15.1 L'ospitalità di Vudeli
Davanti alla tavola imbandita solo per gli ospiti, il sacerdote che li aveva accolti fece loro segno di accomodarsi. Claudio fu il primo ad avanzare e a prendere posto, incurante dello sguardo vigile di Arturo, che scrutava ogni frugale pietanza come se si aspettasse che prendesse vita.
«Non voglio avvelenarvi» disse il sacerdote. «Se il passaggio vi ha portato qui, significa che siete in fuga e che avete bisogno di riposo e ristoro, cose che potrete sempre trovare nel nostro tempio.»
Flora sorrise. «Non ho mai conosciuto il culto di Vudeli. Siete davvero così ospitali come si racconta.»
«Il regno del Mare è tutto così» rise Stella. «Arturo, puoi smetterla di preoccuparti, in quei pomodori ci sono solo delle spezie!»
«Origano e basilico» annuì il sacerdote. «Li coltiviamo qui. Mi siedo anche io e mangio insieme a voi, così il vostro amico non sarà preoccupato.»
«Non siamo amici» precisò la Primavera. «Non proprio, direi. Siamo solo compagni di viaggio in cerca della stessa cosa.»
Claudio si servì con generosità dell'insalata di pomodori, che emanava un profumo delizioso, simile a quello che sentiva a casa quando la preparava sua madre. Dopo aver riempito il suo piatto di terracotta, si alzò in piedi e si mise a elargirne prima a Stella, che lo ringraziò con un sorriso silenzioso ma sincero, poi a Flora che invece era concentrata sul sacerdote, come se desiderasse parlargli ma non trovasse le parole giuste per farlo.
«Non ho bisogno del cameriere» disse invece Arturo non appena Claudio si avvicinò a lui. Afferrò una casseruola dove era cotta della verdura che il contadino di Nilerusa non avrebbe mai mangiato.
«Sono broccoli» commentò con una smorfia disgustata. «Come fanno a piacerti?»
Il mercenario non risposte. Non avrebbe saputo spiegare che i broccoli preparati in quel modo gli rievocavano un ricordo lontanissimo nel tempo, con quell'odore amaro che poi nel resto della sua vita aveva sempre cercato, molto spesso invano. Credeva che si trattasse di uno dei suoi pochi rimasugli dell'infanzia che non si erano cancellati negli anni. Aveva dimenticato molto, entrando nel gruppo di mercenari quando camminava a malapena. Suo padre lo aveva portato con sé, inseguendo chissà quale avventura; di quello che si erano lasciati alle spalle era rimasto solo il profumo particolare dei broccoli cotti.
«Tanto male non potranno essere, anche se non hanno un grande aspetto» commentò Stella.
«Avete parlato di un passaggio... potreste dirci di più?» domandò Flora, riuscendo solo in quel momento a porre una delle domande che le si erano affacciate alla mente, messa a suo agio dalle chiacchiere dei compagni di viaggio.
«Sì, ma mangiate qualcosa, ci piace offrire il cibo ai viandanti» le rispose l'uomo, indicando la tavola con un ampio cenno del braccio.
«Vorrei delle spiegazioni» disse invece lei.
«E io sono qui per darvene, ma a stomaco pieno.»
Arturo sorrise, sperando che nessuno lo scorgesse: Flora messa in difficoltà con quella sicurezza placida era uno spettacolo divertente. Claudio, dal canto suo, scoppiò a ridere.
«E dai, non è mica avvelenato! Sai quanto veleno ci vorrebbe per avvelenare tutto?»
«Mangerò anche io, così potete essere sicuri» si decise il sacerdote e si alzò per prendere un piatto pulito e si servì di tutte le semplici pietanze. «Sono il frutto della nostra terra» spiegò. «Avvelenarle sarebbe offendere Vudeli.»
«Avvelenare il cibo è uno spreco» disse Claudio a bocca piena, suscitando una risata mal trattenuta di Stella.
Solo quando anche l'uomo si fu seduto al tavolo con il piatto pieno ed ebbe iniziato a mangiare, Flora toccò il cibo che aveva davanti a sé, rincuorata che ci fossero coltello e forchetta: detestava mangiare con le mani. Mandato giù il primo boccone, si rivolse di nuovo al sacerdote.
«Come siamo arrivati sin qui?»
«Vedete, siete stati portati da un passaggio magico che unisce i vari templi del Pecama. Si entra da una parte e non si sa dove si sbuca, ma sempre all'interno dell'isola, e sempre in prossimità di un tempio; e non capita due volte di seguito nello stesso luogo» si fermò per bere un sorso d'acqua.
Arturo scambiò una silenziosa occhiata con Claudio: il ragazzo fedele alla Luna li aveva messi in salvo, anche con il rischio di farli sbucare nel regno dell'Autunno; l'importante era che né Vittorio né Tancredi li avrebbero trovati. Forse sarebbero dovuti essergli grati, ma il rischio corso era davvero grande.
«Ci sono dei sotterranei magici che collegano il Pecama?» chiese Stella.
Quello annuì. «Sì, anche se non vengono usati molto spesso. Non è la prima volta che qualcuno sbuchi qui da noi... ma voi non sembrate così sconvolti come gli altri. Anche se la situazione è strana, non vi crea lo spaesamento a cui sono abituato ad assistere.»
«Ormai c'è davvero poco in grado di sconvolgerci» commentò Arturo svuotando in piatto. «Non è la cosa più strana che abbiamo visto.»
Claudio fece un cenno di assenso con il capo, gli occhi fissati sul vuoto. Lui era ormai abituato a quelle percezioni strane, a quella voce che gli parlava, a cui si erano aggiunti quel libro che bruciava e non bruciava allo stesso tempo, un passaggio segreto che univa posti lontani e un sacerdote che ammetteva di essere un Veggente: aveva ragione Arturo, ormai erano poche le cose che lo avrebbero stupito. E lui era uno che amava meravigliarsi delle novità.
«Come funziona?» domandò ancora l'Estate.
Il sacerdote bevve un bicchiere d'acqua e le rispose. «Non ne siamo ancora certi, ma forse è collegato alle proprietà di alcune pietre magiche. Non so se le avete notate nel tragitto, ma vi sono incastonati topazi e ametiste... Ovviamente non sono topazi e ametiste qualsiasi, li abbiamo paragonati ad altri all'apparenza identici.»
«Sì, ma erano coperti dalla pietra» ammise Arturo, lasciando le posate sul piatto vuoto. «Erano diventati quasi invisibili: se non mi fossi accorto di qualcosa di strano nel muro, non li avrei mai visti.»
«Io infatti non li ho visti» disse Claudio. Come aveva potuto non rendersi conto di un dettaglio tanto importante?
«Perché quelle pietre tendono a scomparire e a lasciarsi ricoprire se trovano un materiale in cui nascondersi. Hanno delle proprietà magiche che permettono loro di mettersi al riparo da sole, in modo da non venire trovate, oltre alle loro proprietà ben precise che vi hanno condotti sin qui» spiegò l'uomo dagli occhi di ambra.
«Quindi oltre a delle capacità uniche, hanno anche della magia che permette loro di nascondersi?» chiese il mercenario, per assicurarsi di aver compreso. Appena il sacerdote annuì, aggiunse: «Di quali proprietà si tratta?»
«A farvela breve, una delle due altera il tempo, e l'altra lo spazio. Alcuni vecchi libri di alchimia ne parlano, ci sono anche dei tentativi di sciogliere le pietre e farne composti più complessi per combinarne i poteri, ma si sono rivelati tutti dei fallimenti.»
Claudio rivolse uno sguardo perplesso in direzione di Arturo, che tuttavia era assorto in qualche riflessione, sicuramente suscitata dalle parole dell'uomo che li aveva accolti.
«Quindi è alchimia...» mormorò Stella. «So qualcosa al riguardo, ma che io sappia è una pratica che non si usa più da secoli.»
«Le fonti ufficiali dicono così, ma la verità è che gli alchimisti hanno continuato il loro operato in grande segreto. Alcuni di loro erano, o sono, figure importanti di Selenia» spiegò ancora il sacerdote, con la sua voce placida e rasserenante, lo sguardo gentile di un maestro che difende gli scolari indisciplinati dai genitori. «Ora che la magia sembra essere tornata su Selenia, noi dobbiamo usare i nostri mezzi per difenderci da chi la usa.»
«Non ho capito, i maghi sono contro gli alchimisti?» chiese Claudio, confuso, dopo aver finito anche lui di mangiare. «E voi siete un alchimista?»
«Sì e sì. Ci è giunta voce che Raissa Autunno ha imparato a padroneggiare la magia, e noi... noi dobbiamo difenderci.»
«Raissa potrebbe avere in mente di utilizzare sia magia sia alchimia a proprio vantaggio» commentò invece Arturo. «La vostra è una preoccupazione sbagliata: non dovete temere che voglia distruggervi, ma che voglia rubare i vostri segreti per scopi ben peggiori.»
«Sembri saperne molto, per non aver mai lavorato per lei» lo punzecchiò Flora.
Il mercenario alzò gli occhi, quasi chiedendo a tutte le divinità di Selenia di liberarlo dalla sua fastidiosa presenza.
«Avete detto che gli alchimisti sono persone importanti» riprese Stella, ignorando il velato battibecco tra i due. «Non solo che lo erano in passato, ma che lo sono tutt'ora. Dobbiamo sapere chi ha conoscenze di questo tipo, può esserci di aiuto se la situazione con gli Autunno dovesse precipitare.»
«Voi siete molto intelligente» le sorrise il sacerdote. «Il senso delle mie parole era proprio quello. Purtroppo io so solo che re Amintore era uno di noi alchimisti. E lui mi ha garantito di non essere l'unico sovrano che si interessava di alchimia.»
«Amintore Dal Mare? Perché era?»
Quello si rabbuiò e abbassò lo sguardo. «Voi... voi non sapete cosa è accaduto?»
Guardando le espressioni sbigottite dei suoi ospiti, convenne che erano all'oscuro degli ultimi avvenimenti forse non solo nel Pecama, ma proprio su Selenia. Con pazienza raccontò loro della morte dei sovrani Dal Mare e dell'incoronazione della giovane Ariel, spiegando che era stato un caso fortuito che lei ed Erik Inverno, ospite in quei giorni, si fossero salvati.
Flora ascoltava stordita: la notizia dei Dal Mare uccisi nella sua testa si andava a sommare a quella di Guglielmo Lotnevi e per lei il significato di entrambi i regicidi era uno solo.
«Raissa sta diventando più potente, se riesce a fare in modo che i re muoiano mentre lei non c'è. Vuol dire che ha a disposizione degli assassini abili nel non farsi trovare, oppure che con la magia è in grado di uccidere a distanza» sentenziò a bassa voce, quando il resoconto del sacerdote fu terminato.
L'uomo dallo sguardo gentile non commentò quelle parole, segno che aveva riconosciuto l'estrazione illustre delle due giovani, ma che non era nelle sue intenzioni domandare alle nobili il motivo della loro presenza lì.
«Se esistesse un incantesimo per uccidere a distanza, tu saresti già morta» ribatté Arturo. «Per me è più probabile che abbia molte persone che lavorano per lei. E purtroppo hai ragione, devono essere molto discreti per agire di nascosto.»
La Primavera lo scrutò assorta. Non sapeva cosa la colpiva di più, se il fatto che le avesse dato ragione o la prospettiva di doversi guardare le spalle perché Raissa arrivava ovunque. Avrebbe dovuto essere guardinga anche con lui? Una parte di sé le suggeriva di sì, perché la prudenza non era mai abbastanza – ed era lo stesso Arturo a ribadirlo di frequente; un'altra parte di sé, quella che le permetteva di avvicinarsi ai pensieri di chi aveva intorno, le insinuava nella mente la possibilità che lui fosse sincero e che non avesse davvero a che fare con l'Autunno. Flora era combattuta tra le due diverse prese di posizione: voleva fidarsi e allo stesso tempo non voleva.
«Amintore e Silvia non ci sono più...» mormorò Stella. «Ariel è diventata regina... e Dante?»
«Lui era a nord, aveva risposto alla convocazione dei Lupfo-Evoco» spiegò il sacerdote. «Purtroppo neanche da lì giungono buone notizie...»
Incalzato dalle domande, si vide costretto a raccontare anche della corrispondenza che intratteneva con i sacerdoti nel Vorrìtrico e che quelli dello Cmune lo avevano subito informato della condanna del principe Lotnevi.
«Non posso crederci...» sussurrò Flora, abbassando lo sguardo. «Aveva ragione Luciana, sarei dovuta andare con lei a Mitreluvui. Ma io non credevo che qualcuno avrebbe osato accusare Nicola di regicidio. È colpa mia...»
«Tu non avresti potuto fare molto» ribatté secco Arturo. «Se c'è di mezzo Raissa, e io sono sicuro che lo è, per te sarebbe stato peggio trovarti lì con lui. E tu hai altro da fare, qui.»
«Ha ragione, noi stiamo cercando...» iniziò a dire Claudio, mordendosi la lingua prima di lasciarsi sfuggire troppo. Doveva imparare quella prudenza che il mercenario raccomandava in ogni momento e, anche se in quel tempio potevano ritenersi al sicuro, iniziare a esercitare la cautela poteva essere utile per il futuro. «Insomma, dobbiamo essere qui!»
Stella lo guardò, ammirata: sembrava che tenesse molto alla sua amica e il loro legame di affetto andava al di là delle differenze che li distinguevano. Le maniere genuine del defico le piacevano e le avevano suscitato una simpatia immediata, sin da quel giorno a Castelscoglio, quando lui si era presentato lì insieme a quella sacerdotessa del Sole.
«Possiamo avere un posto dove riposare?» domandò l'Estate con garbo. «Dovremmo riprendere il viaggio a breve...»
«Ma certo» le rispose gentile il sacerdote. «Venite, vi conduco nella zona del tempio in cui accogliamo i viaggiatori.»
Si alzarono da tavola e seguirono l'uomo attraverso una serie di corridoi ampi, in cui la luce del sole calante filtrava da finestre poste in alto, con vetri di diversi colori composti a mosaico per ritrarre immagini marine.
«Questo regno è un po' diverso dagli altri» sussurrò Stella all'indirizzo di Claudio, che aveva lo sguardo all'insù come un bambino dalla curiosità insaziabile.
«Me ne sono accorto» commentò lui con un sorriso.
Pochi minuti dopo, il sacerdote si fermò, indicando ai giovani quattro porte spalancate. «In due camere ci sono già le lenzuola messe ai letti, nelle altre due ve le farò portare tra poco. Intanto potete già accomodarvi e due di voi possono già riposare.»
Si accomiatò con un inchino, prima di incamminarsi lungo il corridoio da cui provenivano. Gli ospiti al tempio discussero per alcuni minuti, prima di decidere che in una delle stanze pronte avrebbe riposato Flora e nell'altra Arturo, con Stella che aveva convinto il mercenario solo dopo aver ripetuto più e più volte che lui aveva bisogno di dormire più di quanto ne avesse lei. Dunque i due si coricarono, mentre l'Estate rimase da sola insieme al contadino defico.
«Volevo leggere qualche profezia» sussurrò lui. «Secondo te si offendono se lo faccio da solo?»
«Perché dovresti farlo da solo?» chiese lei, in un bisbiglio. Non capiva perché lui avesse abbassato la voce, ma non aveva intenzione di metterlo in difficoltà alzando la sua.
«Pensi che se ci mettiamo insieme possiamo interpretarne almeno una?» ipotizzò Claudio.
La principessa annuì, scostando una ciocca di capelli chiari dal viso.
«Allora... allora mettiamoci qui» disse lui, accennando a una delle camere vuote. Rimase stordito quando, entrando, vide che lo spazio era angusto e occupato quasi per intero da un letto. Esitò, pensando che non fosse consono che lui e Stella vi si sedessero per leggere, ma il pavimento di pietra non era un'alternativa invitante.
Lei prese posto con disinvoltura sul materasso spoglio, indicando all'altro di raggiungerla. Claudio prima frugò nella sua bisaccia e ne estrasse il libro delle profezie, poi posò la sacca di stoffa sul pavimento e si avvicinò alla nobile che lo guardava, bramosa anch'ella di saperne di più.
Lui aprì il manoscritto a una pagina qualsiasi e lesse.
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