8
Yuri
Mi gira la testa, mi sento come se una morsa stretta e dolorosa mi stia soffocando lentamente, con un dolore costante e graduale. La voce femminile che mi ha parlato fino a pochi istanti fa dall'altra parte de telefono si è ampliata in una spiegazione abbastanza dettagliata, che purtroppo non sono riuscito a comprendere, o tanto mento a sforzarmi di capire. Nella testa continua a risuonare un eco di parole terribili, di parole vuote e dirette;
"Il signor Nikifirov ha avuto un incidente" sento gli occhi farsi umidi, bruciano.
"Le sue condizioni sono gravi, è appena uscito dalla rianimazione, ma non è cosciente." E poi, la cosa che mi fa più male, sono gli occhi grandi di Yūri, completamente ignaro di ciò a cui sono costretto ad ascoltare. Il cellulare mi scivola dalle mani, finendo a terra con un rumore fastidioso e basso.
«V-Victor...» non posso credere di dover davvero inserire il suo nome in una frase simile, non riesco ad articolare il suono della mia voce senza pensare a lui, e pensare in che condizioni si trovi.
Non sento minimante la voce di Yūri, mi sta domandando qualcosa, ma io non riesco ad ascoltarlo. Nella mia mente è marchiata l'immagine approssimativa di Victor, chissà quale sia il suo aspetto adesso.
È sfregiato? O magari, ha delle lesioni interne? È ancora vivo? Vivrà? Quanto è stato grave l'...
«Ha avuto un incidente.» Parlo, sentendo che una lacrima salata si è insinuata sullo spigolo delle mie labbra, e di riflesso ne assaggio il sapore debole con la punta della lingua.
Credevo che Yūri sarebbe scoppiato a piangere, oppure sarebbe immediatamente corso fuori a chiamare un taxi, insomma, mi aspetto almeno una reazione, una qualsiasi reazione.
Ma rimane immobile, con un mezzo sorriso isterico in volto, i capelli neri gli si nascondono dietro le lenti trasparente degli occhiali. È come se non avesse capito davvero ciò che gli ho appena detto.
Mi terrorizza, mi fa entrare nel panico più di quanto io non lo sia già. Non ho nemmeno sedici anni, cazzo, non posso affrontare queste situazioni con lucidità, non posso sempre essere io l'adulto.
«Yūri!» lo chiamo, urlandogli contro, in un pianto che mi fa bruciare l'esofago.
«Ti prego! Yūri! Dobbiamo andare in ospedale!» sta fissando il vuoto, chissà cosa gli sta passando per quella testa. Mi tremano le mani, il cuore mi batte così forte nel petto da farmi male. Respiro irrogarlarmente, quando affetto Yūri per le spalle ed inizio a scrollarlo in maniera aggressiva, avanti e indietro.
«Cazzo, Yūri!» lo chiamo, ancora; lui è in preda allo shock. So' quanto Victor sia importante per lui, e quanto il loro rapporto sia particolare, ma anch'io gli voglio bene, e la priorità per il momento e andare da lui, non voglio nemmeno pensare che potremmo arrivare troppo tardi...
Piango così forte da soffocarmi, se continua a fissarmi con quel sorriso ebete e assente avrò di sicuro un attacco di panico. Smetto di spingerlo, dato che sotto la mia forza, Yūri sembra essere più fragile. Gli stringo forte gli avambracci, facendolo irrigidire, perché di sicuro sta provando dolore. Abbasso la testa, così che le lacrime adesso smettano di bagnarmi la maglietta, finendo per terra. Stringo i denti, e poi, con un gesto veloce e improvviso, mi poggio al petto di Yūri. Non provo un particolare affetto per lui, o meglio, non riesco a manifestare dei sentimenti carini per nessuno. Ma ho bisogno di smettere di piangere, e lui ha bisogno di farlo. Mi aggrappo al tessuto della sua felpa, premendo le dita sulle sue spalle, mentre affondo il viso nel suo petto. Singhiozzo, voglio correre da Victor, ma allo stesso tempo sono terrorizzato da ciò che mi si presenterà davanti agli occhi, in ogni caso, sono certo che non riuscirò a dimenticarlo mai.
La debole carezza di Yūri mi spinge di più alla sua altezza, accarezzandomi la nuca dolcemente, e poggiando il mento tra i miei capelli.
«Yūri, andiamo, ti prego...» mugugno con la voce soffocata dai suoi abiti.
«È morto?» finalmente parla. Una semplice domanda che mi stordisce più di quanto io non lo sia già. Smetto improvvisamente di piangere, perché ho il bisogno prioritario di ricominciare a respirare, a pieni polmoni. Ho gli occhi sbarrati, che guardano dritto, attraverso i capelli chiari che mi si sono incollati agli zigomi. Quella non è la voce di Yūri, ha qualcosa di spaventosamente diverso.
Cerco di farmi forza, staccandomi da lui, e, con uno sforzo sovrumano, lo guardo negli occhi. Tiro su' con il naso, asciugandomi il viso con il palmo di una mano, mentre con l'altra continuo a tenermi aggrappato a lui.
«No, no. Però dobbiamo raggiungerlo, dobbiamo...» scrollo la testa, nervosamente, abbassando gradualmente il tono di voce «d-dobbiamo andare da lui, così capiremo davvero come sta. Prenderemo un taxi, così arriveremo in ospedale in un batter d'occhio!»
Respiro rumorosamente, prendendo le chiavi di casa dall'ingresso, dirigendomi verso la porta. Contro ogni mia aspettativa, Yūri si muove, seguendomi con passo instabile.
Siamo quasi arrivati, l'autista è stato molto comprensivo, cercando di andare più veloce possibile, e di evitare il traffico in centro. Yūri, seduto alla mia destra, tiene la testa chinata verso il basso, fissando le sue mani nella penombra scura che danno le luci della città. Mi accorgo solo dopo che sta giocherellando con l'anello dorato che tiene all'anulare. Ricomincio a respirare pesantemente, con il petto che compie dei movimenti bruschi, e le mani che stringono i pugni, nascosti nelle tasche della mia felpa. L'ultima cosa che voglio, è che questa situazione ricada esclusivamente sulle mie spalle.
«Yūri?» lo chiamo, e con sorpresa, si volta e mi guarda. Forse, speravo in cuor mio che continuasse ad ignorarmi, pur di non dovermi sorbire quella sua faccia spaventosamente neutra. Mi terrorizza, è strano e trasuda disperazione silenziosa da ogni lineamento rilassato ed estremante pallido.
«Yūri, ho bisogno che tu reagisca, d'accordo? Dobbiamo essere forti l'uno per l'altro, altrimenti non riusciremo a concludere nulla.» gli stringo il polso, così forte la farmi male ai tendini del pollice. Si lascia scappare un gemito basso, corrugando la fronte.
«Mi ascolti?» ammonisco, con tono severo.
Lui annuisce, ma è chiaramente insicuro.
«Ripetimi che reagirai, che le cose andranno bene, e che tutto si risolverà, perché io non posso rassicurare te se tu continui a fare silenzio.» sono egoista, ma almeno riesco ad essere sincero.
«Okay.» lo sibila così piano da farmi dubitare di quello che ho sentito.
«Andrà bene.» lo ripete guardandomi in viso, ma sono sicuro che lo stia mugugnando in maniera incomprensibile per se stesso.
«Si, andrà bene.»
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