Capitolo Cinquantacinque

Selvaggia chiuse la porta del suo appartamento dietro di sé con un forte tonfo, e questo sembrò risvegliarla dal suo stato di trance… non si ricordava di aver fatto la strada fino a lì, di aver camminato da sola per la città fino a casa sua. Si guardò un attimo intorno, spaesata, e si incamminò verso la sua stanza.

Perché Giancarlo non le aveva parlato di Ludovica? E perché il buttafuori di quel boss mafioso era fuori dalla facoltà ad attenderla? Come faceva a sapere che l’avrebbe trovata lì?

Chiuse gli occhi e sbuffò, troppe domande e nessuna risposta.

Aprì la porta di camera sua vi trovò Manuela in reggiseno, che si stava vestendo.

“Ehilà, rossa!” Le sorrise con la sua solita effervescenza, ma appena si avvide dell’aria stralunata dell’amica divenne subito seria. “Ehi, cos’è successo?”

Selvaggia stette per rispondere, ormai aveva capito che con lei poteva parlare di tutto, ma non seppe da dove cominciare e sbuffò. Si sedette sul letto sospirando frustrata.

Manuela la osservò preoccupata, finì di vestirsi velocemente per sedersi accanto a lei e cercare di consolarla, o comunque di capire che problema avesse.

“Dai, racconta, sono qui apposta!”

Selvaggia la guardò un attimo negli occhi, sorridenti ed espressivi come sempre, e iniziò il suo racconto rovesciandole addosso un fiume di parole ininterrotte:

“Sai, ieri sono andata a scovare quelle persone contro cui mio padre mi metteva in guardia, anche se avevo promesso a Giancarlo che non lo avrei fatto… non è stata una bellissima esperienza, come era logico immaginarsi, ma ho capito alcune cose del mio passato…”

Manuela la guardò sconcertata senza interromperla nemmeno una volta, e Selvaggia le raccontò tutto quello che aveva scoperto da quando aveva lasciato la casa di suo padre fino a che quel boss che l’aveva accolta nel proprio studio e le aveva mostrato il medaglione uguale al suo, quello appartenuto a sua madre.

Alla fine del suo racconto, Manuela sbatté le palpebre, sconcertata. “Wow! Sono senza parole. E cosa hai intenzione di fare, adesso?”

“Non lo so… Giancarlo mi ha fatto ripromettere che non sarei tornata in quella villa, ma…”

Manuela non attese la sua risposta e le prese le sue mani nelle proprie. “Giancarlo ha ragione, quegli sono degli assassini, Selvaggia! Sono come cani senza padrone, non sai come potrebbero reagire su certe questioni.”

Selvaggia alzò gli occhi su di lei, confusi e spaventati. “Ma conoscevano mia madre… Il medaglione che aveva era—”

“Selvaggia, non devi convincere me.” La interruppe la bionda. “Io capisco che tu voglia sapere chi fosse tua madre e che fine ha fatto, e anche perché ti ha abbandonata nella ruota quando eri ancora in fasce, ma metti a rischio la tua vita per scoprirlo! Se tua madre fosse una persona che loro non vedevano di buon occhio, perché magari ha fatto loro qualche torto, potrebbero rivalersi su di te.”

Selvaggia la osservò assorta, pensando alle sue parole. “E se invece fossi quella che riesce a smascherarli?”

Le due ragazze si osservarono negli occhi per diversi istanti, Manuela provò a farle cambiare idea, di nuovo.

“Può anche essere… ma di solito la mafia è conosciuta per le vendette trasversali. A tuo padre non ci pensi? Anche se avete litigato non smetterà di essere tuo padre. E a Giancarlo?”

L’espressione di Selvaggia divenne preoccupata. Abbassò lo sguardo e si fissò le mani. Forse Manuela era riuscita a toccare il tasto giusto per farle capire la gravità delle sue decisioni.

Selvaggia si costrinse a sorridere e alzò lo sguardo su di lei; Manuela aveva ragione in fondo: mettersi contro un gruppo di criminali non era affatto una buona idea.

“E per quel che riguarda la mia amica Ludovica e Giancarlo cosa ne pensi?”

Manuela sbuffò divertita. “Secondo me Giancarlo ha ritenuto questa cosa talmente stupida che con tutto quello che è successo se n’è dimenticato.”

Selvaggia la guardò con un sorriso incerto. “Dici?”

“Senza alcun dubbio!” Ridacchiò. “Lo vedo da come ti guarda che è totalmente preso da te. Neanche se gli passasse davanti Naomi Campbell la noterebbe. E poi secondo me la tua amica è un po’ fuori di testa.”

Selvaggia sbuffò. “Mi sa che hai ragione…”

***

Manuela se n'era andata all'università e Selvaggia restò seduta sul letto riflettendo sulla sua vita per un bel pezzo, cercando di digerire la situazione in cui si era trovata. Era dura lasciar perdere come le aveva detto Manuela, perché la voglia di conoscere sua madre, di sapere chi fosse e tutto il resto, era molto forte.

Si alzò di scatto e andò ad aprire il cassetto della sua scrivania, dove aveva lasciato il fascicolo che aveva rubato a suo padre. Lo prese in mano e ne osservò la prima pagina, dove riportava la scritta Caso Siriani e la data. Rimase a osservare quella scritta per diversi minuti, incapace di staccare gli occhi da quel foglio, mentre con la testa era da tutt’altra parte. Era veramente combattuta sul da farsi, sentiva che sua madre era da qualche parte, ignara che lei si fosse ricongiunta con il suo padre biologico, ma la voglia di conoscerla era qualcosa di necessario, di intimo, come se ne andasse della sua sanità mentale.
Eppure la paura che potesse succedere qualcosa a suo padre, o peggio ancora a Giancarlo, la rendeva timorosa.

Sospirò e lo abbandonò sulla scrivania, davanti al carillon che le aveva regalato Sebastiano. Lo accarezzò per un secondo e uscì frettolosamente dalla stanza, come se se ne volesse allontanare. Era meglio non pensarci più. Mandò un messaggio a Giancarlo per avvertirlo di venire a casa sua per pranzo e si mise ai fornelli.

*

“Le tue amiche mi hanno chiesto di te, oggi.” La informò Giancarlo appena entrò in casa.

Selvaggia stava finendo di apparecchiare la tavola per entrambi e a quelle parole si voltò confusa.

“Cosa?”

“Sì… quella ragazzina coi capelli corti mi si è avvicinata per chiedermi di te, e subito le altre due si sono accodate ripetendo che è tanto che non ti vedono e non rispondi più alle loro chiamate.”

“E quando mi avrebbero chiamata?” Lui fece spallucce e lei ne approfittò: “A proposito, perché non mi hai detto che Ludovica era venuta a casa tua?”

Giancarlo la guardò spaesato, finché il suo viso si illuminò: “Ah, sì. Ma è già da un po’ che è successo. Me la sono ritrovata sotto casa più o meno nel periodo in cui hai ritrovato il tuo amico Matteo. Era ferma lì davanti al portone e subito ha iniziato a fare la smorfiosa, ammiccava in modo esagerato e poi mi ha chiesto se poteva usare il mio bagno, così l’ho invitata a salire.”

Selvaggia era davvero schifata. “Che baldracca!” soffiò nauseata.

Ormai da lei non si sorprendeva più di niente, aveva finto di aver avuto qualcosa con Giancarlo solo per farla indispettire, come i bambini piccoli.

Giancarlo restò in silenzio ma avrebbe voluto ripetere la stessa cosa. Si mise seduto a tavola e Selvaggia servì ciò che aveva cucinato. Si sedette accanto a lui in silenzio, ma a Giancarlo quel silenzio non piaceva. La vide pensierosa, prese un boccone di pasta e lo masticò.

"Stai migliorando sempre più a cucinare. Brava!"

Lei gli sorrise. "Grazie..."

"Hai mai provato a fare qualcosa di diverso dalla pasta?"

Lei lo fissò a bocca aperta e Giancarlo scoppiò a riderle in faccia. In realtà cercava di distrarla, non voleva dirle che all’università aveva parlato anche con Manuela, e che gli aveva riportato quello di cui avevano parlato insieme prima che uscisse di casa. Non volle farle vedere di essere preoccupato e sperava che, non tornando sull’argomento, Selvaggia si dimenticasse di quelle persone.

Alla fine del pasto, quando Selvaggia si alzò per lavare i piatti, Giancarlo osservò le sue spalle mentre si bagnava le mani e insaponava i piatti e lo sguardo gli scese lentamente verso il suo fondo schiena, che si muoveva a ritmo con i suoi movimenti in una danza ipnotica per i suoi occhi. Senza nemmeno rendersene conto si alzò dalla sedia e la raggiunse, appoggiandosi a lei, aderendole con il suo corpo e abbracciandola da dietro.

“Te l’ho detto che non devo lavorare e nemmeno tornare all’università questo pomeriggio?” Le sussurrò, avvicinando la bocca al suo orecchio mentre con il naso si apriva un varco tra quei riccioli rossi e profumati.

Selvaggia avvertì un brivido percorrerle la spina dorsale e sentì in modo chiaro la passione di lui presentarsi nella fessura dei suoi glutei. Di colpo smise di lavare i piatti e tolse le mani dall’acqua insaponata, chiudendo gli occhi come in estasi, mentre Giancarlo iniziò ad accarezzarle i fianchi fino ad arrivare ai suoi seni. Una volta lì prese a tastarglieli con audacia, stuzzicandoli in modo che i suoi capezzoli diventassero duri e sporgenti.

Sentiva quei due bottoni sui palmi delle mani attraverso i vestiti, stava per impazzire. Selvaggia si voltò verso di lui con le mani grondanti di acqua e sapone, le appoggiò ai lati del suo viso e prese a baciarlo focosamente. Giancarlo ignorò l'acqua che le colava dalle mani e gli bagnava la maglietta, l'afferrò per i fianchi e la spinse verso la sua camera da letto, continuando a toccarla e a stuzzicarla. Al diavolo i piatti e tutto il resto!

Si buttarono sul piccolo letto di Selvaggia, che protestò sonoramente, ma lo ignorarono e iniziarono a spogliarsi come se fosse stata l’ultima volta che ne avevano la possibilità.

Selvaggia sentì le mani di Giancarlo sganciarle il reggiseno con maestria, come se fosse un gesto che compiva quotidianamente, per poi afferrarle i seni con entrambe le mani in un gesto di possesso. Tornò a baciarla e finirono di spogliarsi e contemporaneamente infilarsi sotto a quelle lenzuola.

Si amarono come ormai avevano già fatto altre volte, ma le sensazioni provate erano sempre nuove, come ogni volta.

*

Quando ridiscesero sulla terra, Selvaggia rimase avvinghiata a lui per godersi le sue carezze, pensando che, forse, quello che provava per lui era veramente amore. La prima volta che aveva avuto l’istinto di dirglielo si era sentita esattamente così, come in quel momento, estremamente appagata e felice, come se non avesse bisogno di altro nella vita e che avrebbe potuto stare tra le sue braccia in eterno.

Qualcosa le impedì di farlo allora, ma adesso poteva essere il momento giusto. Forse era la paura che lui non ricambiasse a frenarla. Alzò lo sguardo sul suo volto rilassato e ne ammirò i lineamenti perfetti, come aveva già fatto molte volte.

Stette quasi per allungare una mano e accarezzare il suo profilo quando la voce di Benedetta li raggiunse dalla cucina:

“Ehi, chi è che ha lasciato questo casino?”

Giancarlo spalancò di colpo gli occhi ed entrambi si guardarono preoccupati. “Forse è meglio che torni in cucina.”

Selvaggia si alzò, si vestì con una maglietta lunga presa dall’armadio e uscì dalla stanza.

Rimasto solo, Giancarlo si stiracchiò come a voler risvegliare i muscoli del suo corpo e si tirò a sedere sul letto. Ancora avvolto dal torpore, si guardò attorno, osservando il letto di Manuela e la scrivania di Selvaggia, rischiarata dalla luce che filtrava dalle finestre. L’occhio gli cadde su un carillon che non aveva mai visto. Era poco più piccolo di una scatola da scarpe, completamente intarsiato nel legno lucido e scuro, davvero molto bello. Si alzò per alzare il coperchio ed ascoltare la melodia che suonava, e subito le note de La danza dei Cigni raggiunsero le sue orecchie, leggera e metallica. La piccola ballerina di plastica girava su se stessa seguendo una traiettoria a forma di otto. Per curiosità volle toglierla dalla sua postazione e le cadde di mano, atterrando su un gruppo di fogli posati sulla scrivania. Nel raccoglierla lesse distrattamente il titolo di quel fascicolo e ne rimase folgorato.

A caratteri grandi, nero su bianco, c’era scritto il suo cognome… o meglio, quello di suo padre: era il fascicolo che Selvaggia aveva rubato.

Con mano tremante lo raccolse e rilesse con attenzione quelle semplici parole e di colpo volle conoscere il nome di quelle persone che furono arrestate insieme a suo padre, sapeva che erano scritte tutte lì dentro… di colpo volle sapere dove si trovavano e sapere cosa successe in quel frangente, in un periodo quando lui, ancora quindicenne, vide suo padre venire trascinato via con la forza da chi avrebbe dovuto proteggerlo e invece gli metteva le manette ai polsi.

Scosse la testa cercando di scacciare dalla mente quelle immagini terribili ma, prima di aprire il fascicolo, guardò la porta per assicurarsi che Selvaggia non stette per tornare; restò un attimo in ascolto e non sentendo alcun rumore aprì il fascicolo, alla febbrile ricerca di quei nomi. Quando li trovò li lesse, come a sincerarsi che fossero davvero quelli, anche se non avrebbe potuto ricordarli in nessun modo. Diede un'altra occhiata veloce alla porta e, dato che non arrivava nessuno, strappò la pagina incriminata, piegandola e nascondendola nei pantaloni abbandonati sul pavimento.

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