Ti chiamerò Tarzan

Non era stato facile fidarmi di quell'uomo e delle sue parole. Ma la preoccupazione nei suoi occhi era palese, così avevo deciso di firmare, anche se la mia coscienza mi stava dicendo che mi ero messa nei guai.

Più tardi mi hanno consegnato una cartella "top secret" colma di fogli macabri. Vittime, foto, luoghi, ore del decesso, segni particolari. Tutte cose che non avrei mai pensato di affrontare in vita mia. Mi sembrava quasi uno scherzo. Come se stessi partecipando ad uno di quei reality televisivi che non piacciono a nessuno.

«Non ti preoccupare» aveva detto l'uomo. «Ti affiancherà l'agente Black, lui è uno dei migliori».

Uno dei migliori in fatto di ritardo. Visto che stavo scansionando quei fogli da più di un'ora e non si era ancora fatto vedere.

Un rumore di passi mi fa alzare lo sguardo. Un uomo con dei lunghi capelli castani stretti in un codino e il mento piuttosto spigoloso, si lascia scivolare sul divano della saletta in cui mi hanno relegata assieme ad una tazza di thé. Sospira guardando il soffitto e poi si toglie le scarpe e la giacca. Una schiera di muscoli si delinea sotto la sua camicia. Continuo a fissarlo, arrossendo leggermente. Una flebile distanza ci divide. Finché mi fissa anche lui con i suoi occhi color verde mela e allora sposto lo sguardo sulle mie scarpe.

«Fa caldo fuori, vero?» gli chiedo, avendo notato gli aloni di sudore sotto le sue ascelle. Lui si limita a sbuffare.

«Sono Jane, Jane Porter» allungo la mano, gentile. Sorreggendo sta volta il suo sguardo penetrante. «Tu sei?».

«Trevor Black» bofonchia la montagna di muscoli.

«Oh benissimo. Dovevo giusto aspettare te». Non mi stringe la mano e si limita a dire «Fatto le valigie? Domani si parte».

«Si parte?» mi confonde ancora di più le idee.

«Sì, per il caso. Dobbiamo andare in Africa».

In effetti le foto delle vittime presentavano tutte persone dalla pelle scura, color cioccolato fondente.

«Non mi avevano detto che dovevamo partire» gli rivelo.

«Te l'ho detto io ora, contenta?».

Adesso sono io a sbuffare. Sarebbe stato un lungo, lunghissimo e snervante lavoro quello. Anche se la prospettiva di dover partire per il ricco territorio africano mi aveva acceso una scintilla di gioia. Mi passo la mano sul viso, come se non avessi dormito bene. Cercando di accettare quella nuova piega della mia vita. Sperando sia breve e finisca nel migliore dei modi.

Sono Jane, un'investigatrice privata.

Jane Porter, investigatrice privata, squadra C.S.I. Miami.

Storco le labbra in un'espressione amara. Ero già su di giri per il malessere di quella situazione.

«Credo che ti chiamerò Tarzan» dico ad un certo punto, procurandomi un'occhiataccia da mister muscoli. Non sembrava molto amichevole il mio collega di lavoro.

«E perché?» mi domanda e noto un leggero smarrimento nei suoi occhi.

«Non so, suona molto più simpatico di Trevor» gli rispondo facendo spallucce.

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