CAPITOLO CINQUANTATREESIMO - Epilogo

Grindelwald sarebbe tornato. Prima o poi, forse il giorno dopo, o forse dopo anni, avrebbe fatto di nuovo la sua entrata in scena per stroncare le vite degli oppositori. Probabilmente avrebbe alimentato così tanto il suo potere che si sarebbe dimenticato presto dei suoi ideali di libertà nei confronti del Mondo Magico, e il risultato sarebbe diventato un'anarchia.
E Albus si sentiva pronto, più che mai. Aveva soltanto bisogno di una bacchetta che gli fosse fedele, e allora avrebbe compiuto quella che era stata la sua missione dall'inizio: diventare Padrone della Bacchetta di Sambuco.
Era un sogno a cui avevano ambito entrambi, lui e Gellert, in giovane età, e combattere contro di lui per questo gli faceva male: sentiva il cuore stringersi in una morsa violenta, la testa iniziare a pulsare, ma sapeva di doverlo fare. Per il Bene Superiore. Che non significava sottomettere tutti i Babbani per dimostrare la superiorità dei maghi, ma semplicemente vivere con più libertà.
Appoggiò le mani sulla scrivania e guardò gli svariati quadri sulla parete destra dell'ufficio del Preside, che in quel periodo stava sostituendo.
Era incredibile quante facce serie ci fossero. Alcuni sembravano veramente scorbutici, e Albus non li aveva mai conosciuti, per fortuna. Insomma, erano degni di Dippet.
Uno solo viso spiccava tra gli altri: era una misera fotografia in bianco e nero di un uomo impacciato, che salutava con la mano. Dietro di lui passavano altre persone, facendo gesti strani, giravolte, capovolte e chi ne ha più ne metta, solo per infastidirlo e farsi due risate.
Albus era certo di non avere mai visto degli eroi vivere così. Loro non erano come tutti gli altri, no: avevano qualcosa di speciale, in ognuno di loro, che li differenziava da qualsiasi tipo di supereroi superbi.
Anche Albus voleva diventare stupendo e puro come loro. E, forse, un giorno non sarebbe più stato visto come “il codardo di Godric's Hollow”.

Fine


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