4.2 Incontri e misteri


Giampiero seguì alla lettera le indicazioni che la principessa gli aveva fornito la sera precedente, spiato dal sole sonnacchioso del primissimo mattino. Una brezza leggera gli accarezzava il viso, provocandogli qualche brivido freddo lungo la schiena. Il marchesino indagò nel proprio animo per comprendere il motivo per cui all'improvviso avvertiva un senso di turbamento, inspiegabile se paragonato alla serenità bucolica del paesaggio agreste. Si sentiva sballottato tra il suo senso di responsabilità, che lo costringeva a condurre fino in fondo quella ambasceria per conto di Flora, e il timore che la regina venisse a conoscenza del segreto che lui condivideva con la figlia. Era certo che la giovane ribelle non sarebbe rimasta ancora a lungo nella corte del Defi e che, spinta da diversi motivi, avrebbe trovato il pretesto per una fuga: e questo sarebbe avvenuto a breve. Lui come si sarebbe comportato? L'avrebbe seguita, magari nella ricerca della profezia che la vedeva coinvolta? O sarebbe rimasto presso Alcina, tentando di sviare le sue ricerche per scovare Flora?

Darsi alla macchia con una principessa fuggiasca e refrattaria alle imposizioni della corte non sarebbe stata una strategia favorevole, soprattutto per un giovane come lui, rampollo di una famiglia decaduta. Ma l'idea di rimanere nell'orbita della sovrana lo inquietava perché, in un modo che lui non sapeva spiegare, quella donna riusciva a leggere nei suoi pensieri. Sembrava sempre conoscere cosa passasse per la sua mente, cosa lo turbasse, cosa invece lo mettesse a suo agio; come se tenesse a lui così tanto da aver indagato nel profondo del suo animo e sapesse, perciò, di poter contare sulle capacità e sulla fiducia del marchesino. Mesi prima Giampiero aveva dato prova di sé nell'evitare una contesa tra Alghemo e Sovithu per il controllo delle acque del fiume Ocirni, che segnava il confine tra i regni, escogitando un sistema di approvvigionamento che non scontentasse nessuno dei contendenti, insieme ad esperti di acquedotti e irrigazione; in quella circostanza Alcina, che gli aveva chiesto di intercedere, lo aveva lodato di fronte a uomini molto più anziani e influenti di lui, tra cui re Guglielmo. La morte di quest'ultimo aveva rimescolato le carte in tavola e anche per il giovane marchese era giunto il tempo di ritagliarsi un ruolo che andasse oltre l'apprezzamento di qualche sovrano.

Un regno? No, non era questo che voleva. Il suo unico desiderio era quello di tornare alla sua villa nel Pogudfo, magari accompagnato da una compagna di vita che lo amasse fino alla fine dei suoi giorni.

Sbuffò, allontanando quel pensiero. Qualcuno aveva provato a far circolare qualche maldicenza sul suo conto, lo sapeva molto bene: dei maligni vociferavano che lo scopo del marchesino fosse quello di ottenere, con il favore di Alcina, di Guglielmo e del re dello Dszaco, nuovo lustro per il suo casato ascendendo al trono del Pogudfo. Niente di più falso, ma era venuto a conoscenza, tramite Erik, che quelle dicerie erano state messe a tacere in tempi brevissimi; non sapeva a chi dovesse tanta riconoscenza, anche se, in cuor suo, era certo di dovere un gran favore alla regina di Defi.

Giunse alla finestra con il vaso dai gerani blu: quella di Menta, stando alle parole di Flora. Si guardò intorno, nel timore che qualcuno potesse scorgerlo in un luogo poco consono a un nobile come lui. Ma se la principessa si sentiva al sicuro nel rifugiarsi in quel quartiere di Nilerusa più simile alla campagna che alla capitale, chi era lui per esitare?

Bussò tre volte e attese. Si pizzicò nervosamente l'indice non osando, tuttavia, guardarsi intorno. Udì qualche uccellino cinguettare e qualcuno della stessa specie rispondere con quello che sembrava un canto allegro, componendo una gradevole melodia che lo intrattenne in quei pochi istanti, che a lui parvero eterni.

Le imposte di legno, un tempo dipinte di un verde scuro, ma ormai sbiadite come le altre della via, e corrose da qualche tarlo, vennero spalancate da una figura assonnata. La prima caratteristica che saltò agli occhi di Giampiero fu una chioma fulva e arruffata, che le copriva persino il viso, di cui si distingueva a malapena il candore.

Strano, per una che dovrebbe vivere nei campi, rifletté il marchesino. Da una delle tasche del mantello estrasse la lettera che Flora aveva scritto la sera precedente e la porse alla fanciulla mezza addormentata. La ragazza soffiò con uno sbuffo per allontanare una ciocca di capelli, che poi pettinò all'indietro in maniera distratta con la mano libera; con quel gesto scoprì il viso chiaro, sparso di lentiggini e due grandi occhi scuri, che la proprietaria strabuzzò per leggere.

Il marchesino cercò di spiare alle sue spalle qualche indizio per capire come fosse l'abitazione all'interno, per farsi un'idea se la povertà della casa di Elide fosse una situazione unica o se la donna vivesse in condizioni più povere dei vicini; tuttavia non riusciva a distinguere granché, se non una parete buia al di là di quella che doveva necessariamente essere Menta.

La fanciulla gli restituì la lettera, improvvisamente sveglia, con gli occhi curiosi che scrutavano l'estraneo di fronte a lei, da cui era separata solo per il vaso sul davanzale. Aveva già incontrato altri nobili, ma quel giovane poco più alto di lei e dal naso un po' pronunciato le incuteva una sorta di timore reverenziale che non aveva mai provato. Non poteva rimanere senza dir nulla, soprattutto se lui veniva per conto di Flora, quindi si fece coraggio e parlò.

«Voi siete... il marchese Tirfusama?» domandò con un filo di voce.

Il nobile le rivolse un sorriso e annuì.

«Venite alla porta, vi faccio entrare.»

Menta richiuse le ante esterne della finestra e si rivolse verso l'interno della stanza, nella penombra, scorgendo Claudio che dormiva, avvolto da una coperta, su un divano dalla stoffa scura e logora. I suoi genitori lo avevano comprato a basso prezzo da una famiglia che svendeva i mobili vecchi in una botteguccia del centro, dove si erano riforniti anche dei letti e dei materassi su consiglio di Flora.

Si spostò alla propria destra, avvicinandosi all'uscio che aprì al giovane marchese, invitandolo ad entrare con un gesto della mano. Giampiero abbassò appena la testa, come rivolgendole un cenno di saluto che Menta credeva fosse riservato solo alle nobili.

La fanciulla scrutò la via deserta nel timore che qualcuno si fosse accorto della visita del nobile, prima di rientrare in casa. Non si sentiva molto sicura ad ospitarlo, non con quanto accaduto pochi giorni prima, e solo l'idea che qualcuno potesse scoprire il suo segreto la faceva tremare come una foglia.

Giampiero si guardò intorno, mentre lei si avvicinava a un involucro di coperte su un divano usurato dal tempo e lo scuoteva con dolcezza. Anche lo spazio della casa di Menta era molto angusto, non differendo sotto tale aspetto da quella di Elide: un caminetto in un angolo, delle dispense, delle sedie di legno attorno a un tavolo e alcune porte, una delle quali affacciava certamente sull'orto.

«Claudio, svegliati, c'è qui un amico di Flora...» sussurrò la fanciulla.

Dalla stoffa lanosa provenì un mugolio assonnato.

«Che dici? Sono io l'amico di Flora...»

«Ma no, tontolone! È un marchese!» esclamò Menta, con un sorriso: Claudio aveva ingenuamente pensato a qualcuno che si facesse passare per lo spasimante della principessa.

A quelle parole le coperte si abbassarono, mostrando lo stesso ragazzo che era apparso il pomeriggio precedente fuori dai giardini del castello: Giampiero non ebbe difficoltà a riconoscerlo, notando in aggiunta la somiglianza con Elide, per il colore chiaro degli occhi, quasi indefinibile nella penombra, e per la forma sottile delle labbra.

Menta si apprestò a spalancare la finestra sull'orto retrostante per far entrare la luce nuova del mattino, in modo che l'amico potesse destarsi del tutto. Claudio si stiracchiò, cercando subito dopo di assumere un atteggiamento grave e dignitoso alla presenza di un nobile, come il mento alto di quell'altro suggeriva.

«Chi siete?» chiese, preoccupato. Se non gli fosse stato detto che si trattava di un amico di Flora, avrebbe temuto di trovarsi di fronte a uno dei damerini che eseguivano gli ordini del re e della regina, quindi inviato lì per smascherarlo. O, peggio, per smascherare l'inganno orchestrato dalla principessa. Tuttavia allentò la tensione non appena scorse un sorriso amichevole sul volto del nobile, che rispose alla sua domanda.

«Mi chiamo Giampiero Tirfusama e sono l'unico erede di una famiglia di marchesi del Pogudfo,» gli disse quello, con un tono di voce che non lasciava trasparire alcuna ostilità, e neanche l'altezzosità che il giovanotto si aspettava, «ma questo non ha rilevanza per spiegare perché io sia qui.»

Troppe parole tutte insieme, pensò Claudio, e io mi sono appena svegliato.

Il contadinotto si tolse le coperte di dosso e si diresse al tavolo, mentre Menta estraeva delle tazze di coccio da una credenza. Il giovane le riempì di caffè caldo da una caraffa lasciata sul tavolo e lei ne porse una a Giampiero, facendo gli onori di casa e invitandolo a prendere posto su una delle sedie scricchiolanti, corrose dagli insetti o dal tempo.

Il marchesino non esitò ad afferrarla, ma la fanciulla che lo aveva accolto gli fece cenno di non bere: lei uscì nell'orto tornandone immediatamente con una bottiglia di latte, con cui finì di riempire ognuna delle tazze.

«C'è già lo zucchero, nel caffè» mormorò con un sorriso, rivolta al marchese, che allora portò la bevanda alle labbra, constatando come il suo sapore non fosse così dissimile da quello che lo stesso intruglio aveva a corte.

Una volta vuotata la tazza, Giampiero la posò con delicatezza sul tavolo, per poi dire ad alta voce: «Flora vorrebbe sapere...»

«Puoi rassicurarla» lo interruppe Claudio, alzandosi dalla sedia e trovandosi così più in alto del nobile; particolare che lo metteva un po' a suo agio, come se andasse a compensare le umili origini, sebbene già avesse dimenticato il rango di quel damerino. «So che cosa le è passato per la testa. Lui è solo dovuto partire per una questione molto importante. Il re e la regina non hanno scoperto niente.»

«Partire?» domandò Giampiero, turbato perché gli si era affacciata alla mente la paura di Flora per Raissa. Se la figlia mediana degli Autunno avesse scoperto questa debolezza della più piccola dei Primavera-Inverno, si sarebbe subito attivata per escogitare qualche tranello per attirarla. «Devo sapere per dove.»

«Non possiamo dirlo» spiegò Menta, comprendendo che Flora non si sarebbe accontentata di una così misera spiegazione. «È davvero importante mantenere questo segreto.»

Giampiero inspirò profondamente, riflettendo su cosa sarebbe stato opportuno di dire di fronte a quei giovani, non conoscendo nel profondo i rapporti che intercorrevano tra loro e la principessa; tuttavia qualcosa nel suo istinto gli suggeriva di fidarsi. A frenarlo dal confidare loro quanto fosse importante conoscere la posizione dell'amante di Flora e, cioè, dal rivelare loro la profezia che la riguardava, era solo la cautela. Si trattava di una preziosa informazione che era meglio non diffondere: doveva evitare che alle orecchie di Raissa giungesse la notizia che qualcuno l'aveva tradita.

«Siete stato seguito?» chiese improvvisamente Claudio a bassa voce. Si era accostato alla finestra e spiava la strada, come se temesse di veder comparire uno dei sovrani o qualche cortigiano ostile che avesse scoperto tutto, e una figura sconosciuta aveva catturato la sua attenzione. Il marchese gli si affiancò, condividendo in silenzio la medesima preoccupazione.

«Vado a vedere» disse il nobile, tastando nel mantello l'elsa dello stiletto, riposto in una tasca del mantello da viaggio, che per sicurezza portava sempre con sé: preferiva sapere di averlo a portata di mano per qualsiasi evenienza, anche se sperava di non dar mai prova delle sue abilità nel maneggiarlo.

Menta lo lasciò uscire senza neanche tentare di fermarlo. Un'inaspettata agitazione la stava percorrendo e lei stessa iniziava a credere che quel segreto di cui neanche Claudio, il suo amico più fidato, era a conoscenza sarebbe venuto a galla. Nessuno avrebbe dovuto saperlo mai. Guardò il marchesino scambiare poche parole con lo sconosciuto, nascosta dietro le tende della finestra e lo vide indicare all'altro di seguirlo verso la casa.

«Cammina, avanti. Entra.»

La voce di Giampiero era dura nell'impartire un ordine forse un po' troppo perentorio.

I due popolani si scambiarono un'occhiata perplessa, domandandosi con chi avrebbero avuto a che fare entro pochi istanti: nonostante l'amicizia di lunga data con Flora, non avevano mai frequentato nobili della corte di Defi; e se gli accadimenti di quella mattina li avessero catapultati al castello e sottoposti al giudizio severo della regina?

Il marchese aprì la porta di casa, che nell'uscire aveva lasciato accostata, accompagnato da un giovane dalle spalle larghe e dalla pelle arsa dal sole. Gli occhi scuri si assottigliarono, perlustrando la piccola stanza come cercando qualcosa. O qualcuno.

Il mantello del nuovo arrivato ondeggiò, scoprendo l'elsa di una spada. Claudio non era un esperto delle corti e delle famiglie che governavano nei vari regni, ma riconobbe qualcosa di sinistro nelle due code di serpente intrecciate che vi erano incise, poiché erano note a tutti gli abitanti di Selenia che ne temevano la famiglia simboleggiata.

«Lo stemma degli Autunno!» esclamò. Cosa c'entrava quel nobiletto lì con un tizio che aveva a che fare con quella famiglia? Che Flora fosse caduta in un qualche tranello di cui lui non avrebbe mai potuto intuire nulla?

Il marchesino annuì, come confermando le sue parole, e richiuse la porta con un colpo secco. Lo stiletto riluceva, mostrando ai popolani che il marchese aveva convinto lo sconosciuto a seguirlo non solo grazie alle sue parole.

«Lo so benissimo» disse con un filo di voce, come parlando con sé stesso e non con Claudio, per poi rivolgersi a quell'altro, allontanando la punta acuminata dalla sua schiena per riporla nella fodera. «Cosa stai facendo qui?»

Il giovane scrollò le spalle, indeciso su come rispondere: non aveva idea di chi fossero quei due contadini che vivevano in quella casa, sapeva solo che era lì che conducevano le sue ricerche. Giampiero lo scrutava in volto, attendendo una risposta perentoria a cui il ragazzo dalla pelle bronzea sapeva di non potersi sottrarre.

«Io... seguivo Melissa Autunno» rivelò dunque rivolto al nobile, in imbarazzo.

L'atmosfera nella stanza si fece pesante non appena lui terminò la frase: il collegamento fra Melissa e la sorella Raissa era immediato per chiunque, persino per Claudio e Menta, due giovani popolani come tanti altri, apparentemente estranei alle vicende politiche.

Lei infatti impallidì a quelle parole, spaventata dalla velata allusione alla principessa di cui aveva con orrore udito le gesta della conquista di Ralini e Loavi. Il suo sguardo tormentato si perse nel vuoto, non riuscendo neanche a provare preoccupazione per lo sconosciuto che giungeva in casa sua a cercarne la sorella maggiore; sebbene lui non avesse detto che la cercava proprio lì e non nei dintorni.

«Se ti manda Raissa...» iniziò Claudio. Avrebbe voluto concludere con un "sei morto", ma non aveva nulla a portata di mano con cui minacciarlo, se non la tazza che ancora conteneva un goccio di cappuccino; e l'altro aveva una spada.

«Non ho niente a che fare con lei!» esclamò quello sulla difensiva, rimanendo fermo dove si trovava.

Nessuno dei presenti ebbe modo di dire altro, perché dalla finestra socchiusa giunse una voce che tutti, o quasi, riconobbero. «Io non azzarderei una frase simile, visto lo stemma inciso sulla tua spada. Menta, aprimi la porta.»

La fanciulla padrona di casa si precipitò all'uscio, con il marchese e lo sconosciuto che si spostarono per permetterle di eseguire gli ordini della principessa.

Apparve la sua figura esile, ma allo stesso tempo maestosa e dotata di grazia, nonostante il semplice abito color corteccia che assomigliava più a una sottoveste e i lunghi capelli lasciati sciolti sulle spalle.

Flora non era stata in grado di dominare l'ansia di conoscere cosa sarebbe accaduto ed era corsa lì non appena si era svegliata, approfittando dell'ora dell'alba, in cui tutti al castello dormivano. Quello sconosciuto le rivolse un mezzo inchino, a cui lei non sorrise, quasi sdegnando il suo gesto di riverenza.

«Posso intuire chi sei, ma devi dirmi cosa ci fai qui» gli ordinò, asciutta, anche se aveva intuito che si trattava del mercenario di cui Giampiero le aveva parlato.

«Sto cercando Melissa » disse il giovane abbassando lo sguardo. Non che avesse timore di Flora, ma sapeva che quella informazione doveva rimanere un segreto e si sentiva in difficoltà a rivelarlo all'erede dei Primavera-Inverno, poiché era a conoscenza dei rapporti tesi tra le due casate.

«Ti manda Raissa?» domandò Flora. Aveva udito il mercenario negare spiando dalla finestra, ma non riusciva a credergli del tutto: poteva mentire a Claudio o a Menta, persino a Giampiero... ma non a lei.

Il suo tono di voce appariva disteso, ma il marchesino riconobbe il pensiero che agitava la principessa per la quale, ormai, provava una profonda e sincera devozione.

Quello scosse la testa.

«E chi, allora?» insisté lei, esigendo una risposta.

«Non posso dirvelo» ammise il giovane. «So che non vi può bastare la mia parola, ma non si tratta di Raissa. Non ho mai lavorato per lei.»

«Ma questo qui chi è di preciso?» chiese Claudio. Aveva capito che Flora sapeva chi fosse, e che tuttavia non ne avesse un'opinione positiva, ma non gli era sufficiente per comprendere del tutto quello scambio di battute: la sua amica si comportava in maniera molto diversa da quella che lui era abituato a conoscere. Non traspariva fiducia nell'altro da nessuno dei suoi gesti o delle sue parole; la diffidenza la faceva da padrona, ricordandogli l'atteggiamento di Alcina nell'unica occasione in cui lui si era ritrovato al cospetto della sovrana dagli imperscutabili occhi di ghiaccio.

«È Arturo Gruisi» rispose Giampiero.

«È un mercenario» lo corresse la principessa.

In quel momento Claudio capì il suo astio nei confronti dello sconosciuto: Flora temeva che i genitori ne assoldassero qualcuno per scoprire cosa stesse macchinando; e lui lo sapeva. E se quel mercenario avesse mentito e si trovasse lì esclusivamente per quel motivo?

«A me interessa solo sapere se Melissa è stata qui o meno» precisò Arturo ancora una volta; il suo sguardo si soffermò sui due popolani, quasi cercasse una risposta da loro.

«No, non è stata qui» negò Menta, deguitendo e ancora preda di un evidente turbamento.

Lui annuì, in segno di comprensione.

«Bene, adesso puoi andartene» disse Flora, accennando alla porta.

«No, aspetta.» Giampiero lo fermò prima che Arturo potesse fare qualsiasi cosa. «Abbiamo bisogno di lui.»

«Io non ho bisogno di nessuno» asserì Flora, risoluta. Piantò il suo sguardo in quello del marchese. Era veramente arrabbiata, non voleva che permettesse a quel mercenario di entrare in uno dei suoi rifugi: avrebbe potuto riferirlo a Raissa in qualunque occasione, o l'Autunno gli avrebbe potuto estorcere quella informazione preziosa con la forza.

Il marchesino sostenne il suo sguardo fermo. La profezia, Flora, non dimenticare la profezia: è stato lui a riferirmene il contenuto.

«Invece ne hai» ribatté dunque Giampiero. Scrutò i volti confusi di Menta e Claudio, che avevano assistito perplessi, poi domandò alla principessa: «Possono saperlo?»

«Sapere cosa?» esclamò Menta.

«Flora, che ci nascondi?» chiese Claudio.

Non avevano idea di cosa parlasse il nobile, né erano preparati a ricevere rivelazioni da colei che per loro era semplicemente un'amica il cui più dolce segreto andava protetto.

«Io...» Lei mostrò in un istante tutta la sua fragilità: impallidì e si sedette sul divano, cercando di porre ordine nella turba di pensieri che caotica le affollavano la mente. La profezia, il ragazzo che amava e per il quale stava provando una paura che le consumava le energie, il mercenario che non le ispirava simpatia, né tantomeno fiducia e... la fuga che da lungo tempo pianificava. Il suo progetto di abbandonare Nilerusa non poteva rimanere oscuro agli occhi degli unici amici che lei vi avesse.

«Quindi lo sa» disse Arturo al marchesino, che annuì.

Claudio capiva sempre meno: perché nessuno spiegava chiaramente tutto?

«Di che state parlando?» chiese.

«Esiste una profezia, secondo cui...» iniziò a dire Flora con gravità, recuperando il colore sulle guance e alternando lo sguardo sui due figli di contadini, «... secondo cui sono destinata a sconfiggere Raissa. Ci ho pensato a lungo, questa notte, e voglio saperne di più. Ho il diritto di sapere, giusto?» Alzò lo sguardo verso Giampiero, che annuì ancora una volta.

«Raissa crede fermamente che si tratti di voi» aggiunse Arturo. «Anche se le profezie... non sono mai chiare. L'ideale è sempre recarsi sul luogo in cui sono custodite, perché il destinatario delle profezie dovrebbe ricevere qualche segnale dal libro in cui sono contenute. Raissa ancora non si è ancora mossa dal Loavi, quindi lei non sa se la riguarda o no.»

Flora si trattenne dal chiedere dove fosse la profezia, poiché non le importava. Nel profondo del suo cuore, lei aveva già scelto: non tornare al castello, non più. Sarebbe giunta persino a Ditomo, se questo le avesse permesso di fuggire dalla madre. Quel mattino non avrebbe fatto un passo indietro nel lasciare la sua camera con la porta accostata, conscia che la sua assenza sarebbe stata notata; e anche piuttosto in fretta.

«Per questo abbiamo bisogno di lui» spiegò Giampiero con un tono di voce gentile e pacificante. «Arturo può proteggerti mentre cerchi la profezia. Sono sicuro che Claudio ti è molto devoto, ma non lo ritengo in grado di salvarti, se Raissa si mettesse in cerca di te.»

Il contadino non provò nemmeno a dire che sarebbe riuscito a difendere Flora, perché sapeva perfettamente di non potere: ne era una prova il fatto che ad uscire e trovare quel mercenario era stato il marchese e non lui. Scrollò le spalle e posò la tazza sul legno gonfio di umidità del tavolo.

«Ma io ho altro da fare» obiettò invece Arturo. Aveva già perso troppo tempo lì, non aveva intenzione di tergiversare ancora abbandonando quella delicata missione che aveva a cuore, né di avere a che fare con la Primavera-Inverno, che gli era palesemente ostile.

«Sono certo che ciò che devi fare è importante, ma questo lo è di più» insisté fermo Giampiero, con un sorriso.

«Io non mi fido di lui» mormorò Flora con un filo di voce. «Se non mi fido di lui, come posso permettere che mi protegga?»

Posò lo sguardo sul marchesino e le sembrò di scavare all'interno di quegli occhi, scuri con una sfumatura castana, di poter afferrare con delle energie invisibili la lealtà del suo interlocutore, come un oggetto tangibile; sensazione che diverse volte aveva sperimentato, senza soffermarsi più di tanto a riflettere da cosa derivasse. Che fosse una traccia della magia che conteneva dentro di sé?

Non disse nulla, ma si portò le mani al volto in segno di resa, quella resa che non aveva mai accettato con facilità; neanche al cospetto di Alcina. Ma in Giampiero vedeva di nuovo quella luce che l'aveva spinta a parlargli con candore, palesando la sua necessità di aiuto: poneva nelle sue mani le decisioni sul più prossimo futuro.

Il marchesino sospirò, senza comprendere appieno le agitazioni interiori della principessa. «Non devi fidarti di lui, ma di me. Se lui non si dedicherà a te con tutte le sue forze, sarà colpa mia. Ti prego.» Vide Flora fare un lieve cenno di assenso con il capo, che gli diede l'autorità per fornire ulteriori disposizioni; quindi si rivolse al mercenario. «Arturo, dov'è la profezia?»

«Nel Pecama, ma non so dirti di preciso in quale regno» rispose lui immediatamente, come eseguendo un ordine: aveva combattuto, quella prontezza di risposta denotava che era stato un soldato; Giampiero conosceva il suo passato e osservò che avrebbe potuto tradirsi, se non avesse utilizzato maggiore cautela: la principessa non sarebbe mai stata serena nel sapere alle dipendenze di chi il mercenario aveva servito sotto le armi.

«Se è nel Pecama, di certo Stella saprà dirmi dove» rifletté Flora ad alta voce, menzionando l'amica d'infanzia rimasta nell'isola a sud e che gli altri potevano a malapena aver sentito nominare. Certamente Stella Estate sarebbe stata in grado di aiutarla, se solo lei fosse riuscita a giungere a sud, nel Pecama, anche se l'idea di viaggiare in compagnia di quel misterioso spadaccino non la allettava affatto; sempre che non si fosse ingannata e che quello fosse davvero uno spadaccino. «Ma io da sola con lui non vado.»

«Flora, torna al castello, troveremo una soluzione» cercò di rassicurarla Menta. «Se si accorgessero che non ci sei...»

La principessa scosse il capo, con un'espressione combattuta. Ripercorrere i propri passi e chiudersi di nuovo nella prigione di cristallo non rientrava nei suoi obiettivi a breve termine; partire in quel momento alla ricerca della profezia, sì. «Non capisci, io non posso tornare. Se torno ora, sarò costretta ad andare da Nicola e sposarlo, ma non posso. Gli voglio bene e non voglio che finisca nei guai, ma non posso...»

Luciana aveva fissato per quel pomeriggio la partenza per lo Cmune e l'unico modo per evitarla era quello di scomparire dal castello. Si ripeté per l'ennesima volta che non avrebbe fatto marcia indietro, perché farlo l'avrebbe condotta a un futuro che lei non aveva scelto, e nel quale lei non avrebbe avuto scelta.

«D'accordo, » disse Giampiero, concependo un piano per le prossime ore. «Tu non andrai nello Cmune. Andrai nel Pecama, insieme a Claudio e Arturo, e ci andrai il prima possibile, quindi adesso.»

Sul volto del popolano si formò un fiero sorriso: era giunta l'occasione di fare qualcosa di importante e, sebbene non avesse idea di cosa il viaggio gli avrebbe riservato, non riusciva a trattenere l'orgoglio per un'avventura a cui era destinato e per il compito di cui il nobile lo aveva implicitamente investito: scortare la principessa. Avrebbe potuto approfittare della compagnia del mercenario per scoprire qualcosa sul mondo, visto che aveva tutta l'aria di uno che aveva visitato molti luoghi e avuto a che fare con molte genti. Quanto alla praticità della difesa di Flora, non se ne preoccupò, entusiasta com'era all'idea di lasciare la capitale: se la sua amica partiva, non gli restava granché da fare lì; sua madre avrebbe potuto chiedere aiuto a qualche ragazzo del vicinato per l'orto o per portare frutta e verdura al mercato. Sì, si convinse, non sarebbe stato un problema.

Arturo chinò il capo: avrebbe svolto il compito che il marchese gli aveva affidato, ma la sua mente era ancora occupata dal precedente incarico. Approfittò del fatto che i due popolani stessero riempiendo delle sacche con un po' di cibo, per accennare a Giampiero di seguirlo in un angolo, mentre Flora continuava a spiarlo, seduta su quel logoro divano.

«Se io vado con la Primavera a sud, tu devi trovare Melissa Autunno al posto mio» gli disse, con un soffio di voce. Non gli piaceva lo sguardo sbieco della principessa di Defi, che lo faceva sentire colpevole di un crimine che lui non aveva commesso.

«Ti pagherò al vostro ritorno, e bene» disse invece il marchesino. Doveva assicurarsi la totale fedeltà dell'altro, che era pur sempre un mercenario: non aveva idea di come avrebbe fatto a trovare il denaro sufficiente, ma se ne sarebbe preoccupato solo in un secondo momento. «Tu fa' in modo che torniate tutti vivi.»

Arturo assentì, sapendo che il pagamento sarebbe stato sufficiente per spiegare ai suoi compagni d'arme quell'assenza, che si prospettava più lunga di quanto lui avesse ipotizzato. Aveva udito delle ristrettezze del marchese, ma altresì gli era stato raccontato che non era il tipo da non pagare i debiti, quindi si sentì rinfrancato dalla sua promessa. «Certamente.»

Menta richiuse l'ultima sacca, che aveva riempito con del pane, ponendo così fine ai preparativi per la partenza a cui lei non avrebbe partecipato. Non le dispiaceva non essere stata presa in considerazione dal marchesino per accompagnare Flora, perché era consapevole che non sarebbe stata utile in nessun modo; d'altronde lei stessa preferiva rimanere a Nilerusa e spiegare ad Elide che il figlio non sarebbe tornato prima di qualche settimana e che avrebbe cercato lei di rimediare, aiutandola nell'orto. Li guardò uscire con un presentimento positivo: Raissa Autunno non li avrebbe mai trovati.

Fu solo nella strada deserta, riscaldata tiepidamente dal sole del primo mattino che Flora riuscì a raccogliere il coraggio per porre la domanda che più la assillava e che con immensa fatica aveva trattenuto alla presenza del mercenario. Tuttavia, lei doveva sapere.

«Claudio, lui dov'è?»


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