Capitolo Cinquantasei
La massiccia porta blu con la classica finestra di vetro in alto si aprì solo per lui. La guardia la mantenne aperta e Giancarlo la oltrepassò, entrando nella deserta sala colloqui del carcere di Bicocca.
Una fila di piccoli tavoli rotondi era posizionata lungo la parete alla sua destra, ancorata a terra con dei grossi bulloni, così come le quattro sedie rotonde posizionate a una distanza di novanta gradi l’una dall’altra attorno a ogni tavolo. Le pareti erano spoglie e c’era una seconda porta dalla quale sarebbe entrato l’appartenente al clan Lo Iacovo. Il suo nome era Carmelo Manfredi, ma questo aveva poca importanza.
Si sedette a un tavolo a caso e poco dopo la seconda porta si spalancò. Entrò un uomo di circa cinquant’anni dalla carnagione scura e i capelli neri leggermente brizzolati. Indossava una semplice maglietta a maniche lunghe bianca e un paio di pantaloni più larghi di almeno due taglie, stretti in vita da una cintola che creava numerose pieghe per adattarli alla sua fisicità. La guardia che lo aveva scortato lo invitò a entrare con un gesto della mano, dato che si era soffermato sullo stipite sorpreso di vedere un ragazzo che non conosceva ad attenderlo. Fece un passo in avanti e la guardia chiuse la porta, ma si mise ad attendere in piedi dietro di essa. Era visibile il suo cappello attraverso la finestrella di vetro che anche quella porta possedeva.
Giancarlo osservò l’uomo di fronte a sé, consapevole che forse stava osservando l’assassino di suo padre, e non seppe come riuscì a mantenersi calmo mentre il cuore gli stava scoppiando nel petto.
L’uomo studiò il ragazzo con i suoi profondi occhi neri. Gli si sedette di fronte e continuò a studiarlo per un bel pezzo, aspettando che si decidesse a parlare, ma dato il suo persistente silenzio, si chinò sul tavolo appoggiando i gomiti:
“E tu chi diavolo sei?”
Giancarlo cercò di rimanere impassibile, guardò le sue braccia macchiate da diversi tatuaggi, sulla mano destra troneggiava un teschio senza mascella con le orbite profonde. Non poté evitare di deglutire. Strinse i denti e cercò di manifestarsi sicuro di sé.
“Lavoro per L’Indipendente.”
“E che cos’è?”
“Un giornale indipendente di Catania.”
“Ah, un giornalista." Sembrò calmarsi. "Sei giovane, quanti anni hai?”
Giancarlo esitò un secondo a rispondere. “Ventuno…”
“E chi ci cummina cà un picciriddu comu a tia?” (E cosa ci fa qua un piccoletto come te?)
“Sto raccogliendo informazioni sull’arresto di un certo Fabrizio Siriani… se non sbaglio è grazie a lui se si trova qui.”
Il detenuto lo guardò circospetto. “E che cosa vorresti sapere?”
“Lei è ancora affiliato al clan Lo Iacovo?”
L’uomo sorrise, infido. “Hai fatto i compiti a casa, a quanto vedo.”
Si distese appoggiandosi al muro poco distante alle sue spalle e allungò le gambe di traverso sotto il piccolo tavolo, incrociando le braccia sul petto.
“Si può dire di sì, ma a regola avrebbero dovuto tirarmi fuori da qui già da un pezzo… se la stanno prendendo comoda.”
Giancarlo lo osservò cercando di riordinare i pensieri, non doveva dimenticarsi perché si trovava lì.
“E che mi dice del signor Siriani?”
L’espressione del detenuto si affilò. “Quel pezzente? Era un poveraccio arricchito. Finché la presenza del clan all’interno del suo ristorante da quattro soldi gli conveniva, andava bene, quando poi non gli conveniva più è diventato una spia.”
“Una spia?”
“Sì… un chiacchiarone… una spia…”
“Ed è per questo che poi lo avete fatto fuori?”
A questa domanda l’uomo si sporse nuovamente sul tavolo, tanto da far fare un balzo all’indietro al povero Giancarlo.
“Mi dici come avremmo potuto ucciderlo se lo avevano messo in un’altra zona lontana da noi e né io né i miei compari potevamo uscire dalla nostra cella? I compiti per casa che hai fatto non erano accurati, giornalista!”
Giancarlo rimase in silenzio guardandolo fisso negli occhi. Quell’uomo faceva paura.
“E allora, chi…”
L’uomo sorrise, nuovamente con fare sgradevole. “Fossi in te cercherei di scoprire chi è stato ad ammanettarlo, piuttosto… in giro ci sono troppi voltafaccia in questo paese…”
Uno schiocco secco e ad alto volume interruppe il loro dialogo. La porta dalla quale l’uomo era entrato si spalancò e la guardia che era rimasta fuori ad attendere fece il suo ingresso.
“Il tempo è finito. Andiamo.”
L’uomo si alzò in piedi senza staccare lo sguardo da Giancarlo, che si sentì di colpo mancare. Neanche con la presenza poco distante della guardia armata si sentiva al sicuro. L’uomo continuò a fissarlo finché non venne scortato fuori dall’aula e quella stessa porta non venne richiusa alle sue spalle. Solo allora Giancarlo riprese a respirare… come se avesse trattenuto il respiro per tutto il tempo o si fosse appena ripreso da uno spavento.
*
Aveva letto mille volte la pagina che aveva strappato dal fascicolo di Selvaggia, ma non era arrivato a niente. Il nome del carabiniere che fisicamente aveva ammanettato suo padre non era riportato da nessuna parte. Eppure l'uomo incontrato in carcere gli aveva fatto capire chiaramente che l’uomo che doveva cercare era proprio tra i militari che effettuarono la retata! Sbuffò di disappunto, avrebbe dovuto consultare un’altra volta l’intero fascicolo. Ma come avrebbe fatto senza che Selvaggia se ne accorgesse? La prima volta era stato un caso…
Si alzò dal letto e nascose il foglio ripiegato dentro a un libro sulla sua scrivania, indossò il giacchetto e si avviò alla porta d'ingresso.
"Mamma sto uscendo!"
Senza attendere una risposta si chiuse la porta d'ingresso alle spalle e uscì per strada.
Per tutto il tragitto non riuscì a smettere di pensare all’incontro avuto nel carcere. Come giornalista aveva l’abitudine di fare ricerche sul campo parlando coi detenuti, ma quella volta era personalmente coinvolto e, nonostante non fosse mai stato un problema per lui interrogare detenuti, fu diverso. Quell’uomo aveva proprio la faccia da mafioso… chissà di quali crimini si era macchiato e che tipo di livello gerarchico aveva all’interno del clan.
***
Selvaggia e Manuela avevano deciso di passare il pomeriggio insieme a pulire casa, dato che per lo più erano loro che ne usufruivano, e ne approfittarono per parlare e confidarsi. Selvaggia le parlò di come si era sentita venendo a sapere che Michele Giordano fosse veramente suo padre e che non era più convinta di voler continuare a studiare.
Non era più convinta di niente.
Manuela aveva ascoltato la sua storia senza dare nessun giudizio, con comprensione e gentilezza.
“E hai pensato a cosa vuoi fare se non vuoi continuare a studiare?”
Selvaggia restò con il panno della polvere sospeso in aria e la guardò a bocca aperta:
“In che senso?”
Manuela posò la scopa e la paletta e si mise a sedere sul divano. “Beh… tuo padre è d’accordo sul fatto che hai deciso di smettere di studiare?”
Selvaggia non si era mai posta il problema di renderlo partecipe di questa scelta, non ne vedeva il motivo.
“Non lo sa… ma non sono affari suoi.”
“Perdonami, ma… finora è stato lui a mantenerti, no?”
Selvaggia sembrò cadere da una nuvola. “Sì… mi versa ogni settimana i soldi nella prepagata.”
“E continuerà a farlo quando scoprirà che hai smesso di studiare?”
Cavolo, non ci aveva proprio pensato. Smise di spolverare e rimase in silenzio, considerando quella situazione. In effetti avrebbe dovuto pensarci. Anche se non aveva intenzione di dirglielo prima o poi sarebbe venuto a saperlo da solo. E se dopo avrebbe deciso di non versarle più alcun sostegno economico?
“Non lo so. Forse dovrei cominciare a cercare un lavoro.”
“Se vuoi posso mettere una buona parola per te al pub dove lavoro io.”
“Dici sul serio?”
Manuela annuì vigorosamente. “Stanno giusto cercando una cameriera per il turno serale.”
A Selvaggia piacque l'idea, avrebbe potuto lavorare a stretto contatto con la sua amica e conoscere gente nuova. Ma l'entusiasmo durò brevi istanti.
“Sì, mi piacerebbe, ma io non ho mai fatto la cameriera, non so assolutamente come si fa.”
“Oh, non preoccuparti,” Manuela fece con un gesto vago con la mano. “Se decidi di fare il colloquio dirò di metterti insieme a me e ti insegnerò io. Tanto durante la settimana non c’è mai troppa gente, impareresti in un batter d’occhio.”
Selvaggia sorrise. Il citofono suonò all’improvviso e corse ad aprire.
“Chi è?” Chiese Manuela.
“È Giancarlo, sta salendo.” Sorrise di nuovo.
“Mi piacete molto voi due, insieme, sembrate andare molto d’accordo.”
“Sì… grazie.”
Manuela le si accostò all'orecchio con fare confidenziale. “Hai lasciato perdere il tuo intento di rincorrere quei mafiosi, vero?”
Selvaggia avvampò. “Beh… diciamo di sì. Non ho intenzione di tirare ancora la corda con lui.”
La porta si spalancò e Giancarlo entrò in casa continuando a bussare contro la porta aperta.
“Permesso.” Selvaggia e Manuela lo fissarono imbambolate. “Cosa sta succedendo?”
Selvaggia chiuse la bocca di scatto. “Niente, stavamo pulendo…”
Giancarlo sorrise divertito, scosse la testa e le si avvicinò per darle un bacio sulle labbra. Lei gli rivolse un sorrisetto compiaciuto.
“Indovina cosa mi ha appena proposto Manuela!”
Aveva l'entusiasmo di una bambina a cui era appena stato rivelato un segreto. Giancarlo alzò le sopracciglia, preso in contropiede.
“Cosa?”
“Metterà una buona parola per farmi assumere alla birreria dove lavora.”
Saltellò dall'emozione e Giancarlo sembrò ancora più sorpreso. “Hai deciso di lavorare?”
“Sì, dato che voglio smettere di studiare tanto vale che usi il mio tempo in modo proficuo. No?”
“Sì, mi sembra una buona idea.”
Senza troppo entusiasmo si sedette sul divano, a suo agio come a casa propria, afferrò il telecomando e accese la televisione.
Le due ragazze si guardarono stupite, era un comportamento davvero molto strano da parte sua.
“Secondo te faccio bene a smettere di studiare?”
Selvaggia voleva un’opinione da parte sua e questo atteggiamento la ferì un po’.
Giancarlo si strinse nelle spalle. “Se non vuoi più diventare avvocato fai bene.”
Le due si scambiarono un’altra occhiata perplessa. Selvaggia avrebbe scommesso che avrebbe cercato di farle cambiare idea, convinto com'è che l’istruzione è la cosa più importante, non si sarebbe mai aspettata un atteggiamento simile.
Spazio autrice:
Oggi ho seriamente rischiato di non poter pubblicare, sono su un traghetto, per passare le feste in Sicilia, e solo adesso ho trovato il tempo per aggiornare.
Sono riuscita a farlo in tempo! 😊
Per questo, vi invito a cliccare sulla stellina qua sotto, qualora il capitolo vi fosse piaciuto. Mi raccomando, è molto importante per rendere in evidenza la storia e aiutarla a raggiungere quante più persone... Di solito non amo fare questi discorsi, ma mi è stato fatto notare che molto spesso certi lettori non conoscono l'importanza della stellina, e non ci cliccano... Mi raccomando, CLICCATE!!!
Ne approfitto per pubblicizzare una bellissima storia che sto leggendo in questo momento e che mi sta facendo impazzire. "Come il diavolo e l'acqua santa" di Lily_SC. Ha vinto il premio wattys 2019 e devo dire che è meritatissimo! Se amate le storie d'amore dolci ma realistiche e toste la adorerete.
Un bacio a tutti e al prossimo capitolo! Kiss!!
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