il palato. "Ma sta' zitto, sei solo invidioso!"

"E tu un falso buonista!"

Gennarino lo spinse, Pippo stette quasi per cadere ma riuscì a recuperare l'equilibrio, in tempo per accorgersi che Selvaggia lo stava fissando ammutolita e, vergognandosi, scappò via, rintanandosi all'interno dell'edificio. Gennarino assunse una faccia schifata, scosse il capo e calciò un sasso, allontanandosi con le mani in tasca.

Selvaggia si voltò verso l'amica: "Tu sai di cosa stavano parlando?"

Elena si strinse nelle spalle. "Forse di Giacomo. Lo sanno tutti che oggi se ne andrà coi suoi nuovi genitori."

A queste parole schizzò in piedi e corse oltre il portone del giardino, dirigendosi velocemente davanti alla porta dell'ufficio di suor Maria. Proprio in quel momento si aprì e suor Maria ne uscì con un sorriso stampato in faccia che Selvaggia non le aveva mai visto addosso.

"Grazie per la vostra generosità," fece strada a un uomo e a una donna che la seguirono lungo il corridoio. "Il nostro orfanotrofio potrà aiutare molti più bambini con la vostra donazione."

"No, grazie a lei," rispose la donna. "Giacomo è un bambino dolcissimo, siamo felicissimi di averlo con noi."

Solo in quel momento si accorse di Giacomo che trotterellava loro dietro col viso rosso e gli occhi bassi.

L'uomo gli accarezzò i capelli in un gesto di conforto." Lo abbiamo desiderato tanto, spero che si troverà bene con noi, che sarà felice."

Il bambino alzò finalmente lo sguardo, regalando al gruppetto un sorriso imbarazzato.

In quel momento Elena la raggiunse, trafelata, fermandosi alle sue spalle. "Selva, cos'è successo?"

Selvaggia si voltò verso l'amica, si sentiva mortificata senza sapere il perché. "È per questo che siamo qui, per aspettare che qualcuno venga a comprarci?"

L'altra corrugò la fronte. "A comprarci? Guarda che ti sbagli, Giacomo non è stato comprato, è stato adottato."

Tornò a guardare il corridoio ormai deserto e finalmente seppe perché si trovava lì. Le sue suore non volevano adottarla e l'avevano scaricata nell'orfanotrofilo, sperando che qualcun altro decidesse di farlo al posto loro.

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