Capitolo Cinquantotto

“Selvaggia, puoi andare a prendere l’ordine di quel tavolo, per favore?”

Quella sera il pub era pieno di gente, c’erano ragazzi che ridevano e bevevano come delle spugne, tanto che Selvaggia e Fabiola, l’altra ragazza che lavorava nel pub insieme a Manuela, avevano un bel daffare per servire tutti.

Selvaggia si prodigò per andare a prendere l’ordine al tavolo indicatole dalla collega; dopo una settimana di lavoro era diventata abbastanza pratica e, munita di carta e penna, si avvicinò al tavolo con due ragazzi e due ragazze. Sembrava un’uscita a quattro. Dopo aver preso la loro ordinazione si voltò per portarla al bancone. La sua attenzione venne attratta da un uomo vestito con un completo grigio e completamente calvo, che si sedette da solo a un tavolo vicino.

Ebbe una sensazione simile a un déjà-vu. Conosceva quell’uomo, ne era certa, ma non si ricordava dove lo aveva visto. Lo osservò per alcuni istanti, e immagini confuse di un passato che voleva dimenticare le annebbiarono la mente. Quell'uomo aveva uno strano paio di baffi a sporcargli il viso, e sembrava guardarsi attorno come alla ricerca di qualcuno, finché il suo sguardo non si posò su di lei. Selvaggia deglutì, non le trasmetteva una bella sensazione. Gli passò accanto un po’ scombussolata, soprattutto perché l’uomo la guardava con insistenza, come se volesse leggerle nella mente. Di colpo alzò un braccio per chiamarla.

Selvaggia ebbe un singulto ma era comunque un cliente del pub e doveva servirlo.

Si avvicinò cercando di sorridere, lo sguardo dell'uomo non era né astioso né derisorio, era neutro, ma la fissava con un paio di occhi scuri e profondi che la fecero sentire strana.

“Buonasera, che cosa le porto?”

L’uomo rimase per un attimo a fissarla in silenzio. “Ciao, Selvaggia, sono contento di rivederti.”

Rimase senza fiato e restò a fissarlo a bocca aperta.

“Come mi conosce?” balbettò.

L’uomo fece sentire una risatina. “Una cosa alla volta.” Appoggiò i gomiti sul tavolo. “Sei diventata davvero molto bella… assomigli sempre di più a tua madre.”

A queste parole Selvaggia si sentì come cadere, come se un vortice di confusione l’avesse appena inghiottita.

“Chi è lei?”

“Sono un vecchio amico di tuo padre.”

A quel punto sgranò gli occhi, incredula, sicuramente era stato suo padre ad averlo mandato lì; dato che lei non voleva più parlargli si stava servendo dei suoi amici per convincerla a tornare sui suoi passi. Quest'uomo aveva proprio l'aria di un avvocato. Una rabbia cieca invase il suo petto.

“Cos’è, è venuto per convincermi a tornare a casa? O per farmi tornare a studiare?”

L’uomo scosse il capo. “No… ho solo bisogno di parlarti, ma tuo padre non c’entra.”

“Che cosa vuole?” lo guardò circospetta.

“Ho bisogno di metterti al corrente di alcune cose che ti riguardano personalmente.”

“Beh, io adesso sto lavorando,” si guardò attorno, innervosita, “e non posso starla a sentire. Se vuole ordinare, bene, altrimenti non può stare qui.”

“D’accordo.” Afferrò il menù dal tavolo e lo contemplò velocemente. “Portami un hamburger e una birra media.”

Selvaggia strinse le labbra, contrariata. Sperava che col suo discorso se ne andasse, invece adesso le toccava pure servirlo.

Gli portò ciò che aveva chiesto e si allontanò immediatamente. Continuò a lavorare fino all’orario di chiusura. Al momento di chiudere, l’uomo venne invitato a uscire e Selvaggia tirò un sospiro di sollievo, non lo voleva affrontare. 

Convinta che l'uomo se ne fosse andato, uscì dal pub salutando le colleghe con il solito entusiasmo. Manuela le diede appuntamento a casa, e si allontanò per vedersi con Sergio. Selvaggia la salutò con un sorriso ma quando si voltò l'uomo con quel paio di strani baffi era sullo stesso marciapiede poco distante che stava camminando verso di lei.

“Spero di non spaventarti, ma quello che ho da dirti è troppo importante, e non posso aspettare.”

Aveva dei modi molto educati e particolari, da manuale. La cosa fece affiorare alla mente di Selvaggia qualcosa di sfuggevole, che non riuscì ad afferrare ma che la sconvolgeva.

“Posso sapere prima chi è lei?”

“Hai ragione. È passato molto tempo ma forse ti ricorderai delle prove contro la signora Margherita Caruso che portai al tuo processo e che ti scagionarono dall’accusa di omicidio contro suo marito.”

Selvaggia sgranò nuovamente gli occhi, scioccata. Sì, adesso ricordava! Fu l’uomo che volle essere ascoltato all’ultimo, e che aveva portato una chiavetta usb piena di fotografie e file audio che testimoniavano la sua innocenza!

Si sentì quasi mancare, si vergognò di averlo giudicato male. Ora lo riconosceva, senza di lui molto probabilmente adesso sarebbe stata a marcire in carcere. Deglutì e finalmente addolcì i lineamenti del suo viso, accogliendo quello sconosciuto nella sua vita.

“A quei tempi aveva la barba.”

L’uomo si passò distrattamente una mano sul mento. “Ah, sì…” ridacchiò. “Mi ero stancato di portarla.”

Selvaggia sorrise."Mi scusi per il mio benvenuto. Mi rammarico, ma non ricordavo chi fosse, e poi subito dopo il processo è sparito."

L'uomo fece un inchino. "Girolamo Prisco, mi scuso di non essermi presentato prima. Purtroppo le varie circostanze non me lo permisero. Posso invitarti a parlare in un posto più tranquillo?"

Selvaggia acconsentì e lo seguì fino a una panchina in un piccolo parco cittadino, dove una strana scultura astratta faceva bella mostra di sé esattamente al centro di una aiuola con il terreno brullo, e dove potevano chiacchierare più comodamente. Pochi lampioni la illuminavano e non c’era nessuno che vi sostava, se si fosse avvicinato qualcuno sarebbe stato impossibile non notarlo.

“In realtà quella non fu l’ultima volta che ti vidi.” Riprese l’uomo sedendosi sulla panchina. “Ci incontrammo anche a casa di tuo padre, alcuni anni fa. Ero andato da lui per una visita di cortesia e tu eri appena tornata non mi ricordo da dove. Già da allora si vedeva che saresti diventata bella, ma non credevo così tanto!”

Selvaggia sorrise timidamente. “Grazie...”

Seguì un breve istante di silenzio, dove l’uomo guardò davanti a sé prendendo un gran respiro, come cercando il coraggio di parlare.

“Insomma… Ci sono cose che devi sapere, e che sono molto importanti, per te.” Prese un grosso respiro. “Hai fatto un grave errore ad andare a trovare il boss dei Lo Iacovo. Da quando te ne sei andata da lì ti stanno tenendo d’occhio.”

Selvaggia iniziò a spaventarsi, aveva visto quel buttafuori all’esterno dell’Università, ma poi non lo aveva più visto da nessuna parte.

“Ma… perché? Io alla fine non ho fatto niente.”

L’uomo sospirò. “Diciamo che era meglio se la tua faccia non venisse fuori.” Gli indicò la sua borsa con il mento. “Avvisa il tuo ragazzo che stasera farai tardi a lavoro, non vorrei che venisse a cercarti.”

Selvaggia prese un grosso sospirò e fece come gli disse.

“Devo partire dall’inizio con te, solo così, forse, riesco a dirti tutto.” Fece una piccola pausa. “Sono un avvocato, esattamente come tuo padre, ma ho anche una licenza come investigatore privato. Quando tu sei stata adottata dai signori Caruso, io stavo lavorando all’interno del comune di Catania e mi capitarono sott’occhio certi fascicoli che riportavano il tuo nome. Ma a quel tempo non potevo sapere che quel nome apparteneva a te, finché non vidi una tua foto.” A quel punto fece un sorrisetto, malinconico. “Eri appena una bambina, ma ti riconobbi subito.” Selvaggia deglutì, cercando di capire dove sarebbe andato a parare, ma non volle interromperlo. “Già a quell’età eri tale e quale a tua madre.”

Selvaggia fu ancora più sconvolta. “Conosceva mia madre?” sospirò.

“Beh, vedi…” Si passò una mano sul mento. “Prima devi sapere che da quel momento ho cercato di accertarmi che fossi veramente tu, e che soprattutto fossi capitata in buone mani. Conoscevo di vista quel tuo padre adottivo, grazie al mio lavoro ho girato molto e sono capitato spesso anche nella banca in cui lavorava. Mi era sempre sembrato un tipo a posto, ma la moglie non mi piaceva molto, così quando ho visto che ti avevano adottato ho deciso di pedinarla e scoprire il più possibile su di lei. E si è rivelata la scelta migliore che potessi fare.”

Le rivelò che Margherita conduceva una doppia vita. Già da alcuni anni aveva un amante, e scoprì che in passato aveva avuto dei precedenti per circonvenzione d'incapace. Le spiegò che era stata arrestata per aver imbrogliato una donna anziana, ma che venne subito rilasciata grazie all'aiuto di quello che poi divenne suo marito.  Continuò a raccontarle aneddoti su quella donna che le misero i brividi. Era stato davvero un colpo di fortuna che fosse incappato in quei documenti che la riguardavano.

“Non potevo lasciar correre. Ma fu allora che avvisai tuo padre di averti trovata. Lui a quei tempi stava seguendo un caso molto importante, e non poté venire di persona per aiutarti, altrimenti sarebbe accorso subito. La cosa brutta è che quando la tua faccia fece il giro di tutte le tv locali e nazionali non fui l’unico a riconoscerti."

Selvaggia deglutì, senza distogliere l'attenzione da lui.

"Anche il boss del clan Lo Iacovo ti vide," Girolamo sospirò. "Ma da quanto ne so non ha mai creduto fino in fondo che tu fossi veramente figlia di tua madre," Selvaggia corrugò la fronte, confusa, ma non riuscì a interromperlo. "Però, appena seppe che tuo padre voleva adottarti, pensò bene di servirsene per incastrare il suo assistito. Il padre del tuo fidanzato aveva un ristorante dove il clan era solito riunirsi per delle cene o per festeggiamenti vari.”

Selvaggia annuì. "Sì, Giancarlo mi ha raccontato tutto."

“Beh… secondo loro era stato lui a chiamare i Carabinieri per una retata, perché era stanco che occupassero quasi per intero il suo ristorante ogni volta, quindi volevano dargli una bella lezione e farlo arrestare. Venne arrestato insieme agli altri e obbligarono tuo padre ad accogliere delle prove false contro di lui, a non usare quelle in suo possesso per scagionarlo e a lasciare che lo accusassero di favoreggiamento, altrimenti non gli avrebbero permesso di adottarti… E poi la cosa precipitò e l’uomo venne ucciso in carcere.”

“È stato il clan Lo Iacovo a ucciderlo?”

"Sì, Selvaggia." Annuì.

"Ma mio padre né è comunque responsabile."

“Non devi avercela con lui," fece una pausa d'effetto. "Tuo padre non avrebbe potuto fare altrimenti. Non gli avrebbero mai permesso di adottarti se non avesse ubbidito, inoltre chissà cosa avrebbero potuto fargli se si fosse rifiutato—"

“È comunque responsabile per la morte di un innocente," lo interruppe, contrariata. "Come posso passare sopra a questo?”

“Capisco, per te è una cosa molto importante,” sospirò, “ma spero che un giorno troverai la forza per perdonarlo."

Restarono in silenzio. Selvaggia si sforzò di calmarsi, ciò che le aveva detto creava una battaglia contro ciò in cui credeva e il bene che aveva nei confronti di quel padre particolare. D'improvviso si ricordò di una cosa e lo guardò si scatto.

"Lei prima ha detto che il boss dei Lo Iacovo non credeva che fossi veramente figlia di mia madre. Che cosa significa?"

Lui la guardò a lungo, con la faccia dispiaciuta. "Non avrei dovuto dirtelo."

La sua faccia stravolta le comunicò che aveva un segreto scottante che la riguardava.

"Dirmi cosa?" L'uomo sembrò intenzionato a non parlare, ma Selvaggia insistette. "Se riguarda mia madre devo saperlo! Ho diritto di sapere chi era!"

Girolamo era combattuto, ma alla fine cedette. "Tua madre era la figlia di don Gaetano Lo Iacovo, fratello dell'attuale boss del clan Lo Iacovo. E..."

Titubò nel proseguire e lei ne approfittò. "Mi dica dov'è?"

Si rammaricò di quello che stava per dirle ma non voleva mentirle. "Il suo corpo non fu mai stato ritrovato, Selvaggia, ma è morta—"

Continuò a raccontarle di come la macchina di sua madre venne ritrovata a valle del fiume che era esondato ai tempi del grande acquazzone che rovinò ettari di campi coltivati e sradicò chilometri di boschi nelle campagne palermitane. Lei rimase imperterrita a sentire quella storia senza nemmeno guardarlo, assorta nelle proprie considerazioni.

Alla fine del racconto lui si profuse nuovamente in elogi nei confronti di Michele. "Se avesse saputo prima che fine avevi fatto sarebbe venuto direttamente in orfanotrofio per adottarti. Non puoi odiarlo in eterno."

Selvaggia deglutì, austera. "Insomma, è venuto qui solo per perorare la causa di mio padre?"

Girolamo scosse la testa, e prese un grosso respiro. “Devi sapere anche un'altra cosa." Lei gli rivolse finalmente la sua attenzione. "Ultimamente, è successa una cosa che non doveva succedere e, mi dispiace dirlo, ma è per colpa del tuo ragazzo.”

“Cosa c’entra Giancarlo adesso?” Lo guardò di colpo, spaventata.

“Non sai niente dell’articolo che ha scritto, vero?” Selvaggia scosse la testa. “Ha messo il naso in cose che non doveva conoscere, e sta mettendo in pericolo la sua vita e anche la tua.”

***

Giancarlo ricevette il messaggio di Selvaggia, lo lesse corrugando la fronte, perplesso. Erano rimasti d’accordo di vedersi direttamente il giorno dopo, ma forse se lo era dimenticato, pensò. Ripose nuovamente il cellulare in tasca e si sbrigò a finire di scrivere il suo articolo, quello in cui chiariva in maniera più esplicita di cosa si erano macchiati questi componenti delle forze dell’ordine e con chi si erano alleati per chissà quali ricompense.

Aveva scritto di nuovo alcuni nomi e, secondo le sue nuove ricerche e perlustrazioni, questa volta era entrato più nel dettaglio, con la speranza che questi individui uscissero allo scoperto e pagassero per quello che avevano fatto una volta per tutte.

Fu un vero colpo di fortuna che Selvaggia avesse iniziato a lavorare proprio in quel periodo, aveva potuto seguire le sue indagini senza creare scuse o dirle bugie inutili. Terminò di scrivere le ultime frasi, lo firmò e lo mandò al correttore bozze. Si alzò dalla scrivania e si mise il giacchetto.

Alzò lo sguardo e si accorse che tutti i suoi colleghi erano spariti. Era talmente concentrato nel suo lavoro che non se ne era accorto. Oltre a lui era rimasto solo il suo collega Salvatore, che aspettava che gli mandasse il suo pezzo per correggerlo e metterlo pronto per la stampa del giorno dopo. Era chinò sul suo computer, poco distante, e gli passò davanti salutandolo senza fermarsi.

"Ciao Salvo, ci vediamo domani."

L'altro alzò la testa e lo raggiunse aggirando la scrivania. “Sei proprio sicuro di mandare in stampa questo articolo?”

Giancarlo si bloccò. “Certo, ci ho lavorato molto in questi giorni, per me è molto importante.”

“Sì, ma…” Salvatore era in difficoltà. “Hai notato anche da solo il casino che ha fatto il tuo articolo, la settimana scorsa. Anche se siamo un giornale piccolo con pochissima tiratura e ancor meno lettori, sei riuscito comunque a creare un bel trambusto.”

“Sì, l’ho capito, ma so cosa sto facendo. Non ti preoccupare.”

Non poteva permettersi di tirarsi indietro proprio ora che stava arrivando alla verità. Voleva che quell’uomo, chiunque fosse, venisse smascherato e che pagasse per quello che aveva fatto.

Aveva trovato uno per uno tutti i Carabinieri e i Poliziotti che erano stati nel carcere nello stesso giorno in cui suo padre venne trovato morto, e piano piano aveva ristretto il cerchio fino ad arrivare a una rosa di cinque nomi, tra i quali c’era assolutamente il suo uomo. Voleva che suo padre ricevesse vendetta, e non si sarebbe fermato.

“Giancarlo, sono arrivate perfino minacce telefoniche!” Lo scongiurò Salvatore.

“Ne sono a conoscenza, Salvo.”

L’uomo era davvero combattuto. “Non sono tuo padre, ma potrei esserlo, e sono comunque preoccupato. Non sai contro chi ti stai mettendo! Il giornale stesso è in pericolo se continui su questa strada.”

“Tranquillo… ho messo bene in chiaro che sono io l’unico responsabile di quegli articoli; non ho voluto nemmeno l’aiuto di Romina come faccio di solito.”

Salvatore non seppe cos’altro aggiungere, conosceva Giancarlo e sapeva che quando si metteva in testa una cosa era impossibile fargli cambiare idea.

“D’accordo… sappi solo che mi preoccupo.” Si rassegnò e tornò alla sua scrivania.

“Non hai motivo di preoccuparti.” Lo rassicurò l'ultima volta e se ne andò dalla redazione.

Entrò in casa alcuni minuti dopo, fortunatamente non abitava troppo lontano, e camminò al buio fino alla sua stanza per non svegliare sua madre.

Si spogliò e si infilò sotto le coperte. Rilassandosi si permise di guardare il suo cellulare e rileggere il messaggio di Selvaggia. Voleva sentirla un po’ più vicina a sé. Sfogliò le foto che le aveva fatto durante i loro pomeriggi insieme.

Dio, com’era bella!

Di colpo fu raggiunto dal pensiero che le persone contro cui si era messo potessero fare qualcosa anche a lei per fargli capire che non stavano scherzando. Come mai non ci aveva pensato prima? Le vendette trasversali non erano rare tra i mafiosi, avrebbe dovuto saperlo!

Per la prima volta da quando era andato a parlare con quel detenuto, ebbe veramente paura.

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