7.3 Al Sogno d'argento

La scelta di soggiornare in una taverna nella zona settentrionale di Mitreluvui non era stata casuale: era troppo lontana dall'antico palazzo in cui si sarebbero riuniti i Lupfo-Evoco perché qualcuno dei partecipanti potesse trovarvisi; di conseguenza, le possibilità che qualcuno si accorgesse di Menta, che aveva viaggiato insieme a Giampiero, scendevano considerevolmente.

Avevano lasciato i loro cavalli alla prima stazione di cambio nel sud della capitale, dove dietro compenso il marchesino aveva ottenuto che fossero ricondotti nel Defi, e poi si erano diretti a piedi attraverso le vie della cittadina. Durante la mattinata Giampiero aveva mostrato alla fanciulla straniera i mercati rionali, che avevano attraversato: siti lungo le sette vie principali che tagliavano Mitreluvui in spicchi, si facevano più ricchi mano a mano che si giungeva al centro, verso il palazzo reale. I due giovani erano stati molto attenti ad evitare il centro di potere dello Cmune: se Menta fosse stata avvistata da qualche nobile, la notizia che l'esule marchese viaggiava in compagnia sarebbe giunta in un battito di ciglia alle orecchie di Alcina; ed era l'ultima cosa che entrambi volevano.

Avevano camminato a lungo e oramai i raggi solari si facevano largo tra le vie più ampie, allungando le ombre, e già qualche funzionario del regno stava accendendo i lampioni, quando giunsero al Sogno d'argento, la locanda prescelta da Giampiero. L'insegna all'esterno era dipinta di un blu scuro che richiamava la notte, mentre le lettere erano di un colore molto chiaro, un grigio dalla sfumatura lunare, che invogliava a fermarsi all'interno, anche solo per domandare un bicchiere d'acqua. L'edificio aveva una buona estensione, sia per via dei tre piani che lo componevano, sia per la pianta ampia del pianterreno, come il nobile aveva potuto constatare in precedenti occasioni.

«Sei al sicuro» mormorò alla giovane del Defi, nel tentativo di rassicurarla. La conosceva a malapena, sapeva di lei solo quel poco che aveva visto con i propri occhi, ma il suo istinto gli suggeriva che la contadina di Nilerusa era qualcuno da proteggere. Sentiva che c'era dell'altro, oltre al furore di Alcina che si sarebbe scagliato contro di lei non appena avesse scoperto la verità... ma, a quel punto, Giampiero avrebbe dovuto temere anche per sé stesso: tutto ciò per cui aveva lavorato in quegli anni poteva essere spazzato via da un soffio di vento, se non fosse stato accorto.

«Come potete esserne certo?» gli domandò lei, con un tremolio nella voce. Quando il Tirfusama era giunto di nuovo in casa sua, il mattino precedente, aveva avuto a malapena il tempo di lasciare un messaggio per i genitori, scritto su un piccolo lembo di pergamena, arrotolato e riposto nel vaso del rosmarino.

«Qui non incontreremo nessuno che abbia rapporti con Alcina» bisbigliò lui.

Menta annuì, il volto coperto dal cappuccio scuro che aveva indossato per tutta la giornata. Tra la folla dei mercati e i bambini che giocavano per le strade, era passata inosservata: nessuno aveva dato cenno di averla notata né di essersi accorto del passaggio suo e del marchesino. A quanto pareva, le precauzioni prese dal nobile avevano dato i loro frutti, perciò la fanciulla si sentì più tranquillizzata quando Giampiero, dopo aver pronunciato quelle parole, aprì la porta della locanda e le lasciò spazio sufficiente per consentirle passare.

Varcata la soglia, la accolse il profumo di pietanze a lei sconosciute. Abituata alla frugalità della sua vita contadina, non riconobbe il profumo di carne cotta alla griglia, allo spiedo, ma lei distinse gli odori delle spezie utilizzate, stentando a credere che gli umili salvia e rosmarino, che lei coltivava in piccoli vasi e in modeste quantità, potessero essere utilizzate persino lì, in un luogo che lei percepiva lontano dalla sua casa.

In un secondo momento notò l'arredamento ricco dell'ampio salone in cui aveva messo piede. Alle pareti erano appesi arazzi che raccontavano vicende a lei ignote; ma la fanciulla ne intuì il tenore aulico e solenne che dalle raffigurazioni traspariva. La incuriosì quella di una creatura alata, enorme visto che ricopriva tutta la parte in alto del tessuto. Dalle sue narici usciva del fumo, e dalla bocca fluiva un'immensa chiazza di tonalità calde, a simboleggiare il fuoco. Degli uomini erano rappresentati tutt'intorno, alcuni preda delle fiamme che ardevano vivi, altri, vestiti di una strana armatura, cercavano di ripararsi con degli scudi dalla bestia... La fanciulla scosse appena la testa: quelle immagini erano solo la rappresentazione di un fantasioso cantore, ne era certa.

Dando un'occhiata all'interno della sala, vide le sedie e i tavoli addobbati con stoffe, cosa inusuale nelle altre taverne in cui le era capitato di entrare a Nilerusa, di diverso colore per ogni tavolo; e tra i deschi vi era una considerevole distanza, che a lei sembrava eccessiva.

Giampiero si diresse a un bancone e parlò con una donna esile, dagli occhi gonfi, come di chi avesse pianto. «Eleonora, buonasera» le sorrise, affabile.

La locandiera distolse gli occhi dal salone e li posò in quelli dell'ospite, rivolgendogli un sorriso che cercava di non mostrare forzato. «Marchese, quale onore!» disse, con voce bassa, testimoniando che l'esuberanza non faceva parte del suo carattere.

«Vorrei sapere se c'è posto per me e per la mia compagna di viaggio» le disse. Poi aggiunse, con un soffio di voce: «Nessuno deve sapere che lei è con me, si tratta di una questione delicata.»

Eleonora gli sorrise ancora. «Ma certo, comprendo: non ci saranno problemi. Intanto potete accomodarvi per la cena.»

Il Tirfusama chinò appena il capo come ringraziamento, imitato da Menta, e fece cenno alla fanciulla di seguirlo a uno dei tavoli. Mentre si dirigeva a un angolo abbastanza appartato per non attirare le occhiate dei futuri avventori, notò qualcuno che aveva avuto modo di conoscere nelle sue precedenti missioni diplomatiche.

«Giampiero Tirfusama!» lo chiamò la voce allegra di Roberto De Ghiacci, non appena gli sguardi dei due giovani si incrociarono.

«Roberto De Ghiacci» lo salutò Giampiero, con un inchino appena accennato.

Il principe del regno dei Ghiacci sedeva solo, senza scorta, a un tavolo tuttavia apparecchiato per due. Stiracchiò le spalle larghe, facendo cenno all'ambasciatore e alla sua compagna di prendere posto assieme a lui, sulle sedie imbottite di morbida stoffa e ricamate d'azzurro. Roberto rivolse un sorriso sornione alla fanciulla sconosciuta che sedeva al fianco del marchesino decaduto.

«Hai scelto un tavolo del tutto casuale» constatò Giampiero, bonario, passando un dito sui filamenti azzurri che adornavano la tovaglia. Conosceva bene il principe e, nonostante i viaggi diplomatici che lo portavano a nord, era attratto da tutto ciò che gli ricordava il proprio regno, una porzione di terra che sembrava ritagliata dal regno dell'Inverno. Uno dei pochi luoghi di Selenia in cui al marchesino non era mai capitato di mettere piede, ma che conosceva grazie ai racconti di Roberto: il freddo che sferzava fuori dalle finestre, il tepore all'interno della reggia, la sempiterna neve, le case costruite con ghiaccio... elementi che, se non avesse creduto alle sua buona fede, avrebbe preso per favolistici.

«È il colore della mia famiglia» sottolineò il principe con fierezza, passando una mano tra i capelli chiari.

Menta lo osservò con attenzione, incantata da quegli occhi algidi che creavano un armonioso contrasto con l'affabilità e il sorriso genuino di quel giovane.

«Anche tu qui per i Lupfo-Evoco?» domandò il Tirfusama, con estrema cordialità, mentre l'esile locandiera portava posate e piatti per i due nuovi arrivati.

«Già» annuì il De Ghiacci. «Quando è giunta la convocazione, mio padre ha pensato di mandare me e Bianca... Eravamo nel Copne per un contratto commerciale. Non abbiamo sbocchi sul mare, quindi dobbiamo appoggiarci agli Inverno per far arrivare le merci dal nord e la nuova regina pensava bene di far pagare un'altra tassa ai nostri mercanti... Non ti annoio con i dettagli.»

«Non mi annoi mai» gli sorrise Giampiero, versando da bere nel bicchiere della sua compagna di viaggio e, successivamente, nel suo. «Di certo avrai ammaliato Milena Cordi di Copne. Non vorrai farmi credere di non aver utilizzato il tuo fascino?»

Menta trattenne una risata all'allusione del marchesino: non poteva negare che quel principe fosse dotato di una gran sicurezza di sé, abbinata a una bellezza folgorante dei lineamenti.

«Ci ho provato, ma quando è giunto a corte il suo promesso sposo ho dovuto rinunciare» ammise Roberto con una punta di amarezza. «Ma stava funzionando: avessi avuto un giorno di più, la regina sarebbe caduta ai miei piedi.»

«O tu nel suo talamo» proruppe una dolce voce femminile alle spalle del marchesino e della contadina. Bianca De Ghiacci, avvolta in un abito dalla stoffa leggera e preziosa, una collana di oro bianco attorno al collo, con un semplice zaffiro a impreziosirla ancor più, un velo di seta a coprirle braccia e spalle, i capelli biondi raccolti sulla nuca, era silenziosamente entrata nell'ampio salone ancora deserto e si era avvicinata al tavolo. Molto simile al fratello per il candore della pelle, gli occhi azzurri, dal taglio sottile ed elegante, la bocca rosea dalle labbra carnose, ma del tutto differente nel portamento.

Roberto era seduto come un ubriaco in un'osteria, con le gambe allargate e scomposto sulla sedia, mentre la sorella, pur rimanendo in piedi, manteneva la schiena diritta, come si confaceva a una giovane donna del suo lignaggio.

Giampiero fece un movimento, come per alzarsi in piedi, ma lei con un cenno gli indicò che non era necessario e prese posto di fronte al fratello.

«Marchese, viaggiate in compagnia» sorrise Bianca, rivolgendo un'occhiata complice alla fanciulla. «Questa sì che è una novità!»

«Si tratta di un caso» disse il nobile, sperando che l'argomento cadesse così come era stato notato. Si fidava molto più dei due fratelli De Ghiacci che di tanti altri che avrebbe incontrato in occasione dei Lupfo-Evoco e ciò lo avrebbe spinto, in una differente occasione, a esporre la situazione; ma Menta era arrossita fino ad assumere il colore dei propri capelli, inducendo il marchesino a non aggiungere una parola di più.

«Finalmente hai trovato una donzella nella tua vita?» lo sbeffeggiò Roberto, con un'allegria tanto genuina che persino la contadina di Nilerusa scoppiò a ridere.

Giampiero scosse la testa e sorrise alla sua compagna di viaggio, quasi chiedendole di poter parlare. Menta annuì: dopo aver goduto della parlantina del marchese per tutta la giornata, quando le aveva raccontato del regno di Cmune, di storie e antichi sovrani, o semplici aneddoti sulla costruzione di un viale, era curiosa di vederlo all'opera in un diverso contesto.

«Lei è Menta» asserì dunque in un primo momento, prima di tacere alla vista di Eleonora che portava della carne di manzo cotta in un sugo denso. Attese che la locandiera fosse abbastanza distante e che il suono delle posate nei piatti potesse coprire le sue parole: altri avventori avevano occupato la locanda, sebbene non si trovassero in tavoli vicini. Aveva intravisto degli uomini armati, con tutta probabilità la scorta dei due giovani originari del sud di Selenia; ipotesi che trovò conferma nel saluto che scambiarono con Roberto.

«Tutto qui, Giampiero, non avete altro da dire?» gli domandò Bianca, con un garbo sconosciuto alla maggior parte delle donne di Selenia.

Menta fu disorientata dalle sue maniere affabili, tanto diverse da quelle di Flora, eppure in grado di catturarla sin dal primo momento, come le era accaduto con la principessa divenuta poi sua amica.

«In realtà ci conosciamo poco» disse lei con un soffio di voce. «Per questo non c'è molto da dire.»

«E si tratta di una questione delicata» aggiunse Giampiero.

«L'unica questione davvero delicata in questo momento» disse Bianca, senza che il sorriso abbandonasse il suo volto candido, «è il mancato attacco del Ruxuna allo Dzsaco.»

Quelle parole colpirono il marchesino. «Cosa sapete voi due?»

«Questa mattina abbiamo avuto occasione di parlare con Lavinia Lugupe» confidò la principessa.

Giampiero ebbe un sussulto: sentì il cuore balzargli nel petto nell'udire che la regina di Dzsaco si trovava a Mitreluvui. Rivolse un'occhiata a Roberto, che annuì, tagliando parte del manzo nel piatto.

«Sappiamo delle mire degli Autunno sul Defi» bisbigliò Bianca. «Degli Autunno... sarebbe più corretto dire solo di Raissa, con l'appoggio silente di Ruggero e Amelia. Come se cercasse qualcosa lì, qualcosa che non può trovare nel resto di Selenia.»

«O qualcuno» si lasciò sfuggire Menta, attirando su di sé le occhiate degli altri tre. Il marchesino sembrava sorpreso dal suo ardire, davanti a due nobili che lei non conosceva fino a qualche minuto prima, mentre i due fratelli la osservavano uno sbigottito, l'altra esterrefatta.

«O qualcuno» concordò la principessa, riassumendo repentina il solito contegno. «Di qualsiasi cosa si tratti, pare essere di grande importanza per Raissa. E noi non possiamo permettere che lo ottenga.»

«Perché?» domandò la contadina, con semplicità.

La De Ghiacci le sorrise, lieta della domanda e dell'interesse che la giovane dimostrava. «Perché Raissa ha già preso tre regni in un brevissimo lasso di tempo, regni in cui può arruolare altri soldati per il suo già spietato esercito. E se non viene bloccata, se decidesse che il Pecama può essere una base per la sua potenza... deve conquistarlo.»

«E loro appartengono al Pecama» spiegò il marchese. Poi si rivolse di nuovo verso Bianca. «Ma Raissa è nel Loavi... a quanto so io non si è mossa da lì.»

«Non ve ne siete domandato la ragione?» gli domandò ancora lei. Gli occhi chiari brillavano, zaffiri incastonati nel suo volto angelico, lasciando trasparire una seria preoccupazione. Era molto più intelligente di quanto chiunque potesse credere; e Giampiero, che pur aveva un'elevata opinione di lei, fu spiazzato dal suo acume.

«No, perché so per quale motivo si trattiene ancora lì» rispose. Con la coda dell'occhio vide Menta tremare nel sorreggere la forchetta a mezz'aria, ma non le badò molto. Dopo le confidenze che Bianca gli aveva fatto, era giusto ripagarla della stessa moneta. «Vuole Flora Primavera, e crede che sia ancora nel Defi. Se qui ci saranno disordini, per lei non sarà complicato attraversare lo Cmune e arrivare fin lì.»

«Ma qualcosa mi dice che voi ne sapete una più di lei» continuò la De Ghiacci.

Il Tirfusama annuì. «Flora non è più nel Defi.»

«E lei?» chiese Roberto, incuriosito dal vivace scambio di battute tra i due, alludendo alla compagna di viaggio del marchese. «Menta, giusto? Tu cosa c'entri, in tutto questo?»

«Non ti sembra maleducato darle del tu?» lo rimbeccò la sorella, composta.

«Non è nobile» obiettò lui.

«Non c'è problema» intervenne la fanciulla chiamata in causa. Avrebbe dovuto sopportare ben altro, se Alcina l'avesse trovata...

Bianca sembrò abbandonare il rimbrotto verso il fratello maggiore, liquidando la questione con un'occhiataccia severa, glaciale. Menta approfittò del silenzio per volgersi verso il nobile che l'aveva condotta lì, chiedendogli con lo sguardo come comportarsi; lui le rivolse un sorriso comprensivo e subentrò al suo posto per acquietare la curiosità del principe.

«Lei è un'amica di Flora» spiegò. «Alcina è sulle sue tracce perché pensa che sia stata lei ad aiutarla a fuggire.»

«Quindi, se ho ben capito... Flora è scappata dalla madre?» esclamò Roberto con una sonora risata. «Credevo che scappasse da Raissa!»

«Il matrimonio con Nicola...» mormorò invece Bianca, posando la forchetta nel piatto vuotato. Alzò lo sguardo in quello del marchesino, le rivolse un velato cenno di assenso. «Lei non vuole sposarlo, dunque... le voci secondo cui ha un amante sono vere.»

Giampiero annuì. «Menta la aiutava a incontrarlo; perciò, se Alcina la trova, è in pericolo. Non so dire cosa quella donna sia in grado di fare.»

«E pensate che qui non corra alcun rischio?» gli domandò Bianca, perplessa. «Qui a Mitreluvui ora è pieno di nobili che non potranno non notare la sua presenza! Vi conoscono in molti, e abbastanza da sapere che per le missioni diplomatiche voi viaggiate sempre solo: una stranezza del genere non può non suscitare curiosità.»

«Dovrei tornare indietro?» chiese Menta, impaurita. Nonostante le incognite che una vita lontano dal Defi presentava, sentiva una sorta di terrore scuoterla da cima a fondo all'idea di rimettere piede in quel regno, che per anni era stato la sua casa. Le ire di Alcina Primavera non erano affatto da sottovalutare.

La gradevole principessa scosse la testa. «È stato volere della Luna che i nostri destini si incrociassero. Al momento attuale sono priva di una dama di compagnia: quella che avevo ha accettato di recente la mano di un duca del Crisera, e ancora non l'ho rimpiazzata.»

«Non posso permettere che...» provò a dire la fanciulla, stordita da una tale proposta. Quando aveva lasciato Nilerusa, vedeva davanti a sé solo la fuga da Alcina, una strada che la portasse lontano dalla sovrana e dai pericoli che poteva rappresentare. Durante la cavalcata sino allo Cmune, non aveva fatto altro che ripensare a quello che si stava lasciando alle spalle: la sua famiglia, un lavoro che la affaticava, certo, ma che le permetteva di essere utile e di non pesare sulle spalle dei genitori. Il piccolo banco al mercato con le sue povere spezie, che spesso barattava con qualsiasi cosa le sembrasse utile, di rado accettando del denaro; i suoi unici amici ormai erano lontani, ognuno seguendo il proprio dovere, mentre lei era l'unica ancora rimasta alla periferia della capitale.

«Flora si fida di te, e se sei in pericolo perché le sei stata fedele, si tratta di una fiducia ben riposta» sentenziò Bianca De Ghiacci, ancora con il suo dolce sorriso sulle labbra. «Sarebbe la soluzione migliore per tutti, te compresa. Cosa ne pensi?»

Menta cercò ancora una volta un suggerimento nell'espressione del marchese, che le disse soltanto: «La scelta è tua. Non puoi rimanere con me: è vero, viaggio solo, gli altri nobili si insospettirebbero. Ti ho portata lontano dal Defi perché lì non potevi rimanere, ma non avevo pensato a come aiutarti in un secondo momento.»

La contadina si rivolse alla principessa. «D'accordo, accetto.»

Le posate, utilizzate seguendo gli insegnamenti di Flora, giacevano inerti sul piatto, segno di sazietà che Bianca colse con sapienza. «Allora andiamo in camera, dobbiamo sistemare alcuni piccoli dettagli.»

La giovane di Nilerusa accennò un sorriso, e seguì Bianca, che nel frattempo si era alzata da tavola e aspettava solo lei per lasciare il salone. Giampiero le guardò allontanarsi, ignorate dagli altri avventori, tanto concentrati sulle pietanze che iniziavano a divorare da non badare alle due diversissime fanciulle.

«Non avevi pensato a cosa fare con lei una volta qui?» lo riscosse Roberto.

Il marchesino scosse la testa colpevolmente.

«E sei qui per i Lupfo-Evoco?» insisté il principe De Ghiacci.

«Diciamo che Alcina, suo malgrado, mi ha offerto una scusa per andare via dal Defi» sorrise appena il nobile decaduto.

L'altro scoppiò a ridere. «Sei un uomo coraggioso, Giampiero Tirfusama, molto più di quanto non si possa immaginare! Altro che i soldati che rischiano la vita sul campo aperto in battaglia, tu sì che sei un eroe! Sfidare Alcina in questo modo è da folli!»

La sua ilarità coinvolse il marchese, che si lasciò andare a un sorriso più largo sulle labbra. «Se pensi che inoltre sono qui per proteggere Nicola Lotnevi, poi...»

«Se Raissa non vuole altro che l'anarchia nello Cmune, sarà un duro lavoro» constatò il principe, tornando serio. «Probabilmente qualcuno lo accuserà di aver ucciso il padre per allontanarlo dal trono...»

«Questo è certo» mormorò Giampiero. «Devo fare in modo che nessuno creda a questa insinuazione.»

Roberto si riempì il bicchiere di acqua fresca. «Non sono qui per appoggiare le pretese di Raissa, ma per difendere il mio regno da ciò che lei potrebbe fare. Conta pure su di me: se ti serve di convincere qualche ambasciatore, sono a tua disposizione.»

«Certamente» assentì Giampiero. «Per nostra fortuna, abbiamo l'intera serata e tutta la giornata di domani a disposizione. E in due potremmo fare di più di quanto non possa io da solo.»

Tastò nella tasca del mantello da viaggio, toccando la sacca con il denaro consegnatogli da Alcina con un sospiro: in un modo o nell'altro, avrebbe escogitato un modo per tirare Nicola Lotnevi fuori dai guai. Se Raissa aveva previsto quella situazione, probabilmente aveva già corrotto molti degli uomini e donne che di lì a due giorni si sarebbero riuniti. Se qualcuno lo avesse fatto in sua vece, non aveva rilevanza: Giampiero si trovava al primo scontro con una mente abile, calcolatrice. Doveva dimostrare di saperne più di lei; e l'aiuto di una persona fidata come Roberto De Ghiacci gli era estremamente necessario.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top