Capitolo Cinquantuno

"Come sai di lei?" Fu la sua risposta, con una domanda a un'altra domanda.

Selvaggia non sapeva se urlare o iniziare a piangere.

"Chi sei tu, in realtà?"

Suo padre la fissò immobile per un lungo istante, Selvaggia riusciva addirittura a scorgere i meccanismi del suo pensiero in movimento mentre cercava le parole con cui risponderle. Di colpo lui abbassò lo sguardo e si sedette alla scrivania, afferrò nuovamente la foto della donna e sospirò, rassegnato.

"Era la donna che amavo."

"Era?"

"È morta in un incidente d'auto diciannove anni fa, a seguito di una grossa inondazione."

La curiosità di Selvaggia era sempre più pressante. "E perché ha il medaglione uguale al mio?"

"Ti sbagli." Michele scosse lentamente la testa. "Non è uguale al tuo..."

Selvaggia avanzò di un passo, sconcertata, impaurita di aver capito la verità.

"È lo stesso medaglione, vero?" Balbettò.

Michele alzò nuovamente lo sguardo su di lei, aveva gli occhi umidi, enormi, nei quali lei riuscì a leggere la verità.

"Tu sei il mio vero padre."

Il tempo si congelò, rallentando a dismisura.

Padre e figlia si guardarono negli occhi e ognuno vide se stesso negli occhi dell'altro. Non ci fu bisogno che Michele rispondesse, la risposta era in quel silenzio.

"Credimi, non sai le volte che avrei voluto dirtelo..." farfugliò, ma si bloccò vedendo gli occhi della figlia pieni di lacrime. "Tesoro mio, non piangere."

"Perché non me lo hai detto?" Deglutì, aveva la voce incrinata, piena di rabbia e rammarico.

"Io... non potevo..."

"Perché?!" Urlò allora, conoscere questa realtà fu come ricevere un colpo allo stomaco... "Perché non hai fatto niente per avermi prima?! Perché non mi hai cercata?!" Era disperata, alzò sempre di più la voce.

Era la seconda volta che litigavano, ma questa volta Michele non seppe cosa rispondere.

"Io..."

Lei non attese di ricevere nessuna risposta, si voltò cominciando a piangere e uscì dallo studio. Michele vide quelle lacrime scendere da quegli occhi che amava così tanto come se fossero una stilettata al cuore, ma non poté fare niente per impedirle; sapere di essere il responsabile per quelle lacrime lo aveva completamente annichilito.

*

Pochi secondi dopo Selvaggia piombò nella sua stanza con il fiatone, il viso rosso e rigato di lacrime. Non riusciva a smettere, continuavano a bagnarle il viso e il giacchetto, i capelli... non capiva più niente. Corse ad aprire il suo armadio e raccolse la sua valigia, che spalancò gettandola sul letto, prese tutti i suoi vestiti e li gettò dentro alla rinfusa. Vi mise anche il carillon di Sebastiano e alcuni altri ninnoli dal comodino, dopo di ché la chiuse velocemente e se la portò via. Mentre la caracollava fuori dalla sua stanza chiamò Giancarlo al cellulare, che la venisse a prendere fuori dal cancello. Si precipitò in giardino e fuori dalla proprietà di suo padre.

*

Michele restò come inebetito alla sua scrivania. Sentiva Selvaggia che trascinava la sua valigia attraverso le scale e che chiudeva la porta d'ingresso, ma non riusciva a muoversi. Era pietrificato. Tutti i suoi sforzi per avere sua figlia con sé, per poter donare il suo amore a ciò che era sangue del suo sangue, erano andati in fumo.

Iniziò a piangere anche lui, silenziosamente. Abbassò la testa e osservò le sue lacrime infrangersi contro il ripiano scuro della scrivania. La donna della foto continuava a sorridergli, ancora bella e in vita. Accarezzò con un dito la lastra di vetro, seguendo la linea del mento e delle labbra.

"Perché dovevi far parte proprio di quella famiglia, Carolina?"

*

Giancarlo non era ancora arrivato e, invece di aspettarlo, cominciò a camminare lungo la strada, prendendo una direzione a caso, trascinandosi dietro la valigia e continuando ad asciugarsi il naso e gli occhi con la manica del giacchetto. Singhiozzava macinando l'asfalto con la suola delle scarpe, la mente in subbuglio, finché il clacson della moto non la fece sobbalzare.

"Ehi, fermati!" Giancarlo gli si avvicinò. "Ti stavo chiamando..."

Apparve sfuocato agli occhi di Selvaggia, ma la sua espressione che si tramutò in preoccupata le fu chiara. Giancarlo abbandonò la moto sul cavalletto laterale e le corse incontro.

"Cos'è successo? Stai bene? Che ti ha fatto?"

Selvaggia si tuffò immediatamente tra le sue braccia, sfogando le lacrime sul suo petto. Si sentì stringere e questo la aiutò a calmarsi. Le macchine passavano loro accanto suonando, innervosite dalla loro sosta inconsueta.

"Dai, calmati. Dimmi cosa è successo."

Lei scosse la testa. "No. Voglio andare via."

"Non posso portare te e la valigia sulla moto." Giancarlo guardò lungo la strada. "È meglio chiamare un taxi. Vai alla stazione e prendi il treno da sola. Credo sia l'unica."

Selvaggia annuì e attese che Giancarlo spostasse la moto fuori dalla carreggiata. Le chiamò un taxi e attese insieme a lei, senza farle ulteriori domande.

Era un vero sforzo per lei trattenersi. Era demoralizzata dalla novità che aveva scoperto, la delusione acuta verso quell'uomo la sovrastava. Non si rese conto del tempo che passò al lato della strada in attesa del taxi, finché non lo vide fermarsi davanti a lei.

Giancarlo pagò anticipatamente il tassista e l'aiutò a salire.

"Ti seguo fino alla stazione, va bene?"

Lei annuì e partì da sola, con l'opportunità di rimuginare ancora.

Era letteralmente sconvolta, si sentiva sottosopra. Michele Giordano era davvero suo padre! Perché glielo aveva tenuto nascosto? Dov'era quando la signora Caruso la spinse a sparare a Sebastiano? Che fine aveva fatto quando venne portata in quell'orfanotrofio?

Il taxi si fermò alla stazione e Giancarlo le aprì lo sportello. Se non era per lui non si sarebbe nemmeno accorta di essere arrivata, sarebbe rimasta in quel taxi chissà per quanto ancora. Le prese il bagaglio e l'accompagnò al binario.

Nell'attesa del treno Giancarlo continuò a stringerla a sé, ma le chiese di nuovo cosa fosse successo. Lei recepì la domanda, ma le attraversò la mente senza toccarle la sua parte cosciente. Non ricevendo risposta, Giancarlo tornò a stringerla, senza insistere. Gliene fu profondamente grata. Non aveva bisogno di qualcuno che la forzasse a dire quello che per lei era fonte di shock, aveva bisogno di qualcuno che l'aiutasse a calmarsi. Nient'altro. Era troppo scossa per parlarne dove non si sentiva completamente a suo agio, si comportava come un'animale in cattività, che vuole fuggire ed essere lasciata libera.

***

Tre ore dopo entravano insieme nell'appartamento di Selvaggia. Giancarlo la seguì in silenzio fino alla sua stanza. L'aiutò a togliersi il giacchetto e a sedersi sul letto, sedendosi vicino a lei. A quel punto tornò a stringerla e le ripeté la stessa domanda a cui lei non era riuscita a rispondere.

Finalmente lo guardò con più presenza di spirito. Aveva sempre gli occhi lucidi ma era visibilmente più tranquilla. Tirò su col naso e prese un bel respiro.

"Michele Giordano è mio padre."

Giancarlo continuò a stringerla, ignaro del significato di quelle parole. Certo che era suo padre, cosa c'era di nuovo? Rimase in attesa, aspettando che continuasse, ma vedendo che rimaneva in silenzio il vero significato di quella frase divenne piano piano più chiaro. La scostò a sé per vederla bene in faccia.

"Cosa vorresti dire, che è il tuo vero padre?"

Selvaggia annuì con quei due occhi enormi e Giancarlo spalancò i suoi, scioccato da tale informazione.

"Come lo hai saputo? Te lo ha detto lui?"

Selvaggia abbassò lo sguardo, tornando con la mente al momento della verità:

"Era..." Deglutì. "Era nel suo studio con in mano la foto che teneva sempre in bella vista nella sua libreria personale." Gli raccontò di come aveva trovato quella foto all'interno del cassetto e di essersi accorta della somiglianza del suo ciondolo con quello che la donna aveva nella foto. Glielo mostrò estraendolo dalla tasca della giacca, dove lo aveva messo durante il viaggio in treno. Quando suo padre le aveva detto che era lo stesso ciondolo e che quella era la donna che amava aveva capito che lui era il suo vero padre.

Giancarlo restò alcuni istanti senza parole.

"Non ti aveva mai detto niente? Non aveva mai cercato di fartelo capire?"

"No... Mai."

"E non ti ha detto perché non l'ha mai fatto?"

"No... sono scappata prima."

"E lui non ti ha fermato?"

"No."

A Giancarlo tornò in mente suo padre, e le immagini di quando i Carabinieri lo portavano via dal suo ristorante mentre continuava a urlare di essere innocente gli ripassarono davanti agli occhi come un brutto incubo. Ricordò il processo, quando Michele Giordano lo difendeva con finta abnegazione... Ricordò l'ultima volta in cui lo aveva visto vivo. La strinse ancor più forte, non voleva collegarla a quell'uomo spregevole.

"Passerà... non sei sola, ci sono io con te."

Non seppe se stava cercando di consolare più lei o sé stesso.

La luce al di là della finestra stava scemando e il giorno stava facendo spazio alla notte. Selvaggia alzò la testa per guardarlo negli occhi.

"Resta a dormire qui con me, stasera."

Giancarlo si perse in quei due occhi umidi ed enormi, non poté che annuire.

Si spogliarono con lentezza, non volevano distruggere quella calma apparente che erano riusciti a raggiungere insieme, e si misero sotto le coperte nel lettino di lei. Stavano un po' stretti in quel letto singolo, ma si strinsero in modo da riscaldare i loro corpi e occupare meno spazio possibile.

Selvaggia appoggiò la testa sul suo petto, ispirando il suo odore di sigaretta e di pelle, che la fece sentire a casa.

***

Michele era rimasto seduto alla sua scrivania per un tempo indecifrabile, inebetito a chiedersi cosa fosse successo e se tutto ciò che aveva fatto per avere sua figlia con sé non fosse stato inutile. Qualcuno bussò alla porta del suo studio, ma lo ignorò, non aveva la forza per rispondere.

Carmen fece capolino. "Posso entrare?"

Michele alzò uno sguardo vuoto su di lei, senza risponderle.

"Mi scusi se la disturbo," ignara del suo stato d'animo, entrò nella stanza. "Volevo sapere se Selvaggia resta a mangiare."

Lo sguardo di lui non mutò di una virgola e Carmen si sentì in enorme imbarazzo... Non sapeva se ripetere la domanda o andarsene. Stava quasi per voltarsi ma la domanda del suo datore di lavoro la fermò:

"Perché, ti ha detto qualcosa?"

"No..."

Ci fu un altro silenzio, lungo alcuni lunghissimi istanti, dove nessuno dei due seppe cosa dire. Sentendo la necessità di dire qualcosa, Carmen disse la prima cosa che le venne in mente:

"Ehm... spero che il documento che Selvaggia ha portato via da qui non le serva."

Michele sbatté lievemente le palpebre, sembrò dare un significato a quelle parole e la guardò, confuso.

"Quale documento?"

"Ahm... non saprei. So solo che lo nascondeva dietro la schiena, sono sicura che pensava non me ne fossi accorta."

Michele si insospettì: "Sai dove lo ha preso?"

"No... ma ho notato che quello sportello era aperto quando è uscita di qui." Indicò lo sportello più basso del suo archivio.

Michele si alzò di scatto, dimentico di Carmen come se non fosse più con lui nella stanza, e si diresse immediatamente ad aprire quello sportello. Vagò con lo sguardo sulle etichette delle varie cartelle presenti finché non vide quella riportante l'anno in cui aveva fatto da avvocato difensore al signor Siriani. Un brivido gli percorse tutto il corpo, sperava che il suo sospetto non fosse vero. Afferrò quella cartellina e controllò tutti i fascicoli presenti, per poi accorgersi che mancava proprio quello riguardante il processo del signor Siriani.

Fece mente locale su quello che conteneva quel fascicolo e ricordò che riportava pure tutti i nomi degli altri imputati che furono arrestati insieme al signor Siriani quel giorno... Che avesse scoperto la provenienza di sua madre? Allarmato, corse a prendere il suo cellulare all'interno della sua giacca, appesa alla poltrona, e cercò di chiamare sua figlia. Il cellulare squillò a vuoto per diversi secondi e partì la segreteria. Chiuse la chiamata e riprovò, ma gli fu subito evidente che non gli avrebbe mai risposto. Iniziò a sudare freddo e le mandò un messaggio...

***

Manuela entrò in casa di corsa; dopo una giornata frenetica voleva potersi stendere un po' e riposarsi prima di mettere qualcosa sotto i denti e andare alla birreria in cui lavorava. Ultimamente non aveva quasi più tempo nemmeno per respirare.

Si tolse il borsone da una spalla, tenendolo in equilibrio sull'altra, e con un piede chiuse la porta di casa. Sapeva che Eleonora non c'era mai a quell'ora, anzi, non c'era mai a prescindere: veniva solo per dormire, e se putacaso era a casa durante il giorno, era rinchiusa nella sua stanza a studiare - il che avveniva molto raramente - quindi abbandonò il borsone a un lato dell'ingresso sicura che nessuno le avrebbe detto niente, facendolo cadere malamente sul pavimento.

In quel modo si accorse della valigia di Selvaggia accostata al muro, con sopra la sua borsa. Era davvero strano vedere lì quelle cose. Si guardò attorno alla ricerca della sua amica, ma non la vide da nessuna parte, quindi si diresse in camera sua. Appena aprì la porta la trovò addormentata nel suo letto, insieme a Giancarlo, disteso addormentato nel letto con lei mentre la teneva stretta con un braccio. Li osservò dormire beatamente per alcuni secondi, un po' stupita da quella scena, e non volle svegliarli. Prese il suo cambio di vestiti e andò in bagno, cercando di fare il meno rumore possibile.

Tornando in cucina passò davanti alla borsa di Selvaggia e sentì il suo cellulare squillare. Lo ignorò e proseguì per la sua strada, ma continuò a squillare per un bel po' finché non smise da solo. Pochi secondi dopo riprese nuovamente a squillare. Innervosita, roteò gli occhi e cercò di ignorarlo, ma quando smise di squillare non fece in tempo a tirare un sospiro di sollievo che lo sentì emettere il suono di un messaggio. A quel punto la curiosità prese il sopravvento e senza nemmeno pensarci si avvicinò alla borsa e cercò il cellulare in questione, trovandolo subito in una tasca interna. Lanciò uno sguardo in direzione della camera da letto e subito accese lo schermo e aprì il messaggio appena arrivato. Si pentì di averlo fatto. Il messaggio arrivava dal padre di Selvaggia e il tono che aveva usato era tutto fuorché tranquillo:

"Ti prego, tesoro mio, lascia stare quelle persone, sono pericolose! Non le cercare, non sai di cosa sono capaci!"

In che razza di guai si era cacciata la sua amica?

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