11.3 Guerra all'orizzonte


La luce del tramonto filtrava dalle finestre spalancate della sala del trono. Lo sciabordio del mare era il sottofondo ideale per la cerimonia, di cui Erik si era occupato con meticolosità, nonostante il poco tempo a disposizione. Aveva invitato i borghesi più importanti di Ehoi e del resto del regno come il padre, giunto il giorno prima al palazzo Dal Mare, gli aveva ordinato. Con la nobiltà spazzata via in un solo colpo, era a quella classe in ascesa che occorreva rivolgersi.

Aveva consegnato gli inviti di persona a chi si trovava nella capitale, e aveva domandato ai più illustri se avessero del personale fidato. In un'occasione tanto delicata, l'aiuto dei borghesi si era rivelato prezioso: ognuno di loro era desideroso di fare qualcosa per aiutare la futura regina, rimasta sola a capo del regno con il fratello nel continente.

Erik camminò in silenzio per la sala, già riempita di uomini e donne di ogni professione: le sartorie avevano provveduto a vestire chi non possedeva abiti adatti, mentre i cuochi del regno sembravano aver messo da parte le loro piccole rivalità per collaborare al banchetto.

Scambiò un saluto con un mercante di spezie e con un artigiano che lavorava la cera così come avrebbe fatto con degli illustri principi del nord. Doveva ammettere di ammirare il loro spirito di partecipazione, in un momento tanto difficile: nessuno aveva preteso alcun compenso, si erano tutti prodigati come se dall'incoronazione di Ariel dipendesse la propria vita. Nel Defi tanta generosità era davvero rara; o forse, dovette ammettere a malincuore, lui era troppo abituato all'egoismo dei nobili. Si ricordò di Franco e del suo impegno nel condurre Chiara Delle Foglie sana e salva fino a Gaò: dubitava che i cortigiani di Nilerusa avrebbero accettato un tale onere, né si sarebbero proposti di propria sponte per adempierlo.

Si fermò a guardare la luce rossa di una candela, poco distante dall'ingresso della sala. Sapeva che, alle sue spalle, tutti erano in febbrile ma silenziosa attesa. La principessa sarebbe giunta da un momento all'altro, accompagnata dalla figura più autorevole del Pecama. Si voltò quanto gli fu sufficiente per scorgere Iris, appena apparsa sulla soglia. Le sorrise, riconoscente: Ariel aveva desiderato che lei fosse al suo fianco durante l'unico giorno di interregno, per avere qualcuno con cui confrontarsi sulle future decisioni, oltre a Erik. E quando Tancredi Inverno era giunto, l'avevano presentata come la figlia di un ricco mercante in viaggio per il Tuilla. Per il momento aveva funzionato: il re di Defi aveva accolto la sua presenza con favore, poiché nella sua convinzione il ceto mercantile era dotato del giusto pragmatismo che la situazione necessitava. Non avrebbe mai immaginato che si trattava di un inganno.

Anche la fanciulla gli rivolse un ampio sorriso, grata per il ruolo di prestigio che le era stato affidato; forse non avrebbe mai creduto, nemmeno nei più dolci sogni di bambina, di essere la promessa di un principe, né di diventare la più fidata consigliera di una regina.

I soldati che Tancredi aveva portato con sé erano mischiati alla folla, ma gli astanti sembravano averli riconosciuti: per un forestiero era difficile confondersi con loro.

«Mio signore, arrivano» disse un uomo sulla quarantina, il capitano delle guardie della Primavera.

Erik chinò il capo. «Grazie, Evandro.» Guardò il sacerdote che sostava presso gli scranni, su cui era posata la corona che Ariel avrebbe indossato da quel giorno, ricoperta di una stoffa bianca.

Lei venne, splendida e meravigliosa nell'abito azzurro delle sacerdotesse di Vudeli, i capelli rosseggianti che le ricadevano sulle spalle mossi dalla brezza marina, che giungeva sin lì dalle vetrate spalancate. Non li aveva acconciati in alcun modo, come invece la cerimonia avrebbe richiesto: era il suo modo di portare il lutto.

Ariel camminava per la sala, solenne, fino a raggiungere il sacerdote. Sembrava che non guardasse nessuno, che fosse concentrata su ogni movimento. I ricami blu della veste sembravano percorrerla come una protezione magica, come se senza quei fili scuri lei sarebbe caduta a terra, spoglia e vulnerabile; priva di energie vitali.

Erik aveva sentito dire in casa di uno dei borghesi che la sovrana avrebbe avuto bisogno di tutto l'aiuto che Vudeli avrebbe potuto offrirle, e che se il dio le avesse voltato le spalle, ci sarebbe stato il popolo tutto a sostenerla. Ammirava il modo in cui Ariel era amata, prima dalla corte e dai nobili, ora dalle altre classi sociali: non esisteva un'altra principessa come lei, nessuna avrebbe saputo accettare quei repentini cambiamenti come lei aveva fatto. Forse non sapeva cosa sarebbe accaduto, ma era pronta a fare del proprio meglio. Come se si fosse preparata per tutti i suoi diciassette anni a quel momento.

A seguirla, alcuni metri alle sue spalle, c'era Tancredi Inverno, che muoveva un passo solo quando lo faceva la futura regina del Mare. Il suo viso era una maschera impenetrabile: austero, con gli occhi scuri che scrutavano ogni dettaglio pur senza guardarlo per più di qualche secondo. Nessuno in quella sala aveva segreti, per lui.

Quasi nessuno. Erik si avvicinò a Iris, in fondo alla folla silente. Chiunque avrebbe pensato al suo compito come a quello di un supervisore, anche se non si sapeva quale potesse essere la minaccia. Il principe di Defi aveva appurato che ad avvelenare il Roccei era stato un giovane straniero in cerca di lavoro: uno dei cuochi gli aveva dato un nome e una locanda in cui cercarlo, ma quello era già evaporato e le credenziali a cui sembrava rispondere non avevano suscitato nessun ricordo nei locandieri. Si erano ravvenuti di lui solo quando l'Inverno l'aveva descritto, sempre fidandosi delle parole del cuoco; ma ormai era troppo tardi. Il giovane aveva pagato lautamente per la settimana trascorsa lì ed era svanito nel nulla.

Svanito, ripensò Erik, come la ragazza che credevo di aver visto a Mitreluvui. Deve esserci dietro qualcosa... o qualcuno.

La morte di Amintore e Silvia Dal Mare assomigliava a quella di Guglielmo Lotnevi, ma non per la modalità – una pugnalata e un avvelenamento erano uccisioni ben distinte – bensì perché in entrambi i casi, lui era in arrivo alla loro corte. E l'erede sarebbe stato costretto a salire al trono: per Nicola sarebbe stata una questione di giorni, ormai, doveva solo attendere che i Lupfo-Evoco lo giudicassero innocente; mentre per Ariel era già il momento.

La fanciulla giunse presso il sacerdote, che guardò ricolma di consapevolezza e di grazia. Chi la vedeva in quel momento non riusciva ad associarla alla giovane piena di gioia che saltellava scalza per i corridoi del palazzo reale. Sembrava cresciuta in un solo colpo, fattasi più grave, più adulta. Una donna formata in ogni suo aspetto, nonostante le stesse sembianze: qualcosa nel suo portamento e nel suo modo di presentarsi davanti agli altri era mutato in fretta.

«Che Vudeli vi protegga, Maestà» disse il sacerdote con voce profonda. Chinò il capo in segno di rispetto, prima di sollevare il panno bianco che celava la corona, in oro, con un metallo colorato di azzurro a rintracciarlo, ricavato da miniere sconosciute nel nord, tanti secoli prima. Il richiamo all'estate e al mare era evidente, anche per chi non conosceva la storia antica e la formazione dei regni di Selenia.

Ariel si sedette sul trono in marmo bianco e il sacerdote le posò la corona sui capelli del colore del tramonto. Il suo sguardo scorse tra i presenti, come cercando qualcuno, e quando lo individuò accennò un sorriso. Poi si rivolse verso Tancredi, e lesse nel suo volto ciò di cui aveva bisogno: che lei fosse lì, dove fino a due giorni prima era stata la madre, era fondamentale per le sorti del reame, a cui ora era indissolubilmente legata.

In silenzio, gli astanti si spostarono in una delle sale adiacenti, dove era stato allestito un banchetto. Nessuno aveva voglia di festeggiare, ma la cerimonia prevedeva un ricevimento, anche se breve: confrontandosi con i sacerdoti di Ehoi, Ariel aveva convenuto che era meglio rispettare l'usanza, sebbene in maniera meno sfarzosa.

Aveva ordinato che si suonassero musiche allegre, che richiamassero l'atmosfera delle feste dei precedenti regnanti; ma lei non avrebbe danzato insieme agli altri.

Erik, meno avvezzo ai balli rispetto alla regina, aveva apprezzato l'idea. Al suo posto probabilmente avrebbe agito in maniera diversa, ma comparare il regno di Amintore e Silvia Dal Mare con quello di Alcina e Tancredi Primavera-Inverno era impossibile. Riempì un piatto con delle seppie ripiene, poi si allontanò per mangiare in disparte. Uscì dalle finestre che affacciavano sulla spiaggia e si sedette su una delle panchine, guardando il sole avvicinarsi sempre più alla linea dell'orizzonte.

Una figura prese posto al suo fianco. Non dovette voltarsi per riconoscere il padre.

«Mi è appena giunta una notizia» esordì. «I Lupfo-Evoco hanno condannato Nicola. E hanno arrestato lui e Luciana Lugupe come sua complice.»

Erik strabuzzò gli occhi, incredulo. Luciana non gli era mai piaciuta, ma perché non si dimostrava mai all'altezza del suo futuro ruolo di regina: non l'avrebbe mai ritenuta capace di un omicidio; soprattutto non di Guglielmo Lotnevi, che era un alleato della sua casata. Inoltre, come avrebbe potuto utilizzare il pugnale di Ariel, se non l'aveva mai incontrata? Non aveva senso.

«Non ci credo» disse soltanto. «Agli Autunno serve creare scompiglio nello Cmune e hanno pensato di coinvolgere anche lo Dszaco, visto che si trova in mezzo.»

Tancredi annuì e bevve un sorso di vino dal calice che aveva con sé.

«Tua madre crede che il loro intento sia quello di arrivare a noi. Siamo la famiglia più potente e più ricca, nel continente tutti contano su di noi per risolvere le controversie e per evitare che eventi come la conquista di Lisse, Loavi e Ralini si verifichino.»

«Ma gli Autunno li hanno conquistati lo stesso» commentò il figlio, amareggiato. «Non siamo stati in grado di fermarli, né di ostacolarli in qualche modo. E se con la caduta di Nicola prendessero anche lo Cmune, chi credi ci aiuterebbe? Chi non si lascerebbe spaventare dalla potenza di Amelia, Ruggero e delle loro figlie?»

Portò la forchetta alla bocca e assaporò il gusto delle seppie: non le aveva mai assaggiate preparate in quel modo, ma gli piacevano; le trame che ordivano i reali del Ruxuna molto meno.

«Stiamo preparando un'armata» gli rivelò il padre. «Nonostante sia contrario agli accordi del 472, l'unico modo per sconfiggerli è combatterli apertamente. Nessuno ci condannerà per averlo fatto quando avremo riportato la pace.»

«La pace attraverso la guerra» constatò Erik. «Non so se sacrificare le vite dei nostri popoli sia la cosa giusta da fare.»

«Abbiamo degli alleati» proseguì Tancredi. «Non potremmo mai farcela da soli. Nonostante Pomi ritenga che il nostro esercito da solo possa sopraffare il loro, la prudenza non è nei troppa.»

Il principe annuì, senza avere nulla da aggiungere. Si prospettava una guerra, una guerra reale, in campo aperto, da combattere fino alla vittoria o alla sconfitta. Non avrebbe mai permesso che Raissa avesse la meglio.

«E lo Cmune? Il loro esercito come si schiererà?» chiese poi.

«Felicita ci ha assicurato la loro fedeltà. Il capo dei soldati è fedele ai Lotnevi e non crede alla colpevolezza di Nicola.»

«Padre, io... quando sono arrivato al palazzo di Mitreluvui ho visto qualcuno che ne fuggiva» rivelò Erik. «Ho provato a inseguirla, ma non l'ho raggiunta...» Si interruppe, incerto se proseguire. Tuttavia sentiva il bisogna di confrontarsi con Tancredi, di avere da lui una risposta ai suoi tormenti. «Anche se l'ho vista solo di sfuggita, sembrava Ariel. E quando ho visto Guglielmo, poco lontano dal suo cadavere ho trovato un pugnale uguale a uno che possiede Ariel...»

«Stai insinuando che lei possa aver ucciso Guglielmo?»

Il tono di voce del re di Defi era calmo, come se stesse cercando di raccogliere i pensieri. Sembrava che non volesse mettere pressione al figlio, ma che fosse intimorito da quel suo discorso.

«Non l'ho mai creduto possibile. Ariel è sempre stata innocente, non potrebbe mai uccidere. Perché avrebbe dovuto, poi? Non ha alcun senso. Ma il pugnale era il suo, quando gliel'ho riconsegnato, lei ha detto di averlo perso diverso tempo prima... Temo che qualcuno abbia voluto prima incastrare lei e, visto che non è accaduto, sia poi andato su Nicola. Forse lo scopo di tutto questo è portare confusione, e l'unica persona che potrebbe farlo è Raissa. Ma le nostre spie dicono che lei non si è mossa dal Loavi.»

«Che qualcuno voglia incastrarlo è verosimile» disse il re. «Ora che anche Silvia e Amintore hanno subito lo stesso destino e lei è regina, ci sarebbero dei motivi per additarla come omicida. Tuttavia, nessuno l'ha fatto.»

Erik annuì. «Ariel non è in grado di uccidere. Di questo ne sono certo.»

Anche il padre chinò appena il capo. «Neanche Nicola lo è. Ti sei incaricato tu di scoprire cosa ci sia dietro?»

«Qualcuno doveva pensarci. Non mi fido dei cortigiani dello Cmune.»

«Giusta decisione» concordò Tancredi. «Ricorda, dall'equilibrio dipendono i destini di tutti. Ogni nostra azione può influire sui nostri vicini e di conseguenza sui loro popoli. Abbiamo delle responsabilità tutti noi regnanti, ma noi Inverno e Primavera ne abbiamo più degli altri, perché da ogni angolo di Selenia si rivolgono a noi. E il fatto che nessuno ci abbia domandato aiuto dallo Cmune quando sono stati convocati i Lupfo-Evoco mi lascia pensare che ci sia qualcuno che trami contro i Lotnevi, forse persino dentro il loro stesso palazzo.»

Il principe di Defi sospirò. Dalle parole del padre trasudava saggezza, quella saggezza che lui ancora non possedeva ma che agognava. Desiderava avere una visione di insieme, di tutti gli intrecci e le possibilità che le prossime mosse sia degli Autunno, sia loro avrebbero comportato. Sentiva che gli sfuggiva qualcosa, qualcosa che era davanti ai suoi occhi ma che non riusciva ad afferrare.

«Me ne ricordo» mormorò soltanto. Si alzò dalla panchina in marmo e rientrò nella sala del ricevimento.

Vide Iris e Ariel parlare in un angolo, separate dal resto dei presenti che, pur con qualche remora, iniziavano ad abbandonarsi alla musica e a danzare. Si avvicinò a loro a grandi passi e, quando le raggiunse, la popolana gli rivolse un luminoso sorriso, che lui ricambiò a fatica.

«Ariel, abbiamo un problema» disse.

Lei fece vagare lo sguardo nel salone. «Ne abbiamo più di uno» commentò di rimando. Sembrava che non avesse compreso l'urgenza delle parole dell'Inverno.

«Si profila una guerra contro Raissa» spiegò Erik velocemente. «Se si dovesse spostare anche qui, tu e il tuo popolo dovrete essere pronti ad affrontarla.»

La regina Dal Mare annuì. «Lo saremo. C'è un centro di addestramento militare vicino Punta Salina, nascosto a tutti. È lì che io ho imparato a usare il pugnale per difendermi, per questo nessuno sa che in caso di necessità sono pronta a impugnare le armi. Tutti quelli che erano alla caserma sono sopravvissuti. Purtroppo non si tratta dei migliori militari del regno... ma chissà se loro sarebbero stati abbastanza preparati per una guerra. Quando sarà necessario, sposterò i soldati al confine con l'Autunno.»

L'Inverno strabuzzò gli occhi, meravigliato. Ancora una volta, Ariel aveva pensato a tutto, e la sua lucidità lo disarmava.

«Inoltre,» aggiunse la giovane sovrana, «sto pensando di far costruire un muro difensivo sul confine a sud. Mi hai detto che tra Cmune e Loavi ce n'è uno... forse potrà essere utile anche qui, almeno per guadagnare tempo. Ho già delle idee su come realizzarlo, ma vorrei prima confrontarmi con tuo padre. Ce ne occuperemo domani: per questa sera... è meglio dedicarsi ad altro. Dubito che gli Autunno possano attaccarci questa notte.»

Erik annuì, come se le parole della Dal Mare lo avessero alleggerito di un peso che da solo non avrebbe saputo sostenere. Doveva ammettere che la fanciulla aveva una lungimiranza che in molti le avrebbero invidiato: lui stesso non aveva idea che la preparazione di Ariel per prendere le redini del regno potesse essere tanto profonda.

La regina si congedò da lui e Iris con un cenno del capo, e si allontanò verso le vetrate che affacciavano sulla spiaggia.

Il principe allora si rivolse verso la sarta e seppe regalarle uno splendido sorriso.

«Mi concederesti un ballo?»

Gli occhi smeraldini di lei brillarono, come se non attendessero altro. «Non potrei mai dirti di no.»

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top