Capitolo Cinquantanove
Il mattino dopo, Giancarlo si svegliò con il cellulare posato sul petto e le coperte ancora abbassate all'altezza della vita, esattamente come si era addormentato la sera prima. Si stropicciò il viso con una mano, mentre con l'altra afferrò il cellulare per evitare che gli cadesse di dosso. Aveva dimenticato l'abat-jour accesa, la spense e la sveglia iniziò subito a suonare, facendogli fare un salto dallo spavento. Spense anche quella con un colpo maldestro, che per poco non la fece cadere dal comodino. Sentiva un po' di freddo, in pratica aveva dormito scoperto. Si massaggiò un occhio per aiutarsi ad aprirlo e accese il cellulare mettendosi a sedere sul letto. Lo trovò aperto sulla foto di Selvaggia, quella che stava contemplando la sera prima. Solo in quel momento gli tornò alla mente il pensiero che potessero rifarsela su di lei per quello che aveva scritto. Pregò silenziosamente che così non fosse, altrimenti non sapeva cosa avrebbe fatto.
Fece colazione sotto gli occhi di sua madre, che gli ripeté le solite raccomandazioni. Uscì di casa promettendole di salutarle Selvaggia, ma appena uscì in strada trovò una bella sorpresa. Selvaggia era seduta su un motorino parcheggiato lì davanti ad aspettarlo. Indossava un paio di pantaloni aderenti e una giacchetta di jeans che seguiva le sue forme, mettendole in risalto e facendola apparire ancora più bella, o forse era perché ultimamente si erano visti poco a farla sembrare più bella ai suoi occhi?
Era sovrappensiero a guardare il cruscotto del motorino dove era seduta, i capelli rossi e riccioluti le coprivano il volto, sembrava in posa per una rivista di moda. Si avvicinò per salutarla ma, ancor prima di farle notare la sua presenza, lei alzò uno sguardo adirato su di lui. Quegli splendidi occhi verdi lo trapassarono da parte a parte.
"Posso sapere cosa diavolo hai in mente di fare?"
Giancarlo si sentì perduto, se gli faceva quella domanda aveva sicuramente letto il suo articolo. Ma, come un ragazzino intento a nascondere le marachelle alla madre, si comportò come se cascasse dalle nuvole.
"Perché, a cosa ti riferisci?"
Selvaggia si alzò dal motorino ancora più innervosita da questa risposta.
"Non fare il furbo, sai a cosa mi sto riferendo."
Giancarlo non ebbe il coraggio di continuare con quella sceneggiata, ma al tempo stesso non voleva mantenere con lei una discussione del genere per strada.
"Che ne dici di parlarne mentre ci dirigiamo all'Università?"
Selvaggia lo gratificò di un'occhiataccia e si incamminò lungo la strada, precedendolo. Lui fece una corsetta e l'affiancò. Camminarono in silenzio per tutto il tempo, Selvaggia era palesemente arrabbiata e non faceva niente per nasconderlo, camminando veloce senza mai degnarlo di uno sguardo. Giancarlo si sentì in colpa perché in effetti non aveva tutti i torti.
"Senti, mi dispiace se-"
"Per cosa," lo interruppe, "per aver cominciato a fare ricerche sulle stesse persone contro le quali mi hai messo in guardia?"
"Selvaggia, calmati-"
"Calmati un corno!" Saltò lei, cercando di non alzare troppo la voce. "Come sarebbe, per me è gente pericolosa ma per te no?"
"Non è la stessa cosa..."
"Oh, certo che lo è!" Si fermò di colpo. "Perché non dovrebbe? Anzi, io in confronto a te non ho fatto niente, non li ho sputtanati facendo nomi scomodi."
"Ma quando lo hai letto, scusa?"
Selvaggia non rispose e riprese a camminare spedita verso l'Università. Giancarlo faticò un po' a camminarle accanto ma non ebbe il coraggio di rifarle la domanda. Eppure non capiva come avesse avuto la possibilità di leggerlo, dato che sapeva attraverso Manuela che non aveva comprato nemmeno una copia del giornale la settimana scorsa e che ne fu venduta ogni copia. Si sentiva in errore, ma anche se gli dispiaceva che Selvaggia fosse arrabbiata, era troppo vicino a scoprire chi fosse l'assassino di suo padre per abbandonare tutto. E poi il suo nuovo articolo dove aveva scritto la rosa dei probabili colpevoli era uscito proprio quella mattina con il nuovo numero de L'Indipendente, ormai era troppo tardi per tornare indietro.
Arrivarono all'Università e finalmente Selvaggia si fermò. "Bene... io ti lascio qui. Ma sappi che quello che hai fatto è molto grave, più di quanto tu riesca a rendertene conto."
"Selvaggia, non devi preoccuparti-"
"Sì, invece!" Lo interruppe di nuovo. "Non puoi avere due pesi e due misure, quella gente è pericolosa sia per te che per me, allo stesso modo!"
"Sì, ma io so meglio di te come si comportano-"
"No, stammi bene a sentire," Lo fulminò con lo sguardo, incapace di trattenere la rabbia. "Sono sempre più del parere che tu non ti renda conto della gravità della situazione." Gli si avvicinò ancora di più. "Le minacce che hanno fatto non sono minacce a vuoto. Se non stai attento potrebbero passare ai fatti e potresti non andarci di mezzo solo tu."
Questa volta Giancarlo non seppe come ribattere... Selvaggia aveva ragione. Ma come faceva a sapere delle minacce? Adesso era ancora più difficile dirle che giusto quella mattina un nuovo articolo era appena uscito a suo nome.
"Lo so." Abbassò lo sguardo.
"Promettimi che non farai più niente contro quella gente." Sospirò, ammorbidì lo sguardo e gli accarezzò una guancia. "Anche se riuscissi a sapere chi è stato a uccidere tuo padre, nessuno te lo riporterà indietro."
"Hai ragione."
Le afferrò la mano, mortificato. Annegò nel verde dei suoi occhi e si avvicinò per baciarla ma una voce ormai nota chiamò Selvaggia da lontano, distraendolo. Selvaggia roteò gli occhi, sospirando esasperata.
Quella ragazza dai capelli neri stava correndo loro incontro, e anche lui ebbe la stessa reazione di Selvaggia.
Ludovica, ormai a pochi metri di distanza, ignorò la loro reazione e si fermò con un sorriso antipatico.
"Ciao ragazzi, finalmente vi rivedo insieme. Che si dice?"
Selvaggia sbuffò. "Cose personali."
"Hai deciso di tornare a studiare?" Ludovica la fissò incuriosita.
"No, non ho deciso di tornare a studiare."
"Oh, che peccato, Paola e Daniela non fanno altro che sperare di rivederti a mangiare alla mensa con loro."
Giancarlo capì la reazione di Selvaggia, quella ragazza gli strappava la stessa reazione.
"Sì, di' loro che mi farò viva io, per adesso sono molto impegnata. Di' a Paola che la chiamerò al cellulare."
"Ok."
Ludovica non diede segno di volersene andare. Rimase lì, a fissarli con un sorrisetto isterico, suscitando vera e propria stizza. Stanca della sua presenza, Selvaggia salutò Giancarlo con un bacio veloce sulle labbra, lanciandogli un'occhiata significativa per ricordargli quello che gli aveva detto, e si allontanò, lasciando Giancarlo da solo con quella ragazzina impicciona.
Ludovica spostò il suo sguardo verso di lui, quel sorrisetto finto stava per fargli venire l'orticaria.
"Ti vedremo, oggi, al corso di psicologia?"
"Non so... ho altri corsi a cui voglio assistere."
"Tipo?"
Giancarlo tergiversò per non rispondere, guardò l'orologio.
"Devo andare, ci vediamo... ciao."
Si allontanò sbrigativo, facendo finta di non ricordarsi nemmeno il suo nome. Sperava che così capisse che non era la benvenuta.
Seguì una lezione di giurisprudenza, aveva l'intenzione di chiedere alla professoressa di turno cosa prevedeva la legge per chi la trasgrediva pur essendo un esponente delle forze dell'ordine. Sapeva che la pena sarebbe stata più severa per loro in confronto a un semplice cittadino. Ma, invece di ascoltare la lezione, non riuscì a fare altro che pensare a Selvaggia... Avrebbe dovuto essere accanto a lui in quell'aula invece di lavorare in un pub alla sera e restare a casa a preoccuparsi per quello che stava facendo lui.
Per l'ora successiva, ossessionato dai propri sensi di colpa, decise di tornare a casa.
Arrivò di fronte al suo portone sconsolato e nervoso, non aveva voglia di salire e stare da solo in camera, in redazione non avrebbe avuto niente da fare e non voleva sentire Selvaggia recriminarlo per quello che aveva fatto. A quell'ora il nuovo numero de L'Indipendente era sicuramente uscito, e lei aveva sicuramente letto il suo nuovo articolo.
Si guardò attorno lungo la strada trafficata e piena di persone che gli passavano vicino e che sembravano non vederlo nemmeno, finché il suo sguardo non si posò sulla saracinesca del garage che conteneva la sua moto.
L'ultima volta che l'aveva presa era quando aveva fatto quella gita con Selvaggia fino all'isola Magnisi. Un bel viaggio fino alla provincia di Siracusa solo per poi tornare indietro, ma il ricordo di quello che ne era seguito gli strappò un sorriso. Forse un'altra piccola gita solitaria con la sua moto poteva regalargli un po' di serenità, o almeno poteva schiarirgli la mente.
Tirò su la suddetta saracinesca in un sol colpo, producendo un terribile sferragliare che lo stordì per qualche secondo. Entrò e scoprì la sua moto dal telo, osservandola con un misto di fierezza e orgoglio. Aveva lavorato sodo per potersela permettere e la teneva come una sorta di reliquia.
Si voltò per prendere la giacca da motociclista all'interno di un armadietto sul muro in fondo, ma una voce femminile ormai familiare lo raggiunse, facendolo sospirare di frustrazione.
"Che bella moto!"
Si voltò di scatto. Ludovica spiccò alla luce che entrava dalla strada, ferma sotto la saracinesca.
"Tu che ci fai, qui?"
"Oh, ti ho visto andare via dall'università e volevo vedere dove andavi. Ti dispiace?"
Altroché se gli dispiaceva! Si voltò di nuovo per prendere la giacca da motociclista, ma Ludovica non demorse.
"Posso entrare?"
"Veramente stavo andando via."
Lei lo ignorò e fece due passi dentro il garage, guardandosi attorno.
"È davvero una bella moto, lo sai? Da quanto tempo ce l'hai? Non te l'ho mai vista!"
Ma che cosa voleva da lui?
"Senti, non vorrei essere maleducato, ma se me ne sto andando non puoi stare qui da sola."
Lei sembrava non sentirlo nemmeno e si avvicinò alla moto accarezzando il serbatoio della benzina con un dito.
"Perché non mi porti a fare un giro? Non sono mai salita su una moto come questa."
"Senti, mi dispiace, ma-"
"Pensavo che dopo quelle foto che ti mandai avresti finalmente capito che tipo di persona è Selvaggia... invece stai ancora con lei."
"Cosa?"
Giancarlo sbatté le palpebre, scioccato da quelle parole.
"Ci ho messo molto per poterla fotografare con un altro, e quando finalmente riesco a beccarla e ti mando le foto, tu non fai niente!"
Giancarlo finalmente realizzò quello che stava dicendo. Ecco chi era stato a mandargli quelle foto di Selvaggia!
"Sei stata tu a mandarmi quelle foto?"
All'improvviso una nuova voce, questa volta maschile, si intromise nella discussione. Una voce sconosciuta, attutita, che lo chiamò per cognome. Guardò verso la saracinesca del garage, nella direzione da cui proveniva. Una moto da strada era ferma sul marciapiede, direttamente davanti alla saracinesca aperta, con due uomini in sella con addosso un casco integrale ciascuno.
Impietrito, li fissò senza capire, ma appena vide le due pistole che entrambi impugnavano, e che erano rivolte verso di lui, capì tutto alla perfezione.
Guardò per un attimo Ludovica, anch'essa rivolta verso questi due individui senza capire, e il suo ultimo pensiero andò a sua madre e a Selvaggia...
Rivisse brevemente gli ultimi istanti della sua vita con lei, rivedendo per l'ultima volta quegli occhi verdi e meravigliosi. Ormai non c'erano più speranze per lui, aveva già capito tutto.
Rimase a fissarli inebetito per quello che sembrò un'eternità, finché uno dei due non aprì bocca.
"Hai messo troppo il naso in cose che non ti riguardano, figlio del ristoratore! Ti era stato detto di calmarti, ma tu non hai obbedito."
Forse era stato quello davanti a parlare, o forse no, ma lo credette dal momento che fu lui il primo a sparare. Gli spari sembravano dei fischi arrivare da un punto lontanissimo, una pioggia di fischi continua e fastidiosa. Si era aspettato una continua esplosione di colpi. Dovevano avere il silenziatore per non attrarre l'attenzione della via... ne rimase deluso.
Una miriade di schizzi di sangue scaturì dal suo petto, macchiando di rosso tutto attorno a lui... la sella, l'armadio, il muro...
Ludovica, incapace di reagire, venne raggiunta anch'essa da alcune pallottole, alimentando le macchie di sangue che sporcarono la moto di Giancarlo, così come il muro alla sua destra a pochi centimetri da lei.
Entrambi i corpi caddero al suolo, inermi. I due sulla moto si allontanarono come niente fosse, lasciandoli lì, privi di vita, come se il mondo si fosse scordato di loro.
Chissà quanto tempo sarebbero rimasti dentro a quel piccolo garage prima che qualche passante si sarebbe accorto di loro.
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Spero che adesso non mi odierete, ma era inevitabile una fine del genere per lui. Il grande amore di Selvaggia se n'è andato, e adesso? Potrebbe essersi anche spento quel sorriso che amava tanto.
Ma tranquille che la storia non è affatto finita...
Un bacio!
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