3.4 La profezia

Non appena la porta della camera fu richiusa alle spalle di Luciana, Flora si alzò dal letto e, in punta di piedi, si avvicinò all'uscio per ascoltare i passi della nobile ospite allontanarsi verso la stanza preparata per lei in un altro corridoio del piano. Quando non udì più nulla, decise che era arrivato il momento di agire: uscì furtiva, chiuse la porta a chiave e corse leggiadra nella direzione opposta a quella in cui si era diretta la Lugupe.

Scendendo le scale che conducevano nell'ala ovest del castello, quella dedicata agli incontri ufficiali e in cui si trovava la sala del trono, si imbatté proprio nella persona che stava cercando: Giampiero Tirfusama, figlio di un marchese del Pogudfo. Flora si fidava di lui, sebbene i due non avessero grande dimestichezza: lo aveva sempre incontrato a corte, e alla presenza di altre persone, ma gli appariva di grande intelligenza e sensibilità. Aveva già da tempo desiderio di parlare da sola con lui, per avere un confidente nel castello, ma le circostanze glielo avevano impedito ogni volta.

La principessa ricordava con piacere di aver origliato una conversazione tra lui ed Erik, nella quale Giampiero aveva preso le sue difese. Parlavano concitatamente di lei, di quanto fosse ribelle alla volontà dei genitori, ma quella volta non si trattava del matrimonio: era accaduto che Flora fosse uscita sola dal castello per l'intera giornata, rientrando a malapena per la cena, scatenando le ire di Alcina e Tancredi. Erik era arrabbiato con la sorella, perché lei non capiva che non poteva rimanere senza una sorveglianza, che le sarebbe potuta capitare qualsiasi cosa, mettendo insieme tutto il frasario ripetuto tante volte dai genitori. Giampiero, invece, gli aveva spiegato che secondo lui era giusto che Flora si prendesse le sue libertà, anche correndo dei rischi: era giusto, secondo lui, che una futura regina sapesse come fosse la vita fuori dal castello.

Quanto la più giovane dei Primavera-Inverno aveva scorto nel pomeriggio osservando il suo atteggiamento, aveva solo dato fondamento più solido alla sua speranza di trovare un amico leale in cui riporre la sua fiducia. Aveva bisogno di aiuto e lui sembrava la persona migliore della corte a cui rivolgersi, sebbene vi si trovasse solo di passaggio.

«Giampiero» lo chiamò, fermandolo. «Vorrei parlare con te.»

Con una mano aprì la porta del salone davanti al quale lei e il giovane marchese si erano fermati e, dopo aver constatato che era vuota, indicò all'altro di entrare, senza dire nulla. Lui chinò il capo rispettosamente e annuì. «Certo, altezza.»

Flora sorrise, inorgoglita dal titolo che le era riservato e che l'episodio di poco prima sembrava aver messo in ombra. Che gli altri cortigiani lo volessero o meno, lei aveva le stesse possibilità di Erik di ereditare il regno, quindi sarebbe stato opportuno che ne tenessero memoria in ogni momento. Cmune o non Cmune, Nicola o non Nicola, lei aveva il desiderio di rendere la sua prigione un luogo di libertà.

«Evitiamo le formalità, per favore. E dammi del tu» disse, seguendolo all'interno del salone e richiudendo la porta. «Mi rivolgo a te perché si tratta di una questione delicata e so che tu saprai esserne all'altezza. Sanno tutti, e perciò confido nel fatto che lo sappia anche tu, che non voglio sposare il futuro Re di Cmune Nicola Lotnevi.» Flora abbassò lo sguardo e si trattenne dal mordersi la lingua. Era necessario parlare e lei lo avrebbe fatto. «Sono certa che tu ne sai anche il motivo, cioè l'amore che mi lega a un altro.»

Giampiero la osservava con attenzione, interessandosi a quello che diceva e incuriosito dal fatto che la principessa avesse deciso di confidarsi proprio con lui. Quella dimostrazione di fiducia arrivava del tutto inaspettata, anche se per un momento si affacciò alla sua mente la possibilità che lei avesse notato la sua scarsa simpatia verso gli altri membri della corte. Non che questo gli avesse mai impedito di fare conversazione, ma non poteva fare affidamento su nessuno di loro. Sapeva, anche se solo per sentito dire, che Flora era refrattaria al matrimonio con Nicola Lotnevi e pensava che fosse dovuto alla stessa ragione che lei aveva ammesso con pudore, come mostravano le sue guance velatamente arrossite.

Anche lui aveva qualcosa di cui parlare con lei, e si trattava di una questione molto delicata che desiderava affrontare in privato. Non gli sarebbe stato d'aiuto chiedere udienza, perché altrimenti sia Alcina che gli altri residenti al castello avrebbero avuto la facoltà di essere presenti; e non era quello che il marchesino desiderava. Decise, tuttavia, di attendere che la principessa finisse il suo discorso, perché gli appariva insensato discutere di più argomenti allo stesso tempo. Da buon diplomatico, quale aveva dimostrato di essere, sapeva come comportarsi in ogni circostanza. Quindi non disse nulla e ascoltò, con una devozione che sentiva nascere nuova dentro di sé, le parole della figlia dei sovrani di Defi.

«Quest'altra persona, però...» Flora non poté evitare di mordersi il labbro: aveva saputo con maestria tenere il segreto e doverlo rivelare era per lei una grande preoccupazione, ma Giampiero le ispirava grandissima fiducia, quindi proseguì. «... Non è quel ragazzo che mi manda sempre i fiori; non è, insomma, colui che tutti credono. Si tratta di un altro, non penso che tu lo conosca, non lo conosce nessuno della corte. Non sto a spiegarti come ci siamo incontrati, non è questa la cosa importante. Ciò che conta è che questa notte ci saremmo dovuti incontrare, ma lui non è venuto.»

La principessa Primavera si interruppe e prese fiato. Lanciò un'occhiata nervosa alla parete del salone, illuminato da coppie di candele ben distanziate tra loro, tremando all'idea che la regina potesse aver origliato le sue parole. Si riscosse al pensiero che non c'era modo che qualcuno la udisse, non senza essere presente; e lì c'erano solo lei e il marchesino.

«Temo che gli sia accaduto qualcosa» sospirò.

«In che modo posso aiutarti?» chiese Giampiero, con tono sinceramente preoccupato. Non poteva non avere notato l'animo agitato della ragazza e si sentiva in dovere di fare qualcosa per lei, non solo come ricompensa a quella dimostrazione di fiducia, ma perché, in qualche modo, sentiva che era giusto prendere le sue parti. I sentimenti di Flora verso qualcuno che non fosse Nicola Lotnevi erano molto più che legittimi, secondo lui, ma sapeva che contraddire Alcina e Tancredi non era saggio e non l'avrebbe fatto; non apertamente, almeno.

Flora gli sorrise, dimostrando quanto apprezzasse il suo interesse, senza cessare di avere una luce seria negli occhi, e gli espose con brevità il punto a cui voleva arrivare.

«Claudio, il ragazzo dei fiori, sa cosa è accaduto. Prima sono riuscita a vederlo per poco tempo, alla presenza delle sentinelle, e gli ho detto di andare da Menta. È una ragazza che vive a Nilerusa, so di potermi fidare di lei: conosce la situazione, ed è tra le persone che hanno premura di aiutarmi a nascondere la verità. Ho bisogno che tu vada da lei al posto mio, perché io non posso lasciare il castello senza essere notata o, peggio, seguita. Non posso permettermi che i miei genitori conoscano la mia rete di segreti. Ti darò le istruzioni necessarie per arrivare da lei. Se tu ti assenterai, non se ne accorgerà nessuno, hai la fortuna di non avere sopra gli occhi di tutti.»

Fissò il suo sguardo in quello del giovane marchese e i suoi occhi chiari quasi si inumidirono nuovamente. Mormorò, con voce sommessa, due parole che mai aveva pronunciato fino a quel momento. «Ti prego.»

Giampiero l'aveva ascoltata con attenzione, colpito dalla rivelazione fattagli dalla principessa Primavera. Non era quindi il popolano di cui tanto aveva sentito parlare? Alcune delle più giovani tra la dame di corte erano ammaliate dal sorriso che contraddistingueva il suo volto, che appariva ai loro occhi come illuminato da un bagliore divino. Eppure, il marchesino lo aveva compreso, era chiaro che ad attirarle era la possibilità di una relazione che le rispettive genitrici avrebbero di certo disapprovato, nulla di più: per loro quel Claudio sarebbe stato solo un divertimento, al pari di qualche servo del castello.

Annuì, disposto a esaudire ogni suo desiderio. Capiva che quanto aveva detto Flora era vero: in ben pochi si sarebbero accorti della sua assenza, che avrebbe potuto giustificare con un pretesto qualsiasi. Aveva intenzione di scoprire cosa fosse accaduto all'amante della principessa e di riferirglielo, senza il timore di incorrere nelle ire di Alcina: la sovrana non gli avrebbe mai estorto una parola.

«Certamente, andrò» disse infine e ogni tratto del volto splendido della Primavera sembrò sorridergli, avendo riacquisito un più sano colorito. Tuttavia Giampiero sapeva che il suo dovere non finiva lì. «Ma sono in possesso di un'informazione che so non ti piacerà affatto.»

Flora si allarmò, ma non fece in tempo a macchinare nessuna ipotesi, perché la sua lingua fu più lesta del suo pensiero. «Di cosa si tratta?»

«Raissa Autunno» diede Giampiero come prima risposta. Pronunciò quel nome con un filo di paura nella voce. Non gli era sconosciuto quanto di oscuro si raccontava su di lei e temeva che qualcuna di quelle dicerie fosse realtà.

Flora si lasciò cadere con grazia su una delle sedie disposte attorno all'ovale tavolo di cristallo che occupava gran parte della sala, invitando il marchesino a prendere posto al suo fianco. Non si sentiva tranquilla quando udiva parlare di colei che, a detta di molti, sarebbe stata la sua rivale per la supremazia politica della regione. E le notizie delle sue conquiste militari erano giunte sino alle orecchie dell'ingenua fanciulla. «E di preciso?»

«Negli ultimi tempi è stata ossessionata dalle ricerche su antiche profezie. Non vi ha preso parte di persona, ma ha mandato qualcuno di sua fiducia a leggerle nel Pecama, nei luoghi di culto dove sono conservate.»

Flora annuì, segno che stava seguendo le sue parole. Non sapeva a cosa quel discorso avrebbe portato, ma che Raissa desse peso alle profezie la incuriosiva: non la riteneva in grado di credere in qualcosa che ormai apparteneva più alla leggenda che alla realtà. Le profezie, come tutti sapevano, erano l'ultimo baluardo di magie che avevano dominato su Selenia secoli addietro e di cui nessuno ricordava ormai nulla: erano testi criptici e di difficile interpretazione, nessuno osava credere che in quelle pagine ingiallite e corrose dal tempo potesse essere scritto il destino del mondo e dei suoi abitanti, neanche dei più illustri.

Giampiero si schiarì la gola, raccogliendo tutto il suo coraggio: mai, nella sua breve carriera da diplomatico, si era trovato con un argomento tanto delicato e tanto importante da esporre.

«Secondo una di queste... tu sei la maga più potente mai esistita sul suolo di Selenia e il tuo destino è quello di sconfiggere Raissa. Impresa che non dovrebbe essere semplice, perché, stando a quanto mi è stato riferito, lei riuscirà ad avere il controllo di quasi tutte le terre conosciute.»

Tacque, osservando il viso scandalizato e preoccupato della principessa, la cui mente si stava già occupando di diversi aspetti che quella rivelazione implicava. Poteva fidarsi di quelle parole? Possibile che l'interpretazione arrivata a Raissa fosse corretta? E se fosse tutto un errore, se quella profezia non parlasse di lei e della giovane Autunno?

«Cosa? Come?» esclamò, sconvolta, senza dare voce ai suoi veri pensieri. Ma un altro dubbio si insinuò nella sua mente. «Come fai a saperlo?»

«Questo ti piacerà ancora meno» disse Giampiero, abbassando lo sguardo e concentrandolo sulle sue dita che tamburellavano sulla traslucida superficie del tavolo. Sapeva che le possibilità che Flora si sarebbe adirata erano molto alte, poiché lei non capiva perché mai qualcuno dovesse mettersi al servizio di altri mosso soltanto dal bisogno o dal desiderio di denaro. «Sono in contatto con un mercenario che raccoglie informazioni direttamente da Raissa e da qualcuno molto vicino a lei.»

«Un mercenario?» Lo stupore di Flora aumentò ancora di più. Il respiro le venne meno e il battito del suo cuore accelerò in un istante, mentre sul viso le si formarono chiazze rosse. Si sentiva in difficoltà nel mostrare diffidenza nei confronti del marchese a cui, poco prima, aveva rivelato il suo più grande segreto. Ma lei temeva i mercenari, perché il pensiero che suo padre ne potesse assoldare qualcuno per scovare il suo amante era tra i tormenti dei suoi momenti di solitudine. «Come fai a fidarti?»

«Pare che ci sia stato un acceso diverbio tra Melissa e Raissa per il trono del Ruxuna. Non possono salire insieme e condividere il potere, perché hanno due linee di pensiero opposte. Sai delle recenti minacce allo Dszaco, vero?»

Flora annuì, memore di una lettera di Nicola che l'aveva messa al corrente.

«Queste minacce sono opera di Raissa» proseguì Giampiero, dopo essersi schiarito la voce. «Lei vuole estendere i suoi confini e credo, ma queste sono solo mie supposizioni, che stia puntando anche allo Cmune e poi...»

Non proseguì, ma era evidente a quale altro regno facesse riferimento.

«Al Defi?» chiese Flora, in un sussurro. Se anche fosse solo una ricostruzione dell'altro, era possibile che Raissa volesse conquistare il suo regno: se l'Autunno credeva a quella profezia, aveva di certo il desiderio di sbarazzarsi di lei. E il più semplice dei modi era occupare il Defi e farla prigioniera. Tuttavia le sovvenne che quel piano era impraticabile per chiunque, non solo per Raissa. «Ma non può farlo, ci sono degli accordi sul rispetto dei confini!»

«Non li ha firmati lei» spiegò Giampiero. I confini erano stati definiti da antichi trattati che venivano rispettati come volontà divina. Per qualsiasi ratifica avvenuta nel tempo, non si era mai sparso sangue, giungendo a pacifici accordi; l'ultimo dei quali, in seguito a un dissidio tra Alghemo e Sovithu, aveva visto il marchese tra i suoi intermediari principali. «Raissa vuole solo conquistare tutto quello che non è suo, come già ha fatto con Ralini e Loavi. Melissa non ha alcun interesse nell'espansione ai danni dei regni limitrofi: se in futuro lei diventasse la regina, sarebbe un bene per tutti.»

Flora annuì, per l'ennesima volta. «Capisco. Quindi questo mercenario è il tramite tra te e Melissa?»

«Esattamente. Per questo devi fidarti, anche se per ora Raissa non sembra una gran minaccia, perché è ancora lontana da qui.»

«Lo diventerà» disse profetica Flora, puntando lo sguardo oltre le vetrate che affacciavano verso i giardini e che, fino a quel momento, aveva ignorato. Aveva capito quali fossero gli intenti della sua futura nemica: sovvertire la profezia, arrivare a lei prima di conquistare ogni luogo conosciuto e, solo dopo essersi sbarazzata dell'unico vero ostacolo, sottomettere tutti gli abitanti di Selenia. Era così grande la sua ambizione e la sua sete di potere, lo intuiva istintivamente. «Se dominare tutti noi è ciò che ha in testa, allora è già una minaccia. E neanche tanto piccola.»

Giampiero si sentì spiazzato nell'udire quelle parole, perché il tono in cui erano state pronunciate significava che la principessa non solo gli aveva creduto, ma che stava contestualmente riflettendo su come potersi opporre in maniera efficace alle irreversibili azioni di Raissa. Ciò che aveva da dire, però, non era ancora terminato. Interruppe i pensieri dell'altra, parlando di nuovo.

«Maestà... cioè, Flora.» Fu per lui uno sforzo immane non appellarla con nessun titolo bensì con il nome, ma la vide rivolgergli l'accenno di un sorriso benevolo. «Ti... ti verrà chiesto di fare qualcosa contro Raissa Autunno, prima o poi, di provare a fermarla, soprattutto quando la storia sulla profezia sarà conosciuta ai più. Certamente tu vuoi che venga fermata, come lo voglio io e come lo vogliono o vorranno tantissime altre persone... Ma, se la profezia parla davvero di te, allora sarà fondamentale non perderti, anche a costo di aspettare.»

Lei puntò il suo sguardo negli occhi scuri del marchesino. «Non perdermi? Cosa intendi?»

Lui esitò, tremando all'idea di un nefasto presentimento. «Nessuno vuole che tu muoia. Non devi e non puoi affrontarla, finché non sarai pronta.»

Flora comprese. Giampiero alludeva alla prima parte della profezia, quella relativa alle sue abilità magiche che, tuttavia, lei non credeva di avere. Aveva sempre pensato, quando ne aveva letto in qualche testo della biblioteca del castello, che la magia si manifestasse spontaneamente, quando una persona aveva le potenzialità per dominarla; viceversa, lei non aveva mai notato niente che le permettesse di credere di poter diventare la più potente maga mai esistita.

«Dovrò trovare qualcuno disposto a insegnarmi» mormorò. «Ammesso che questo qualcuno esista. Potrebbe essere scritto in qualche altra pagina su cui sono tramandate le profezie... in questo caso dovrei mettermene anche io alla ricerca.»

La principessa Primavera intuì che le cose stavano prendendo una piega del tutto inaspettata, che poteva sfruttare a suo favore. Non sarebbe andata nello Cmune insieme a Luciana, questo no, ma nella sua mente si stava già delineando un'alternativa molto più tangibile rispetto a una fuga senza meta.

«Credo di sì. Ma adesso dobbiamo occuparci di una cosa alla volta.» Giampiero, colpito dalla maturità con cui la figlia dei sovrani aveva accolto la notizia della profezia, si alzò in piedi. «Come arrivo dalla tua amica, Menta?»

La bocca rosea di Flora si piegò in un dolce sorriso, ma presto il suo volto tornò serio. E lui? Come lo avrebbe trascinato in tutto questo? Non poteva permettere che Raissa lo usasse contro di lei, perché se avesse scoperto del loro legame non avrebbe esitato a farne un'esca per attirarla. Si alzò dalla sedia, ma le gambe le tremarono, costringendola ad appoggiare i palmi delle mani sulla fredda superficie del tavolo.

Un indicibile terrore di fallire in tutto per un attimo si impossessò della giovane. La profezia su lei e Raissa, proteggere l'uomo che amava... Ora doveva difenderlo non solo dai suoi genitori, ma anche da una minaccia ben più grave e sapeva che l'insuccesso sarebbe equivalso alla sua perdita, per sempre.

Giampiero vide dall'espressione del volto il combattimento che si svolgeva nel suo animo tra il senso del dovere e di responsabilità, che non le lasciava fuga, e le agitazioni che sconvolgevano il suo cuore.

«Non preoccuparti. Raissa è ancora lontana e le difese dello Cmune la terranno occupata per diverso tempo.» Sapeva di mentire, perché le forze militari del regno confinante erano piuttosto esigue, ma era dell'opinione di dover affrontare un problema alla volta, partendo da quello più vicino in termini di tempo. Le rivolse perciò un timido sorriso, che lei, tuttavia, non vide: manteneva lo sguardo sul tavolo di cristallo, pensierosa.

«Flora, adesso dobbiamo pensare a domani» insisté Giampiero. «È più urgente.»

«Ho la tua parola che Raissa non è nel Defi?» mormorò lei con un filo di voce. Aveva bisogno di saperlo, per mantenere la calma e riuscire a ragionare con lucidità.

Il marchesino scosse la testa. «Da quanto so io, non ha più lasciato il Loavi da quando lo ha conquistato.»

La principessa si sentì sollevata: se lui non era uscito dal Defi, allora era al sicuro. Si sporse per sbirciare nel corridoio, assicurandosi che non ci fosse nessuno, poi condusse Giampiero fino alla sua camera, risalendo le immense scalinate che conducevano ai piani più alti.

Lui rimase sulla soglia, indeciso se fosse o meno una buona idea seguirla all'interno, ma Flora, con un gesto perentorio, lo invitò ad entrare e chiuse rapidamente la porta a chiave. La fanciulla sollevò le coperte che dal suo letto sfioravano il pavimento, sotto lo sguardo incuriosito dell'altro. Poi il giovane si abbassò e vide una scanalatura rettangolare sul pavimento, di cui si meravigliò: come aveva fatto Flora a rompere quel vetro e creare un sottopassaggio?

«Questa» spiegò lei frettolosa «è una botola che porta in una casa, alla periferia di Nilerusa... in realtà è quasi in campagna: riposa lì questa notte. Puoi stare tranquillo, ci vive la madre di Claudio, il mio finto spasimante. Quando si fa mattino, esci dalla casa e vai verso sinistra: un paio di isolati e ti troverai di fronte a una finestra al piano terra che ha sul davanzale un vaso di gerani blu. Bussa tre volte alla finestra, la troverai sicuramente chiusa, e ti verrà ad aprire una ragazza dai capelli rossi: dille che vieni da parte mia e...» Flora si alzò in fretta, si sedette alla vitrea scrivania e scrisse qualcosa su un pezzo di carta. «Mostrale questo. Ti farà entrare. Lì troverai Claudio, sicuramente conosci il suo aspetto, l'hai visto prima, e fatti dire da lui cosa è accaduto. Io aspetterò che tu ritorni nel nascondiglio, cioè, nella casa a cui porta la botola.»

Giampiero aveva seguito con grande attenzione, senza riuscire a vedere soddisfatta la sua curiosità. «Ma come hai fatto a costruire questo passaggio?»

Lei gli porse il biglietto che aveva scritto in fretta e rispose: «L'ho trovato quando ho scelto questa camera. Credo che sia opera di magia, perché al piano di sotto c'è la stanza in cui dorme una delle più fedeli donne di mia madre. E poi perché buona parte del percorso è orizzontale, invece di essere verticale come ci si aspetterebbe. Sono stati i folli architetti del castello, ma devo ringraziarli: è stato grazie a loro che ho incontrato Claudio. Adesso devo proprio chiederti di andare: devo cambiarmi per la cena.»

Il marchesino annuì, comprensivo, e si inginocchiò sotto il letto: si stupì di constatare come ci fosse sufficiente spazio per muoversi con agilità. Posò una mano sulla superficie della botola e questa si dissolse al suo tocco, lasciandolo a bocca aperta.

Si voltò verso Flora e le mormorò: «Questa è davvero magia.»

Lei annuì, con un sorriso. «Non so come ringraziarti.»

«Non dovete» disse lui, scrutando l'oscurità che si spalancava davanti ai suoi occhi.

«Devi scendere, si formerà una scala per un breve tratto» gli spiegò la principessa e lui seguì le sue indicazioni, iniziando a calarsi all'interno di quel misterioso cunicolo. Quando solo la testa rimase all'esterno, rivolse a Flora la sua ultima domanda.

«Adesso temi che Raissa possa aver fatto del male all'uomo che ami, vero?»

Lei annuì, arrossendo alla luce delle candele che, accese un'ora prima, si stavano consumando. «Per questo ho bisogno di sapere che lui sta bene, prima di andare via da qui.»

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