20.3 I dubbi dell'Inverno


Il commerciante chinò il capo al cospetto della sovrana, non appena lei smise di parlare. Nei suoi occhi brillava una sincera devozione, anche se lei non lo aveva rassicurato su quello che sarebbe stato il futuro dei suoi affari. La fiducia del popolo nei confronti di Ariel non era comprensibile agli occhi di Erik: lui era certo che se nel Defi avessero soltanto suggerito di diminuire il traffico nei porti, tutti i commercianti del regno si sarebbero presentati a corte per illustrare le difficoltà che ne sarebbero derivate.

Invece i maresi avevano inviato solo un loro rappresentante, che aveva ascoltato con attenzione le ragioni per cui lei aveva preso quella misura.

Pongono la sicurezza prima dei loro guadagni, da noi non sarebbe pensabile.

Immaginò anche la figura di sua madre rivolgere occhiate gelide a chi avesse osato porre in dubbio le sue decisioni. Se anche lei avesse avuto dimestichezza con la magia, come si vociferava degli Autunno, non avrebbe esitato a usarla per punire quegli infidi e stolti popolani. Nessuno poteva contestare il suo potere, a eccezione di quei consiglieri a cui era concesso l'onore di poter discutere con lei; neanche loro, tuttavia, dovevano dimenticare che non erano nobili del suo lignaggio. A dispetto dell'opinione che alcuni cortigiani si erano fatti sul suo conto, lei non lasciava a nessuno un margine di scelta che non fosse quello che lei aveva in mente sin dall'inizio.

Il modo che stava sperimentando Ariel per gestire il suo regno era molto diverso e lo incuriosiva, perché sembrava funzionare. Erik si rendeva conto solo in quelle circostanze quanto il governo che i suoi genitori aveva su Defi, Inverno e Primavera fosse inefficace.

Noi non incutiamo lo stesso rispetto sincero, né la devozione che tutti provano per lei. I nostri sudditi ci rispettano perché sanno che devono temerci.

All'improvviso si accorse che l'aria allegra che si respirava per le vie di Nilerusa, Eldisu e Cusi nascondeva la paura che al minimo errore... al minimo errore cosa, di preciso? Lui non ricordava punizioni esemplari nei confronti dei loro popolani, né di chiunque altro, ma non poteva più ingannarsi nemmeno sulla vita dei cortigiani presso il castello di Defi: loro non erano utili a niente, se non a mantenere l'ordine all'interno del regno grazie ai loro possedimenti che avevano distribuito in usufrutto ai ceti inferiori e che si trovavano ancora in vita perché se i più poveri avessero avuto da ridire sulle misure di Alcina, lei avrebbe scaricato la colpa su di loro. Dunque, i nobili defici erano in debito con la loro regina e in dovere nei confronti del popolo. E temevano l'ascesa dei borghesi, che si ritagliavano spazi sempre più ampi nella società.

Gli venne in mente Franco, che apparteneva a quella classe sociale che avrebbe molto presto scansato l'aristocrazia. Lui era un giovane qualsiasi, ma che si era assunto il rischio di fare da scorta a Chiara Delle Foglie, anche se forse l'aveva fatto dietro compenso; questo, tuttavia, non toglieva che il defico sapesse duellare abilmente, né che avesse avuto la capacità, che a Erik sembrava impossibile, di entrare nel cuore di Flora, persino distogliendola dal matrimonio con Nicola, che fino a pochi giorni prima sarebbe stato fondamentale per salvarlo dalla condanna dei Lupfo-Evoco... e dalla morte.

«Maestà, ma se invierete dei soldati a Punta Salina, i viaggiatori potranno riferirlo nel continente e se tutti sapranno che sorvegliamo il porto, non verrà più nessuno, e i nostri traffici...» stava dicendo l'uomo, che si interruppe a un sorriso di Ariel.

«Non mi verrebbe mai in mente di lasciare dei soldati in armatura al porto. Saranno abbigliati come dei viandanti qualsiasi e avranno il compito di confondersi tra gli avventori. Li ho già preparati a questo, avevo riflettuto a riguardo prima di proporvelo.»

Il commerciante annuì, rincuorato dall'accortezza della sovrana. «Allora riferirò agli altri e spiegherò loro tutte le vostre ragioni e le vostre precauzioni.»

La Dal Mare chinò appena il capo, con quell'indelebile sorriso che la rendeva simile a una divinità mescolatasi agli umani. Erik trattenne uno sbuffo impaziente: si sentiva inadeguato, in quella situazione, a fare da sorvegliante a lei, che se la cavava benissimo da sola. Fece un piccolo cenno alla sovrana, poi lasciò la sala. Lì Ariel non correva alcun pericolo, perché lui aveva avuto l'accortezza di suggerire che due soldati fossero sempre insieme a lei quando le porte del palazzo venivano aperte per le udienze del popolo.

Camminò in un corridoio deserto allontanandosi a grandi passi fino a quando, poco dopo, venne richiamato da due voci che discutevano. Le riconobbe all'istante, perché erano quelle di Dante e di Iris e sapeva che tra i due aleggiava un po' di tensione, anche se con lui erano entrambi restii a farne cenno.

«Cosa ci fai qui, di preciso? Vuoi solo ingraziarti Ariel?» stava chiedendo Dante.

La porta da cui proveniva il loro litigio era accostata: a Erik fu sufficiente spingere appena, senza fare rumore. Forse neanche il suono dei suoi passi sul pavimento li aveva messi in allerta ma, quando i due lo videro, impallidirono entrambi, come se fossero stati colti sul luogo di un delitto. L'Inverno alternò lo sguardo dalla sarta al principe, che nel momento in cui lui aveva messo piede in quel piccolo salotto avevano cessato di proferire parola.

«Mi spiegate che cosa c'è che non va tra voi due?» domandò lentamente, quasi sillabando ogni parola.

«Non capisco che ci stia facendo lei qui!» esclamò Dante, allargando le braccia, quasi gli sembrasse assurdo che Erik non comprendesse. «Essere una brava sarta non significa essere degna di stare a palazzo, né di essere consigliera di Ariel!»

«Tu come fai a sapere che non ne sia degna? Non sono qui per un motivo nascosto, è chiaro che...» tentò di ribattere lei, che però guardò il principe di Defi e non proseguì all'espressione imbarazzata che colse sul suo viso.

«Certo che è chiaro!» sputò fuori il Dal Mare. «Vuoi solo approfittarti della gentilezza di mia sorella e di Erik! Ma io non sono stupido e non mi lascio incantare da te!»

Iris scoppiò in una fragorosa risata. «Incantare? Che razza di idea hai di me?»

«Vuoi davvero sapere cosa penso di te? Potrebbe non piacerti» scherzò Dante, con finta allegria. La vena sul suo collo pulsava e chiunque si sarebbe accorto che la sua rabbia sarebbe esplosa ben presto.

«Sentiamo, dai!»

«Non è strano che tu sia stata qui per puro caso quando tutta la corte, inclusi i miei genitori, cioè i tuoi sovrani, è stata sterminata? Anzi, che Erik e Ariel si siano salvati proprio perché erano insieme a te?»

Il viso della sarta avvampò improvvisamente, tingendosi di un rosso imbarazzo. «Che cosa stai insinuando?»

«Che tu non sia innocente per quanto è successo» sentenziò Dante, buttando fuori un profondo respiro, come se esprimere ad alta voce le sue ipotesi lo avesse alleggerito di un grosso peso.»

«Come potrei essere stata io? Ero con loro, lontano da qui! E non venivo al palazzo da alcuni giorni!»

Erik li ascoltava discutere e ribattere immobile, incapace di fare nulla, persino di pensare. Le parole del principe Dal Mare lo colpivano come uno schiaffo in pieno volto, e se ne sentiva stordito. La difesa della sua Iris era sincera: lei come avrebbe potuto sapere che lui e Ariel l'avrebbero cercata proprio quel mattino, e che poi avrebbero trascorso insieme la giornata?

«Con un complice» spiegò il Dal Mare. «Tu dovevi attirare loro lontano da qui, mentre qualcun altro...»

«Se è questo che pensi, sarà meglio che io me ne vada da qui» sibilò la popolana. In un istante fu fuori dalla sala, e il suono dei suoi passi sul pavimento rimbombò ancora per un po', prima che Dante si rivolgesse a Erik.

«Tu le credi, vero? Sei proprio un idiota...»

L'Inverno non replicò, ma decise di seguire Iris. Doveva sapere, non poteva permettere che il dubbio si insinuasse nella sua mente e che non si fidasse più di lei.

Non dopo averle chiesto di sposarmi.

Quasi iniziò a correre nel corridoio per arrivare alla camera della sua amata. Non riusciva a pensare, la mente gli si era annebbiata, offuscata dalla paura che Dante avesse ragione. Lui non voleva che fosse così, non voleva credere di essere stato ingannato, non voleva che la bellezza di lei fosse stata solo una scusa per consegnarlo a un burattinaio sconosciuto.

Si fermò dietro la porta di Iris a riprendere fiato. La spinse con impazienza, sebbene lui volesse cercare di nascondere ogni suo turbamento interiore; anche se gli risultava piuttosto difficile.

Quando entrò, vide il letto della sarta coperto degli abiti che lei utilizzava lì al palazzo, e la popolana che li ripiegava con cura prima di metterli in una sacca da viaggio, che aveva utilizzato per portare lì i suoi pochi averi.

«Cosa stai facendo?» Le parole scivolarono dalla bocca di Erik prima che lui potesse formulare un solo pensiero.

«Secondo te? Non ho intenzione di rimanere qui a lasciarmi insultare» ribatté lei secca.

«Iris...» Lui si avvicinò e bloccò i suoi polsi, ritrovandosi viso a viso con la sua amata. «Ci sono troppe coincidenze. Io non credo che tu possa essere in nessun modo coinvolta in quello che è successo qui... Ma se io e Ariel non fossimo stati con te, anche noi saremmo morti insieme a tutti gli altri. E io non posso non pensare che se non avessimo tardato di quei pochi minuti, anche noi...»

Deglutì, con gli occhi fissi in quelli smeraldini di Iris.

«Immaginavo che mi avresti cercato» mormorò lei, infilando un altro abito nella sacca da viaggio. Si sfilò le stoffe eleganti che la avvolgevano e indossò il suo vestito semplice che utilizzava per andare in sartoria, sotto lo sguardo di lui.

Erik dovette fare uno sforzo sovrumano per non avvicinarsi alla giovane e per non stringerla a sé in un nuovo e caldo abbraccio perché, nonostante i suoi timori confusi, il fascino di lei lo avvinghiava e gli toglieva qualsiasi capacità di decisione.

«Perché allora non sei tornata a palazzo, con una scusa qualsiasi?» le domandò.

Iris sciolse i suoi capelli dorati e lo guardò. «Non potevo permetterti di avvicinarti a me. Sono solo una sarta, ha ragione il principe, non dovrei stare qui. Devo tornare al mio posto.»

«Ora le cose sono cambiate» disse Erik. «Noi due... se sarà necessario, farò di tutto per te.»

«Ho già detto che sono disposta ad aspettarti» gli ricordò lei, legando i suoi capelli con un nastro di stoffa scura. Fermò il nodo dietro la nuca e poi si avvicinò all'Inverno, fermandosi proprio di fronte a lui. «Non voglio che qualcuno pensi che con te ho un secondo fine, perché non è vero. Mi hai affascinata sin da subito e... Non credevo che quella notte per te avesse un altro significato. Tu... insomma, Erik, tu sei destinato a diventare un re, e io non so neanche chi fossero i miei genitori. Mi hanno allevata e cresciuta i sacerdoti e le sacerdotesse di Vudeli e a me sembra di aver già trovato il mio posto su Selenia lavorando alla sartoria. Quando mi hai chiesto se ero disposta a sposarti, anche a costo di aspettare per chissà quanto tempo, ho cercato di farti cambiare idea... Perché temevo proprio che qualcuno avrebbe pensato a un secondo fine, che non c'è, posso giurartelo sulla mia stessa vita. E se tu non vuoi credermi...»

«Io ti ho amata dal primo momento» disse lui, interrompendola. «E so che per te è lo stesso, non ho bisogno che me lo ricordi. Ma proprio per questo devo sapere se in qualche modo sei coinvolta. Non credo che Dante abbia ragione, ma io... Davvero, Iris, devo chiedertelo.»

Lei non aveva più scostato lo sguardo da quello tagliente dell'Inverno. «Chiedimi.»

«Tu non sei coinvolta nella morte della corte Dal Mare, inclusi il re e la regina?» domandò Erik, d'un fiato, come se gli mancasse il coraggio e si sforzasse di far uscire le parole una volta sola.

La sarta lasciò un bacio veloce sulle labbra del principe, e rispose: «No.»

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