7.4 Antica e decaduta stirpe

Mentre Bianca chiudeva la porta, Menta si guardava intorno, rapita dal lusso della stanza. Non si trattava di una semplice camera da letto, come aveva ipotizzato in un primo momento: davanti a lei si apriva un piccolo salotto, simile a uno di quelli delle case borghesi di Nilerusa. Al centro un tavolino di pietra, con uno strano divano intorno, che ne seguiva la geometrica linea circolare. Era presente anche lì un telo a ricoprirne la superficie piana, di un colore che nel semibuio la contadina non riuscì a distinguere, ma che le apparve di un rosso scuro non appena la principessa illuminò la stanza. Menta la guardò muoversi con grazia sui tappeti drappeggiati, mentre riponeva una scatola di fiammiferi sopra un mobiletto di mogano, senza rendersi conto che la luce irradiata dalle candele era di un colore azzurrino, molto diverso da quello che lei era abituata a conoscere.

«Mio fratello non viaggia mai senza queste» spiegò Bianca con un sorriso, accennando alle stravaganti candele. «Gli ricordano casa.»

Menta non disse nulla, attendendo che fosse la nobile a indicarle come comportarsi.

«Prego, sedetevi» le disse la principessa, allargando un braccio candido verso l'insolito divano.

La fanciulla ubbidì e prese posto, mentre l'altra estraeva due bicchieri in vetro dal mobiletto e li posava sul tavolino, affiancandoli a due caraffe piene fino all'orlo di vino speziato. Li riempì e ne porse uno alla sua nuova dama di compagnia, che ne annusò il profumo, esitante.

«Cosa c'è dentro?» chiese Menta.

«Miele d'arancio e cannella» fu la risposta. «Da noi si usa così. L'unico inconveniente è dover commerciare per avere entrambi, ma ne vale la pena.»

Bianca bevve un sorso, inumidendosi le labbra con il liquido scuro, dal retrogusto dolciastro, imitata dalla contadina, che teneva il bicchiere con entrambe le mani nel timore che le cadesse. La principessa glielo prese e lo adagiò sulla tovaglia scura. «Non così. Ma per questo ci sarà tempo.»

«Dovete perdonarmi, non so proprio niente su come...» iniziò a dire la fanciulla defica, in imbarazzo.

«Al contrario» le sorrise la nobile del sud, con un largo sorriso a illuminarle il volto. Si era accorta come la popolana maneggiasse con sapienza le posate durante la cena e aveva intuito che fosse stata proprio Flora Primavera a istruirla. «Credo che voi sappiate molto più di quanto non lasciate intendere.»

Sul volto di Menta si mostrò un incerto sorriso. «Ma... Maestà, io...»

«No, niente titoli» la interruppe Bianca. «Va bene che mi diate del voi, perché anche io sto facendo lo stesso. Ma io non sono regina e, molto probabilmente, non lo sarò mai.»

«Non avete anche voi un matrimonio combinato?» le domandò l'altra, con curiosità. Flora le aveva raccontato che non tutte le principesse avevano già la propria mano promessa a un nobile, ma ora che la contadina aveva l'opportunità di chiedere e di scoprire da sé, non poteva lasciarsela sfuggire.

Lei scosse la testa. «No... qualcuno ha già una sua idea di chi dovrei sposare, e io non sarei neanche in disaccordo, ma non spetta a me fare il primo passo. Anche se so che l'uomo di cui parlo non si permetterebbe mai di domandare la mano di una donna di rango superiore al suo.»

La De Ghiacci non riuscì a trattenere un sospiro. Certo, lui sarebbe stato un ottimo marito, così come era ottimo in tutto ciò in cui si cimentava: aveva il rispetto di molti sovrani e di molti nobili su Selenia, ma non si trattava solo di questo. Lo aveva visto di recente con i propri occhi occuparsi di faccende che non lo riguardavano con grande nobiltà d'animo e ne era stata davvero colpita. Bevve un altro sorso, così come fece la sua nuova dama di compagnia, che ne seguiva con attenzione ogni gesto, provando a imitarla, tenendo il vetro solo con due dita.

«E voi, Menta... ditemi di voi» le sorrise, affabile. «Qualsiasi cosa io debba sapere sul vostro conto. Non posso tenervi qui e trattarvi con la cortesia di un'estranea.»

Lei annuì, e iniziò a raccontare. L'infanzia tra le vie della periferia di Nilerusa, talmente lontana dal centro da confondersi con la campagna. La conoscenza con Claudio, giunto ad abitare nella sua stessa via quando lei era ancora bambina, come fosse diventato il suo migliore amico, le strane circostanze che avevano condotto Flora nelle loro vite, senza stravolgerle, ma dando un nuovo senso a tutto ciò che facevano. La paura di Alcina, da cui i giovani cercavano di tenersi alla larga, la saggezza di Franco, che sapeva che era inutile continuare a nascondersi in eterno...

«Flora aveva paura di cosa sarebbe successo...» mormorò Menta. «... Ha sempre avuto paura che il re e la regina la scoprissero. Adesso, però, con la sua fuga... non può più tornare indietro. Neanche io posso... probabilmente neanche Claudio e Franco, che chissà dove sono ora... è così strano, tutto questo. Sembrava che le cose ormai avessero raggiunto un loro equilibrio, e ora... è come se qualcuno fosse entrato dentro casa mia e con delle spade potenti l'avesse rasa al suolo. Voi cosa ne pensate?»

Bianca sorrise, benevola. Non aveva ritenuto opportuno interrompere la fanciulla, affascinata prima dal suo resoconto, poi dalle sue riflessioni. L'infuso che le aveva propinato di nascosto stava funzionando: Roberto aveva fatto davvero un ottimo acquisto, pochi giorni prima.

«Penso che non esistano spade con un tale potere» le rispose sinceramente, ma l'ingenuità della sua dama di compagnia non ne rimase offesa. Versò altro liquido nei bicchieri, riempiendoli di nuovo.

«Non sono abituata al vino» commentò Menta, con una punta di malinconia nella voce. «Ho sentito che berne troppo fa stare male... non posso permettermelo.»

«Non siete costretta a continuare a bere» asserì la principessa. «Il mio è solo un gesto di cortesia: sta a voi scegliere quando fermarvi.»

La giovane del Defi annuì, spaesata ancora una volta da tanta gentilezza.

«In genere vestite sempre a questa maniera?» le chiese l'altra, all'improvviso. Sapeva di dover porre quella domanda e, per evitare di piombare nel silenzio, ne aveva approfittato in quel momento.

«Il marchese... ha deciso di fermarsi nella bottega di un sarto, quando siamo arrivati qui. Abbiamo preso un vestito già pronto... è stata una fortuna, perché era la base di un tentativo... o qualcosa del genere, non mi ricordo cosa ha detto il sarto» raccontò Menta, a disagio nelle stoffe che la avvolgevano stretta. Non si trattava di un abito vistoso, ma molto semplice, di un indaco sbiadito, che molto probabilmente necessitava di ricami che lo arricchissero; o forse solo di altra stoffa che lo coprisse con maggior arte.

«Immaginavo che il nostro caro marchese si fosse prodigato in tal senso... ma ora me ne occuperò io» le sorrise ancora la nobile. «Domani farò chiamare il miglior sarto di Mitreluvui, così che possa lavorare su questo e prendervi le misure per altri abiti.»

«Vi ringrazio.»

«Non dovete ringraziarmi» mormorò quella dolce voce. «Occuparmi di voi è il minimo che possa fare. E così, poi, occuperemo la giornata di domani, in attesa dei Lupfo-Evoco e del verdetto che emetteranno.»

«Voi siete preoccupata?» le domandò Menta, con schiettezza, senza riuscire a trattenere il dubbio nel suo animo.

«Sì, sono molto preoccupata. Le mosse di Raissa mi spaventano, perché, anche se riesco a interpretarle, non so mai fino a che punto si spingerà, né se le mie analisi sono esatte» sussurrò Bianca, scuotendo la testa, su cui i capelli chiari continuavano a rimanere raccolti, senza sciogliersi, come invece la popolana aveva visto spesso accadere a chi li portava acconciati a quel modo. La principessa sospirò. L'infuso aveva effetto anche su di lei; riteneva che fosse giusto essere partecipe della stessa sincerità della sua ospite, ma sapeva di dover controllare ciò che avrebbe pronunciato: preferiva essere prudente e assicurarsi la sua piena fiducia, prima di rivelarle i più delicati movimenti del suo animo.

La fanciulla di Defi la vide farsi più pensierosa. «Ho detto qualcosa che non va?» le domandò, insicura.

Bianca le sorrise. «No, affatto. Tuttavia io non mi sono comportata in maniera del tutto leale con voi.»

«Come no?» Menta era incredula. Quella nobile le stava offrendo un'occasione per riscattarsi, per ricominciare da zero; aveva accettato di prenderla con sé a occhi chiusi, pur non conoscendo nulla di lei... come poteva non essere stata leale? Che l'avesse attirata lì con l'inganno? Che fosse una spia di Alcina? Che Raissa avesse scoperto il suo ruolo in tutta quella vicenda e l'avesse corrotta per sbarazzarsi di lei?

«No, purtroppo no...» La fanciulla del sud esitò, ma ben presto si decise a mostrare l'inganno. «Quello che avete bevuto non è soltanto del vino speziato. Vi ho immerso un filtro che costringe chiunque lo beva a dire la verità.»

«Cosa?» esclamò la popolana. «Perché?»

«Volevo essere sicura che funzionasse» ammise Bianca. «L'ho bevuto anche io, come hai potuto vedere. E no, non ne possiedo alcun antidoto. Mio fratello si è procurato questo filtro, ma... non oso sapere in quale modo, a meno di non ascoltare le sue eroiche imprese di corteggiatore. E non voglio sapere a quale donna, nobile o meno che sia, abbia tratto le fiale che custodisco nella mia camera.»

«Mi state dicendo... che esiste qualcuno in grado di preparare una pozione magica?» riassunse Menta, ancora più esterrefatta di poco prima.

«Non so dirvi se si tratta o meno di magia, ma... sì» rispose lei. «Devo chiederti di mantenere il segreto.»

La contadina abbassò lo sguardo, inspirando ed espirando profondamente. Quello non era il primo segreto che si ritrovava a custodire, e probabilmente non era neanche il più assurdo. Deglutì, prima di parlare di nuovo.

«Non credo che sia il filtro a spingermi a farlo... ma anche io devo dirvi una cosa. Anzi, due.»

Bianca bevve un sorso dal suo calice vitreo, guardando gli occhi scuri della sua dama di compagnia, suggellando con quello sguardo un'alleata fiducia. «Vi ascolto.»

«La prima riguarda il mio cognome» sussurrò Menta. «Il marchesino non lo sa, ma il nome della mia famiglia è Gredasu. Alcune storie raccontano che siamo vittime di una maledizione, per cui non possiamo avvicinarci alla famiglia che regna nel Defi, a meno di...»

«Di non andare incontro a un destino peggiore della morte» completò Bianca. «L'estinzione del sangue.»

«Conoscete...?» La domanda rimase incompleta per la meraviglia di colei che la formulava.

La principessa del Pecama annuì. «Ho letto la storia, tramandata in alcuni manoscritti. La colpa dei tuoi antenati è grave, ma non ricade su di te. Il tuo proteggere Flora va al di là di qualsiasi cosa possa essere accaduta chissà quanti secoli fa. Per me la maledizione che vi teneva uniti al passato è spezzata.»

Bianca De Ghiacci fece tintinnare il suo bicchiere contro quello di Menta Gredasu, ultima discendente femminile di un'antichissima stirpe, caduta in disgrazia in seguito a un delitto e ad un maleficio del passato e mai più risollevatasi.

La dama di compagnia accennò un sorriso, con gli occhi appena inumiditi di lacrime che tentava con tutta sé stessa di non lasciar uscire. «Non lo sa nessuno, nemmeno Flora... vi prego di non dirlo.»

«Avete la mia parola d'onore» sancì la nobile del sud. «Ma voi prima avete parlato di due segreti.»

Menta annuì, prima di ricominciare a parlare.


***

La sera era calata già da alcune ore, mentre Alcina osservava il quieto zampillare delle fontane, fuori dalle ampie vetrate della sala del trono, che di giorno permettevano una buona illuminazione con qualsiasi umore di cielo.

La notte era limpida e la volta punteggiata di stelle, come la regina osservò con disappunto, tanto diversa dal suo stato interiore. Le era appena giunta una missiva del marchesino Tirfusama, che la informava dell'arrivo a Mitreluvui e dell'inizio delle ambascerie per convincere i nobili presenti ai Lupfo-Evoco a non avere alcuna intenzione di credere alla colpevolezza di Nicola Lotnevi. Stando alle parole del giovane Giampiero, sarebbe stato arduo riuscire nell'impresa, perché più di qualcuno si era dimostrato favorevole a credere all'uccisione di Guglielmo per mano del figlio; ma lei aveva molta fiducia nelle capacità del suo fedele diplomatico.

«Maestà?»

Qualcuno la chiamò alle sue spalle, ma la regina non si voltò. Aveva riconosciuto subito i passi affannati nei corridoi, che rimbombavano nella sua mente per la totale assenza di grazia del soldato. Marco Pomi, il capo delle sue guardie, era appena giunto affannato nella sala del trono, testimoniando con il suo respiro rumoroso una folle corsa sin lì.

«Novità?» domandò lei, grave.

«Abbiamo scoperto che delle strane figure sono salite su un mercantile, nel nostro porto commerciale» rispose quello prontamente. «E nessuno di loro aveva l'aria di essere un marinaio, né un mercante. Uno aveva una spada, a quanto mi è stato riportato, e uno aveva il volto coperto. Non possiamo escludere che sia una donna.»

«Qual è il mercantile?» La voce della sovrana non lasciava trasparire alcun turbamento interiore. Nonostante la delicatezza dell'argomento e l'importanza che aveva la fuga di Flora, dal suo tono Alcina sembrava impassibile.

«Lo chiamano Millenaria, mia signora. Non ne ho mai sentito parlare... Dev'essere una nave che non traffica mai da noi.»

La regina levò gli occhi chiari verso il cielo, incontrando lo sguardo delle stelle. Erano anni che non aveva occasione di mettere piede nel porto mercantile, ma rimembrava l'imponente edificio di pietra che accoglieva i marinai all'arrivo nella sua terra. «C'è una locanda attigua al porto, lì non sapevano nulla?»

«Abbiamo preso e interrogato il proprietario, mia signora. Non è stato facile farci dare informazioni da lui.»

Sul volto della donna si formò un ghigno. Non era stato semplice riuscire a scoprire per quale via si fosse dileguata la figlia, ma conosceva l'attrazione che il Litil suscitava sulla fanciulla. Non riteneva improbabile che avesse scelto di fuggire per mare. «Lo avete torturato?» domandò dunque, certa della risposta affermativa.

«Sì.»

«È ancora vivo?»

«Sì.»

Alcina sospirò, con un sorriso che le spuntava sul volto chiaro, lanciando lo sguardo verso l'orizzonte settentrionale, a quello Cmune tanto lontano eppure tanto vicino in caso di una sua invasione degli Autunno. «Rilascialo e ordinagli di tornare al suo lavoro. La corona apprezza chi collabora alla prosperità del regno.»

«Sarà fatto, mia signora.»

La sovrana Primavera non congedò ancora l'uomo: sapeva molto bene che le ricerche erano state fruttuose e voleva godere lentamente del loro succo. Tuttavia la notte incalzava e il soldato era spossato per il lungo viaggio attraverso per il Defi per giorni interi, senza sosta, per ottemperare all'ordine della sua regina. «Avete ottenuto il nome del capitano della Millenaria?»

«Certo, Maestà. Gredasu. Virgilio Gredasu.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top