14.2 Nascosti tra le querce


Il sole ardeva alto, quando Susanna si concesse il primo momento di pausa della sua giornata lavorativa. I clienti, almeno durante quella mattinata, erano stati facili da accontentare: aveva solo dovuto servire tè fresco e caffè con latte; più di qualcuno aveva domandato una fetta delle torte di mele che sua madre preparava per il risveglio dei viandanti, e la cui fragranza zuccherosa permeava l'aria sin dai primi bagliori dell'aurora.

Uscì dalla locanda e respirò un po' di aria nuova, non contaminata dal fiato dei viaggiatori, con il profumo del bosco limitrofo a riempirle l'animo, a cancellare i pensieri che con il lavoro tentava inutilmente di scacciare. Andò a ripararsi sotto la quercia più vicina, sedendosi su una delle radici ombreggiate, in modo da poter spiare non vista la via pavimentata che collegava la locanda e il vicino confine con Defi, Pogudfo e Dzsaco direttamente alla capitale di Cmune.

Guardò nella direzione in cui sapeva che la strada si diramava, e sospirò. Erik era passato da lì molti giorni prima, per poi sparire. Sapeva che il principe era impegnato, che il suo ruolo lo teneva lontano, ma lei aveva il sentore che se gli fosse capitato di tornare a Mitreluvui, avrebbe certamente evitato di sostare alla locanda dei suoi genitori.

Quell'ultima sera, quell'addio pesavano come un macigno nel suo cuore, errore di cui non si sarebbe mai liberata. Il vento scompigliò le foglie delle querce, passando attraverso i capelli sciolti della giovane locandiera, con una melodia che la univa alla natura, protagonista di un quadro da casa borghese.

Fu così che la vide Nicola avvicinandosi alla locanda a cui Altea aveva vagamente accennato. Quella popolana con il grembiule variopinto, gli occhi sognanti verso un orizzonte che gli sfuggiva, la schiena dritta sebbene chinata in avanti, quasi non fosse abituata a un portamento rilassato, le dita affusolate piegate sotto il mento, la chioma castana cosparsa al passaggio della brezza mattutina. La figura principale che ogni artista avrebbe dovuto ritrarre.

«Susi!» esclamò Altea.

A quelle parole la ragazza si distolse dai suoi pensieri, ma quando incontrò lo sguardo della cameriera della regina, si rabbuiò. Si alzò svogliata dal ramo di quercia e raggiunse i due nuovi arrivati.

«Non pensavo che ti avrei rivista qui» commentò. E la sua voce parve a Nicola il suono più gradevole di Selenia, più delle note del flauto che a stento aveva imparato a suonare da bambino.

«Neanche io» ammise Altea. «Se non fosse davvero importante, non sarei tornata.»

«A cosa devo l'onore?» domandò sarcastica Susanna, guardando la figura incappucciata che se ne stava in disparte. «Mamma e papà pensavano di averti trovato una sistemazione a vita... e tu ritorni qui?»

«Non sono tornata per restare, ma è...»

«Un momento» intervenne la figura, avvicinandosi. Nicola si scoprì il volto e il suo sguardo oscillò tra quello delle due. Qualcosa di simile c'era, in effetti, nell'ovale del viso e nella bocca carnosa e aggraziata. «Altea, è tua sorella?»

Lei annuì, abbassando il capo. «Perdonatemi se...»

«Perché dovrei perdonarti? Non hai fatto nulla di male» le sorrise il principe di Cmune, con sincerità. «Non c'è nulla da perdonare.»

La cameriera sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi azzurri e sinceri del Lotnevi; non disse nulla, ma sperò che lui comprese quanto gli fosse riconoscente.

«E il tuo amico chi è?» chiese Susanna, che aveva seguito con una curiosità annoiata lo scambio di parole. Quello che riguardava la vita della sorella maggiore era lontano, apparteneva a un mondo che lei aveva deciso con tanta fatica di lasciare intoccato dopo aver riflettuto a lungo dopo l'ultimo incontro con Erik Inverno.

«Non sono suo amico. Io...»

«No, non potete dirlo» lo interruppe Altea, con apprensione. Non poteva permettere che qualcuno scoprisse che lui era scampato all'incendio.

«A lei sì, invece. Sei stata tu a dire che potevamo fidarci, giusto? E se non diciamo tutta la verità, non avrebbe il diritto di crederci» stabilì Nicola, recuperando la fermezza che aveva avuto solo saltuariamente durante i suoi ultimi giorni a Mitreluvui.

La cameriera annuì. «Ma soltanto a lei.»

«Vorreste spiegarvi?» domandò invece Susanna, infastidita. «Devo rientrare non ho tutto il giorno per le chiacchiere.»

«Neanche per il principe di Cmune?» sorrise lui, gentile. «Io e Altea siamo fuggiti a un fuoco che ha divorato il palazzo reale. Qualcuno voleva uccidermi, mentre io invece sono sopravvissuto, dunque devo nascondermi.»

La locandiera sospirò, abbassando lo sguardo. Erano tante informazioni in un solo colpo, tutte insieme da assimilare e da accogliere nella mente.

«Abbiamo bisogno di un posto dove stare» aggiunse la cameriera, con un'espressione supplicante in volto. «Per questo sono tornata qui.»

Nicola vedeva nel volto della giovane davanti a lui turbamento e confusione per la sua presenza lì e si allontanò di qualche passo, lasciando le due sorelle a confrontarsi senza le sue orecchie indiscrete a sorvegliare. In quanto futuro re aveva il diritto non solo di ascoltare, ma addirittura di pretendere un rifugio nella locanda, seppur nella tenue speranza che non vi transitasse nessuno di sua conoscenza; tuttavia comprendeva la tensione che aleggiava tra le due e pensò che, alla luce della situazione attuale, estremamente delicata, doveva mettere da parte qualsiasi comportamento sarebbe stato consono in passato.

Si sedette sulla radice su cui aveva visto la locandiera e da quella posizione osservò la luce del giorno, come sfiorasse le foglie degli alberi, i tronchi e i sottili fili d'erba. A sua madre quel crocevia quasi al confine sarebbe piaciuto: i crocicchi avevano un che di suggestivo, suscitavano in lui una sensazione che la regina aveva alimentato nel suo animo sin da bambino.

"Un incrocio" aveva detto "è solo la possibilità di poter scegliere. E dalle nostre scelte noi stessi capiamo chi siamo."

Sua madre... Nicola si portò le mani al viso. Sua madre non c'era più e non esisteva neanche un corpo da piangere, non un segno nel cimitero fuori Mitreluvui in cui recarsi con un mazzo di tulipani blu, il simbolo dei Lotnevi di cui lei era innamorata. Sembrava che non fossero mai abbastanza, quei fiori erano ovunque nei giardini della residenza estiva, che avrebbero raggiunto solo dopo aver assestato il regno, dopo la sua incoronazione... un miraggio, vagheggiamento di un futuro che non avrebbe mai avuto luogo.

Lasciando Mitre, aveva sancito la sua colpevolezza agli occhi dei Lupfo-Evoco: era certo che Donna Clara non sarebbe stata indulgente con lui, se un giorno fosse tornato indietro. Non sapeva cosa gli avrebbe riservato il futuro, l'unica cosa su cui non aveva dubbi era che, almeno per il momento, doveva lasciare il regno e sperare che le difese organizzate tanto rapidamente con i capi militari reggessero l'urto contro un'eventuale invasione da nord.

In realtà lui era certo che Raissa non avrebbe più tergiversato e si sarebbe scagliata subito contro lo Cmune: lei non attendeva altro che la confusione nel reame per poterlo conquistare. Ma confidava nello spirito di abnegazione del suo popolo che, nonostante la perdita dei sovrani, avrebbe potuto risollevarsi e contrastare la minaccia, ognuno facendo del proprio meglio per essere di supporto all'esercito esiguo, anche combattendo con armi di fortuna. L'unica cosa che conosceva con certezza era la devozione degli cmunici per la famiglia reale, come anche il capitano delle guardie gli aveva confidato in passato. Il popolo si rivedeva nei Lotnevi, guardava a loro come una saggia guida, quella guida che Guglielmo e suo padre Arnaldo prima di lui avevano saputo essere.

Nicola sospirò, spaesato, guardando le due sorelle che continuavano a parlare. E lui? Sarebbe stato un punto di riferimento? Sarebbe stato un buon sovrano? Al momento era solo un re fuggiasco, che scappava dalla sua stessa terra verso altre ignote: non aveva idea di cosa il destino avesse in mente per lui.

«Maestà» lo richiamò Altea, riscuotendolo dai suoi pensieri.

«Non chiamarmi così» disse, con malinconia. «Non sono il re.»

«Ehm...» si inserì la sorella. «D'accordo... principe Nicola. Credo che voi possiate rimanere qui, per un paio di giorni. L'unico luogo in cui credo che voi possiate andare senza trovare guai sia il Pogudfo.»

Susanna si interruppe e si pizzicò nervosamente il braccio nudo, la pelle candida martoriata dai segni delle unghie, perché neanche durante la conversazione con Altea era stata in grado di controllare quel maledetto impulso. Poi la giovane si morse la lingua, temendo che la sua proposta risultasse sgradita al Lotnevi, che aveva distolto lo sguardo, posandolo sugli steli d'erba che crescevano vicino alla quercia.

«Pogudfo...» mormorò lui. «Credi che con gli anarchici si possa stare tranquilli?»

Lei sospirò. «Potrete non credermi, ma conosco diverse persone del Pogudfo... e non mi sembrano assassini, molestatori o cattive persone in generale.»

Nicola annuì. Nonostante le sue parole, non pensava davvero che andare lì fosse una pessima idea; il suo unico contatto reale con il Pogudfo consisteva in Giampiero Tirfusama, che solo il giorno prima gli aveva giurato la sua lealtà. Il marchese gli sembrava degno della sua fiducia e il modo in cui gli aveva parlato, mentre lui sembrava ormai rassegnato al suo destino, gli aveva suscitato una buona impressione.

«Non si può generalizzare» disse. «E ho sbagliato anche io nel farlo: ogni persona va considerata a sé.»

«Quindi... voi accettate di andare fin laggiù?» gli chiese Altea speranzosa, ma con un filo di apprensione nella voce.

«Qui rischio troppo, non posso espormi» le spiegò il principe. «Nessuno mi cercherebbe mai in un luogo abbandonato a sé stesso. Ammesso che qualcuno sappia che sono sopravvissuto. Non sono felice di abbandonare la mia terra, ma in questo momento non ho alternative. Avevi ragione tu: tornerò e mi riprenderò quello che è mio.»

Non solo il trono, si disse tra sé e sé, ma anche la considerazione che la corte non ha mai avuto nei miei riguardi.

La cameriera di Felicita sorrise. «Adesso è meglio che entriamo alla locanda e prendiamo qualcosa da mangiare. Ho preso con me del denaro, quello che sarei riuscita a portare nella fuga... spero che sia abbastanza.»

«Saremo più frugali rispetto al passato» stabilì Nicola. «Almeno per ora l'importante è sopravvivere.»

Altea sospirò, mentre la sorella minore disse: «Venite, vi faccio accomodare a un tavolo.»
Il Lotnevi si alzò in piedi e, nel seguire Susanna fino all'ingresso della locanda, gli parve di vedere in lei una grazia che raramente gli era capitato di notare in altre popolane.

***


Melissa appoggiò la schiena alla quercia dietro cui si era nascosta, con la fronte umida di sudore per la stoffa che le copriva il capo, oscura nel bosco al limitare dei regni. Sospirò, rinfrancata: il principe di Cmune era in salvo, così come aveva auspicato.

Si incamminò rapida verso nord, mentre le dita affusolate si chiusero a pugno sulle ametiste che aveva in tasca: non avrebbe saputo dire se stringerle accrescesse il loro potere, ma lo desiderò ardentemente. Non poteva esitare oltre: il suo tempo nello Cmune era finito, doveva dirigersi a nord e sperare di arrivare prima degli ospiti di sua sorella.

C'erano altre faccende da sbrigare prima che la guerra contro i Lugupe fosse dichiarata. Non poteva permettere che sua sorella controllasse altri destini cruciali per le sorti di Selenia.

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