CAPITOLO VENTISEIESIMO-Saggezza
Ognuno è un genio. Ma se si giudica un pesce dalla sua abilità di arrampicarsi sugli alberi, passerà tutta la vita a credersi stupido.
Albert Einstein
Sebastian aveva deciso di finire in fretta: non vedeva l'ora di terminare la sua prova e andare avanti. Forse fu per questo che disse subito a Tina:
«Vado io».
«No, davvero» lo interruppe lei «Vado io».
Guardandola, Sebastian capì che la donna voleva fargli un favore, rispondendo in quel modo.
Scosse comunque la testa:
«Sento che è il mio turno. Dev'essere qualcosa che si prova» mentì.
Tina non era stupida, però, e sapeva che non se la sarebbe bevuta. Infatti lo guardò da capo a piedi con un sopracciglio alzato, poi diretto negli occhi. No, non ci era cascata. Troppo brillante, troppo sveglia.
Tuttavia, sembrò avvertire le sue emozioni, dato che annuì e si mise a guardare le statue, forse cercando di sceglierne una per quando sarebbe arrivato il suo turno.
Sebastian, però, non aveva la minima idea di quale statua fosse quella che lo avrebbe sfidato. Forse quella con il viso più amichevole? Non ce n'erano proprio. Quella con lo sguardo più intelligente? Era Atena, già presa. Che altro? Deglutì, guardando che non ci fosse alcun dio della guerra o giù di lì.
Intanto, Katie era seduta per terra, e stava disegnando dei ghirigori sulle piastrelle con l'indice della mano destra. Arricciò il naso e sospirò.
Melody le si sedette accanto:
«Che c'è? Sei andata benissimo!» esclamò, sorridendole.
«Sei stata tu a suggerirmi» disse lei, con lo sguardo fisso sul pavimento.
«Ma sei stata tu a scegliere» replicò la Lestrange.
Katie la guardò confusa.
«Sai» continuò Melody «Nella mia vita ho imparato che sono le scelte quelle che contano. Proveranno a dirti chi essere, ma alla fine sta a te decidere se ascoltarli o no. Dovrai tenere conto delle persone che ti aiuteranno, certo. Ma non dimenticare che sei tu il giudice della tua vita. Avrai sempre l'ultima parola».
Katie non rispose subito. Diamine, aveva trovato una ragazza anche più misteriosa di Gladys! Se fosse riuscita a sopravvivere, almeno avrebbe avuto qualcosa da raccontare.
«Melody…» mormorò.
Lo fece d'istinto, quasi per sbaglio. Ma aveva bisogno di parlarne con qualcuno.
«Sì?» fece lei.
Il fatto che la stesse ascoltando fece nascere in Katie qualcosa di caldo e bello, che non aveva mai provato prima d'allora tranne che con Gladys. Era abituata ad ascoltare le storie degli altri, a tenerle a mente, a dare consigli timidamente, a conservarle in un cassetto e farle sue, ma non aveva mai-o quasi mai-raccontato di sé a qualcuno.
«Beh, sai già parte della storia» disse, tornando ad osservare il pavimento «Te l'ho raccontata a Londra. Ma… mi chiedevo se volessi sentire ciò che ne penso io».
Melody annuì soltanto, seria, con gli occhi ridotti a fessure, come se volesse arrivare al punto solo con il ragionamento.
«E se qualcuno mi avesse voluto bene? Cioè, se mia madre mi avesse abbandonato perché mio padre l'aveva lasciata o qualcosa del genere? So che mi hanno lasciato solo il nome e non il cognome, ma… pensi che sarebbe possibile?» chiese Katie.
La ragazza la guardò confusa:
«Certo che sì!» rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Quella sensazione calda e bella che Katie aveva provato prima tornò, e un sorriso le illuminò il volto.
«Li vuoi cercare, vero?» domandò la Lestrange, ricambiando il sorriso.
Katie annuì:
«Non riesco a credere che siano morti. Non lo so, è come se avvertissi che ci siano ancora» spiegò. Era strano esprimersi con questa naturalezza, per lei, ma forse Melody faceva questo effetto a tutti. (SÌ.)
«Ti capisco perfettamente, credimi» replicò Melody, ridacchiando.
«Oh, non credo che ci sia molta probabilità di incontrare qualcuno che capisca alla perfezione» rise di rimando Katie.
La Lestrange la guardò con uno sguardo che lasciava intendere “Oh, un giorno ti racconterò una bella storiella” e si alzò, guardando Tina e Sebastian.
L'uomo, alla fine, compì qualche giro su se stesso e, con lo sguardo basso, si avvicinò a una statua.
Alzò lo sguardo, con la testa che gli girava, e vide una figura alta e muscolosa, dalla lunga barba che lo faceva sembrare vagamente Babbo Natale (“Ma perché, se potevano assumere la forma che volevano, somigliare a un vecchio allenato? Starebbe bene con un paio di pantaloni da mare e la barba più corta!”). Teneva in mano un tridente, che mosse all'improvviso, facendo sussultare Sebastian.
«Signor Livingston!» esclamò.
Per qualche motivo, l'uomo dovette soffocare una risata: forse perché la voce della statua risultava più acuta e giovane rispetto a quello che si sarebbe aspettato semplicemente guardandola.
«Lei è Poseidone, sbaglio?» chiese, ricacciando dentro quei pensieri: si faceva sul serio. Non stava parlando con i Furfanti.
«Beh, almeno non mi hai scambiato per quell'idiota di Zeus» commentò la statua.
Sebastian decise di lasciar correre:
«Cosa devo fare?» domandò, frettoloso.
«Con calma, signor Livingston» lo ammonì Poseidone, sbadigliando «Non ho la minima voglia di essere qui».
«Se è per questo, nemmeno io» ribatté Sebastian.
La statua non rispose. Probabilmente stava valutando l'ipotesi di usare quel tridente per infilzarlo o qualsiasi altra cosa si potesse fare con quelle tre punte.
«Bene» disse alla fine «Guarda tu stesso, allora».
La stanza si rabbuiò di nuovo, e Sebastian avvertì di nuovo un forte giramento di testa. Tenne gli occhi aperti, pronto ad affrontare qualsiasi fosse la sua paura più grande. Aveva qualche idea, certo. Ma non si sarebbe mai aspettato di vedere la base di un pozzo.
Si avvicinò con la fronte corrugata, confuso, e guardò dentro di esso: c'era una sostanza argentea. O forse aveva delle sfumature azzurre? Incuriosito, si sporse per vedere se ci fosse qualcosa, ma perse l'equilibrio e ci cadde dentro.
«Leta» mormorò «Non sono totalmente sicuro di volerlo fare».
La ragazza fece un gesto molto rassicurante, puntandogli la bacchetta contro:
«Non ti preoccupare. Dovrebbe andare tutto bene» disse.
Perché era così maledettamente bella, anche con quella nota di pazzia negli occhi? Forse era solo curiosità e voglia di scoprire? Non lo avrebbe saputo dire.
«In che senso “dovrebbe”?» domandò, deglutendo.
«Nel senso che potrebbe finire male. Ma non ti preoccupare, ti dico: non verrò espulsa» rispose lei, chiudendo prima un occhio, poi un altro, come se stesse cercando di capire da che angolatura lanciare l'Incantesimo.
«Mi fa piacere» replicò lui «Ma mi stavo chiedendo cosa ne sarà di me se dovesse…».
Poi realizzò quello che Leta gli aveva detto e aggiunse:
«No. No, non gli chiederai aiuto» sentenziò, con una sicurezza che non sapeva di avere.
«Stai cercando di ostacolarmi?!» fece lei.
Sebastian la guardò, rapito, cercando di mantenere lo sguardo arrabbiato e concentrato. La guardò negli occhi… e cedette:
«No. Fa' quello che vuoi».
La ragazza sorrise soddisfatta e pronunciò:
«Immergo!».
Sebastian urlò. Era questa la sua paura: i sensi di colpa. La mancanza di intelletto che aveva avuto quel giorno. Si era lasciato sopraffare, e non avrebbe dovuto farlo, lo sapeva.
«Finiscila!» esclamò «Sono cresciuto, ormai! Quella parte della mia vita è finita!».
All'improvviso si ritrovò fuori da quello che, aveva capito, era un Pensatoio. In qualche modo era anche riuscito a prendere i suoi pensieri. Grindelwald ne era senz'altro capace.
Il suo biglietto era su una punta del tridente. Quando ci posò sopra lo sguardo, esso svolazzò, fino ad arrivare alle sue mani:
Saggio. E so che hai coraggio. Sei infinitamente coraggioso, più di quanto pensi.
James
«Beh» commentò, sollevato «È stato più facile di quanto pensassi».
~My space~
BRAVO SEEEBBBBBBB!
Ha ragione, questa prova potrebbe sembrare facile, ma per lui non lo è per nulla.
La verità? Leta gli manca ancora.
FOTOH!
Fa niente se in questo capitolo non c'è Credys, _AresInVeins_ è stata bravissima.
APPLAUSIAMO (?) MARIACHIARAAAA!
Grilli: *applaudono grillando*
Camy❤🎶
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