Quel mattino aveva portato con sé una pioggia leggera, che Danào aveva ben pensato di riversare sulla città per rendere omaggio alla regina che, si mormorò, doveva aver goduto dei suoi favori, nonostante il dio non l'avesse salvata dalla malattia. Il popolo, vestito a lutto con lunghi abiti scuri e copricapi neri, era radunato nella piazza principale di Firgusi. Qualcuno sollevava lo sguardo verso la bara atra della regina, su cui qualcuno aveva posato un drappo rosso e la sua collana con i zaffiri incastonati nelle rifiniture in argento.
Luciana stringeva, con la mano nella tasca, la fiala vuota che aveva consegnato la madre tra le braccia della morte mentre lei era in viaggio. Lo considerava il simbolo della sua rinascita, del nuovo lustro che avrebbe dato alla sua famiglia, del suo potere che si stava affermando giorno dopo giorno, anche agli occhi del padre e dell'odiata Contessa.
Il volto dell'anziana nobile era nascosto da un velo scuro, ma la giovane poteva sentire quegli occhi inquisitori su di sé, come se neanche in un momento di lutto lei cessasse di osservarla e giudicarla. E condannarla.
Un coro di fedeli di Danào intonò un canto lugubre, che permise alla principessa di estraniarsi senza badare alle parole in quella lingua antica che a tutti era incomprensibile, ma la cui sacralità era ben percepita. Il senso era conosciuto a tutti: si tramandava che fosse una richiesta al dio della giustizia di accogliere l'illustre defunto nella sua vita ultraterrena, che si svolgeva in un luogo diverso da quello. Alcuni credevano che i morti si radunassero lungo i fiumi sotterranei di alcune grotte del Lancobe, ma Luciana non dava alcun peso a quelle dicerie: per lei, al momento della morte, si cessava di esistere.
Le voci tacquero e alcuni uomini vestiti di nero caricarono il feretro scuro su un carro lasciato scoperto, su cui vennero posati dai popolani alcuni mazzi di fiori. L'ultimo saluto di Lavinia Lugupe alla sua gente, che forse non l'aveva mai amata davvero, ma era stata scossa dal modo in cui se ne era andata. Luciana li guardava accompagnare il carro dall'alto degli scalini del tempio di Danào, dove si era tenuta una prima cerimonia funebre per la sparuta famiglia reale e per alcuni nobili. Lei non avrebbe seguito la processione: preferiva rimanere per conto suo e camminare da sola tra le vie di quella cittadina in cui si sentiva straniera e sola al mondo.
Guardò suo padre incamminarsi dietro a tutti gli altri, insieme ai soldati della sua scorta: Ettore non usciva mai dal palazzo reale senza quei quattro o cinque uomini che lo proteggevano. Il re preferiva essere prudente. Luciana accennò un saluto nella sua direzione, poi scese dagli scalini del tempio e si allontanò dalla parte opposta, finché il suono dei passi di lutto e rispetto di tutto il resto del regno si affievolì.
Si nascose alle case ordinate in modo concentrico intorno all'antico tempio, comprendosi il viso con il cappuccio del mantello. Almeno per quella giornata, voleva cullare la sensazione di essere invisibile che aveva avuto mentre era insieme a Melissa Autunno per le strade concitate di Mitreluvui. Le sembrava trascorsa un'infinità di tempo. Aveva preso una drastica decisione da allora: voltare le spalle alla Primavera per accordarsi con la famiglia avversaria. Non sapeva cosa sarebbe accaduto nei mesi, né negli anni successivi, ma aveva intuito che era meglio rimanere ancorata sia a una possibile supremazia del Ruxuna, sia a un rovesciamento del destino a favore del Defi.
Nel frattempo avrebbe dimostrato a tutti di cosa era capace, incluse Alcina e Raissa.
Si fermò a guardare degli uccelli dal colore atro che si rincorrevano in volo, scagliati contro un cielo nuvoloso, quasi anche le divinità volessero rispettare la morte di una donna uccisa ingiustamente.
No, non è stato ingiusto. Lei non avrebbe più avuto la sua vita di prima.
Luciana si convinceva sempre più di non aver commesso un delitto, ma di aver risparmiato un destino tremendo alla madre. Non osava immaginare con quale aspetto si fosse presentata ai Lupfo-Evoco, né cosa avessero pensato i nobili di tutta Selenia al vedere la regina ridotta in quello stato.
Il silenzio regnava sovrano, tanto che la Lugupe non poté non accorgersi dei passi che provenivano da un vicolo alla sua sinistra. Immaginò che fosse qualche ragazzino scappato dalla noia del corteo funebre, forse di nascosto ai genitori.
Invece da quell'angolo sbucò la Contessa, che puntò i piedi nella sua direzione le si avvicinò. Luciana ringraziò il volto coperto che nascondeva la sua espressione scocciata.
Anche l'anziana donna era avvolta da uno scuro mantello da lutto, che rendeva il colore della sua pelle ancora più spettrale di quanto non facessero i suoi soliti abiti.
«Un modo tremendo per andarsene, non credi?» commentò la vetusta nobile quando ebbe raggiunto la nipote.
«Ogni morte lo è» rispose lei, senza trattenere una smorfia che l'altra non avrebbe visto. Riprese a camminare nella direzione opposta a quella in cui si era avviato il carro con il feretro. Sarebbe tornata al palazzo a piedi, pur di togliersi di torno quella serpe che doveva continuare a sopravvivere per puro dispetto.
La Contessa, tuttavia, la affiancò senza preoccuparsi affatto di quali fossero le sue intenzioni. Attorno a loro anche la città sembrava un sepolcro a cielo aperto, con un silenzio pesante, carico di parole pronunciate nel passato, di altre mai dette, ma nessuna delle due sembrava in sofferenza per il funerale che si avviava alla conclusione lontano da loro.
«Ogni matricidio lo è» corresse l'anziana.
Luciana si fermò, suscitando l'ilarità dell'odiata parente, che non trattenne le risa.
«Non c'è niente di divertente» sibilò la principessa. Quella risata era stridula, fastidiosa, come la Contessa era sempre stata da che lei ne avesse memoria. Che avesse scoperto il suo apparente delitto la metteva in pericolo.
Melissa non mi potrà impedire di sbarazzarmi anche di lei.
La donna si ricompose solo quando la nipote riprese a camminare da sola lasciandola indietro, perché si vide costretta a rincorrerla per non perderla tra le vie concentriche di Firgusi.
«Non lo dirò a Ettore» mormorò, come se cercasse di rassicurarla, ma Luciana non lo era affatto.
«Ti ucciderò, se lo farai» ribatté lei, con tono di sfida.
«Non devi uccidermi, ti posso essere utile» disse invece la Contessa. «Per quanto riprovevole sia stato il tuo gesto, non ti biasimo. Da un punto di vista strettamente politico, Lavinia era morta da un pezzo.»
Tacque, come se le si stringesse il cuore nel pronunciare quelle parole, come se per la nipote provasse l'affetto che non aveva riservato a nessun altro per tutta la sua vita.
Luciana non disse nulla per un po', fino a quando non furono fuori dalla capitale. Il silenzio riempiva l'aria anche nella strada lastricata che avevano imboccato le due nobili.
«Devo supporre che tu sia armata» constatò la più anziana.
«Non sono una sprovveduta.»
La Contessa sorrise. «Devo proprio ricredermi sul tuo conto. Sei riuscita a scappare indenne dal fuoco al palazzo di Mitreluvui, hai strappato un accordo con le Autunno che non ti impedirà di fingere di essere ancora alleata dei Primavera-Inverno, e hai avuto il sangue freddo di avvelenare la tua stessa madre.»
«Tu non sai niente del mio accordo con Melissa» rivendicò Luciana.
«Povera ragazza, tu credi che io non abbia nessun contatto al di fuori dello Dzsaco? Io e Ruggero ci scriviamo con regolarità già da un anno e abbiamo anche parlato delle nostre possibilità in futuro. Come pensi che sia stato possibile per te e Melissa entrare in contatto, se non grazie a me?»
All'udire quelle parole, il cuore della Lugupe saltò un battito. «Che cosa?» sillabò.
«Non credevi per caso che la vostra corrispondenza fosse iniziata per volere divino, no?» la derise la Contessa. «Quello che ci vuole qui è un cambio radicale, perché questo regno va avanti per puro miracolo e che nessuno si sia rivoltato all'inefficacia di qualsiasi misura presa dai tuoi genitori per arrestare la crescita di povertà è davvero... inspiegabile.»
«Inspiegabile» ripeté la nipote. «Ci sei tu dietro tutto quanto, allora.»
«Ma certo» annuì l'anziana. «Non posso di certo permettere che il mio sangue si estingua perché degli incapaci non riescono a controllare il proprio popolo.»
«Non devi permetterti di chiamarli così» disse Luciana, scostando il mantello affinché lei vedesse l'elsa dello spadino. Aveva ucciso una volta, non avrebbe esitato a farlo ancora.
«Non essere sciocca, ragazza. Non ti sarebbe di alcun aiuto liberarti di me» commentò la Contessa.
«Al contrario, sarebbe utilissimo» ribatté lei, fredda. «Non avrei più nessuno a punzecchiarmi, nessuno che mi giudica perché ho respirato con troppo rumore... O nessuno che si metta in mezzo alle mie alleanze.»
La donna sbuffò, trattenendo una risata. «Alleanze? Intanto senza di me saresti morta nell'incendio di Mitreluvui... ma se tu vuoi parlare di alleanze, sei libera di farlo.»
Luciana provò un brivido di fastidio a quelle parole. Osava forse dirle che le doveva la vita? No, non era grazie a quell'insopportabile e antiquato soprammobile se era ancora viva. E non aveva intenzione di permetterle di avere ancora potere su di lei.
«Penso che Raissa sarebbe d'accordo con l'idea di liberarci sia di te sia di Ruggero» commentò. «Così nessuno dei due sarebbe rilevante per le sorti di Selenia. Che ne pensi, provo a proporglielo?»
«Sei astuta, ragazza, ma non credo che basterà» ridacchiò la vecchia. Attorno alle due, il sole del meriggio splendeva alto verso meridione, e picchiava con i suoi raggi bollenti la strada che le nobili avevano avuto l'audacia di percorrere da sole. «Non puoi permetterti che muoia anche io... troppi funerali nel regno, qualcuno potrebbe insospettirsi, non credi?»
Fu solo un'allusione, ma a Luciana fu sufficiente per comprendere che la risposta datale da Melissa era stata concordata con Ruggero, e che il re di Ruxuna doveva averne informato la Contessa.
«Troppi funerali... mia madre stava male da tempo, tu potresti morire di vecchiaia. Sarebbe anche ora» sorrise nel pronunciare quell'ultima frase. Non mancava molto tempo e presto lei avrebbe avuto il potere che tanto desiderava, incluso quello di poter togliersi di torno quella donna e di rimanerne impunita.
«Te ne stai dimenticando uno. Hai in mente qualcosa anche per Ettore, se non sbaglio.»
«Se anche fosse? Credi che ne parlerei proprio con te?»
Un incerto soffio di vento passò tra le chiome degli alberi che accompagnavano il loro cammino.
La Contessa sorrise, respirando l'aria calda del tardo mattino. «Mia cara ragazza, rimarremo soltanto noi due, e non solo del ramo Lugupe. Noi e tua madre eravamo le ultime donne della nostra famiglia, e quella di tuo padre, oltre a essere morta nel Crisera durante l'epidemia di qualche anno fa, qui e ora non conterebbe proprio nulla.»
«Lo so benissimo, non c'è bisogno di ripetermelo» si spazientì Luciana. «Cos'è che vuoi?»
«Possiamo governare insieme» spiegò l'anziana nobile. «Almeno fino a quando l'età me lo renderà possibile... Ricorda che è grazie a me che qui non ci sono state rivolte.»
Grazie agli Autunno, piuttosto.
«Inoltre, penso che potresti trovare un marito all'altezza di guidare il regno, quindi mi farò da parte quando ti sposerai. L'unica cosa di cui mi importa è che la nostra famiglia non perda quello che ha impiegato tanto per avere: voglio che i tuoi figli, i figli dei tuoi figli e i loro discendenti possano reggere le redini di questo regno senza piegarsi a nessuno. Non sono contro le alleanze, ma dobbiamo essere noi a scegliere come agire, senza essere dei fantocci nelle mani di nessuno, né di Ruggero né della tua adorata Alcina.»
«Io non adoro proprio nessuno» borbottò Luciana, ma quel discorso l'aveva colpita in positivo. Se la donna pensava davvero quanto detto, poteva essere uno strumento utile per il futuro prossimo di lei e dello Dzsaco; se aveva mentito solo per salvarsi la pelle, avrebbe di sicuro trovato il modo per sbarazzarsi di lei.
«Dunque, accetti?» insistette la Contessa.
La principessa annuì. Aveva sempre la possibilità di trovare un marito adatto ed estromettere la donna dal governo dello Dzsaco. In ogni caso, quella proposta era molto vantaggiosa per lei e poco per quel fossile con cui sarebbe rientrata al palazzo. «D'accordo.»
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