30
Victor
Sono passati diversi mesi dall'incidente, e il concorso di pattinaggio si terrà a breve. Tengo così tanto a questo evento che i miei dolori passano in secondo piano, o almeno, qualche volta. La fisioterapia continua ad aiutarmi e a migliorare lo stato precario dei miei muscoli e delle mie ossa, ormai guarite, ma purtroppo non c'è una cura ai problemi che queste vecchie fratture continuano a causarmi continuamente.
Ho trovato il coraggio di ritornare alla pista di pattinaggio, così da poter iniziare gli allenamenti per il programma di Yūri. Evito di concentrarmi troppo su di lui, mentre pattina in maniera sciolta e preferita sul ghiaccio, seguendo distintamente il ritmo della musica; riflettere troppo sulla sua straordinaria capacità di muoversi in quella maniera, azzardare dei passi che per me sono ormai impossibili, mi fa più male di quando cerco di salire le scale, ad esempio. Provo un'enorme invidia nei confronti di Yūri, e di chiunque altro mi stia intorno. Gli altri, persone senza dolore, con il privilegio di poter camminare, correre e saltare. Gli altri, che vivono senza catene, nella serenità del loro corpo, ma che cercano in tutti i modi di crearsi delle inutili sofferenze, insoddisfatti della propria vita. Hanno tutto, hanno la possibilità di fare tutto ciò che prediligono, ma la maggior parte delle volte gettano al vento questo loro dono prezioso. Venderei l'anima al Diavolo, pur di prendere il loro posto anche soltanto per un giorno.
Ritornerei a camminare, mi alzerei sulle punte, o magari correrei per tutta la spiaggia a piedi scalzi, senza avere timore di flettere troppo violentemente le ginocchia. Ma più di tutti, ritornerei a pattinare; rimarrei per giorni sui pattini, in balìa del ghiaccio, a costo di accasciarmi in terra, esausto, continuerei a pattinare.
Ma le mie gambe non me lo permettono più.
Sono invaso di dolore anche se le mie ferite sembrano essere guarite.
Ho superato la paura di rimanere da solo, anche perché l'ultima volta che Yurio mi ha lasciato a casa per scappare via e prendere solamente una brutta influenza, mi sono sentito meglio. Ero immobile, incapace di poter fare qualsiasi cosa da solo, senza nessun aiuto nei paraggi. Mi sono detto, "e se mi succedesse qualcosa? Se accadesse ancora una volta quella terribile esperienza?".
Ero seduto in terra, al buio, a piangere con ribrezzo verso me stesso per non essere nemmeno riuscito ad arrivare al bagno, e per aver dovuto coinvolgere Yūri in quella patetica scena.
Allora ho pianto, ancora una volta, ma questa volta non c'era nessuno a sentirmi. Ero persuaso da un singhiozzo improvviso che somigliava ad un orgasmo. Avrei potuto urlare quanto volevo, nessuno mi avrebbe sentito. È arrivato dopo un turbino di sentimenti spinti a forza dentro di me, che non mi hanno lasciato respirare, e che ho dovuto trattenere per molto tempo dentro di me, così da non crollare difronte agli altri. Ma quando l'apice della sopportazione era arrivato a farmi persino male, allora mi sono lasciato andare in un singhiozzo straziante, durato per me un istante infinito.
E subito dopo mi sono sentito meglio, perché avevo gridato di disperazione senza che nessuno provasse pena nei mie confronti. Adesso ogni scusa è buona per restare a casa da solo; tranquillizzo tutti con un sorriso, dicendo che starò bene in solitudine, approfittandone per soffocare tra le mie lacrime.
È triste da immagine, una scena del genere, ma in fondo è l'unica cosa che mi è rimasta da fare. Le mie lacrime non guariranno ciò che ormai sono diventato, ma ripuliscono la mia anima dalla frustrazione.
Voglio essere forte, ma in questo periodo -un altro di una lunga serie- non riesco proprio a pensare positivo. Ormai sono rassegnato alla mia condizione, scoprire nuovi limiti che il mio corpo mi impone non mi sconvolge più di tanto, questa volta però si tratta del tormento che mi graffia l'anima ogni singolo istante.
Sono stremato dal mio stesso corpo, che senza trovare un solo momento di tregua, pulsa e scotta di dolori vecchi e nuovi. Mi fa male tutto, sempre: quando cammino, quando sto in piedi, quando mi siedo, quando dormo, le ossa sembrano spezzarsi in continuazione, rendendomi faticoso persino allacciarmi le scarpe.
È un fastidio continuo, che non passa mai, non eccessivamente forte o lancinante, ma il problema è che è sempre lì, e non mi lascia un attimo di tregua. Ho dimenticato come si ci sente a rimanere immobili e a non provare nulla.
Sento che sto impazzendo, e nessuno può aggiustarmi. Sono rotto in un milione di pezzetti sbattuti continuamente contro un contenitore bollente. Sono terrorizzato e disperato dal fatto che la mia condizione mi accompagnerà per il resto della vita, e che di conseguenza questi dolori mi rimarranno attaccati addosso per sempre.
Sono sdraiato a letto, mentre Yūri si veste con lentezza annoiata, dandomi le spalle. Lo guardo compiere quei movimenti monotoni che per me sono una tortura, mordendomi il labbro con troppa tenacia, avvolto dal vortice di sofferenza che mi incendia le gambe. Ho trascurato parecchio il mio aspetto in questi giorni, i capelli chiari sono arruffati in un ciuffo scompigliato, e il viso scarnito si tinge di nero per colpa delle mie vistose occhiaie profonde. Vorrei che Yūri mi cucisse sulla pelle la forza di cui ho bisogno.
Sono così perdutamente innamorato di lui, e la mia disperazione non fa altro che peggiorare questo sentimento troppo grande da controllare. Ripenso a noi, alla nostra promessa, al matrimonio che non si è mai celebrato, e agli anelli d'oro che ci legano indissolubilmente. Ripenso a come eravamo prima e a come siamo ora, e mi sento un verme, perché Yūri è ormai diventato la mia balia, più che il mio compagno.
«Dobbiamo parlare.» dico, con la voce rauca e il cuore che mi scoppia nel petto.
«Di cosa?» mi domanda lui ingenuamente, sedendosi ai piedi del letto, troppo vicino a me.
«Di noi due. Yuuri io credo che non dovremo più sposarci, o tantomeno stare insieme.» mi libero troppo velocemente dei miei pensieri, che si materializzano in parole fredde e improvvise.
Yūri sgrana gli occhi, scrollando il capo:
«C-cosa? Cosa hai detto?»
«Mi hai sentito, finiamola qui.»
«Stai scherzando, non è così? Da dove ti è saltata fuori quest'idea? Dopo tutto quello che ho fatto e sto facendo per te, come puoi anche solo pensare di chiedermi una cosa del genere?» farfuglia, confuso e agitato.
«È proprio per questo motivo, per tutto quello che fai per me, che non voglio più essere un peso per te.»
«Victor, Victor cosa stai farneticando?» accenna un sorriso agitato, chinando il busto più vicino a me per stringermi la mano. Cerco di divincolarmi da lui ma non ci riesco.
Gli rivolgo il mio profilo spigoloso, tenendo gli occhi bassi e le labbra serrate. Sento che potrei scoppiare in uno di quei pianto che mi abbracciano quando sono da solo, ma in qualche modo gli occhi di Yūri su di me mi calmano.
«Mi ami?» mi domanda.
Faccio silenzio per un istante, continuando ad evitare il suo sguardo: «Si.»
«Non pensi che separandoci renderesti tutto questo ancora più difficile?»
«Per me senza ombra di dubbio, ma per te sarebbe una liberazione. Non cercare di intenerirmi, sono solo un peso per te. Tu sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti, mille cose da realizzare, e di certo non le porterai a termine occupandoti di me.»
Un bacio umido e pesante mi impedisce ancora di parlare. Mi tranquillizza come una dose troppo massiccia di morfina, allietando la mia frustrazione con il sapore fresco delle sue labbra morbide. Yūri mi accarezza la nuca, respirando con leggerezza sul mio viso.
«Shh...» soffia con un sorriso dolce, poggiando l'indice sulle mie labbra. Lo guardo con ingenuità, aggrottando la fronte, persuaso da un'enorme senso di colpa.
«Perdonami ti prego, non volevo dire sul serio tutte quelle cose, sono solo tanto stanco, non potrei mai vivere senza di te, per favore scusami Yuuri, non te ne andare.» farfuglio con un lamento, scuotendo la testa nervosamente.
«È tutto okay, sta tranquillo, non ti lascerò da solo. Perché non parli prima di ciò che ti tormenta invece che finire così? Io sono qui per ascoltarti, non devi avere timore di sfogarti.» dice Yūri sorridendo, scostandomi dal viso i ciuffi di capelli che mi infastidiscono.
«Non voglio darti preoccupazioni, ma mi fa male tutto, sempre. Yuuri non ce la faccio più, mi fanno male le ginocchia, le anche, le caviglie, i piedi, mi fa male sempre tutto, e nessuno mi può aiutare.» mi lamento, con l'inizio di un singhiozzo in voce.
Yūri si avvicina di più a me, sedendosi comodamente difronte alla mia figura, con le mani morbide che continuano a tenere strette le mie.
«Dato che pensi davvero che tu sia la causa delle mie preoccupazioni, voglio ripagarti con la stessa moneta.»
Non riesco a capire dove voglia arrivare, rispondendo alla sua proposta con un'espressione incerta.
«C'è una cosa che non ti ho mai raccontato del mio passato, gli unici che ne sono a conoscenza sono mia sorella e Phichit.» continua, mettendosi dritto con serietà ma infinita dolcezza in viso.
«Quando avevo quindici anni ho sofferto di una forte depressione, che mi ha portato ad essere gravemente anoressico per un periodo di tempo.»
Mi si ferma il cuore per un istante, e il mio viso assume una smorfia di shock e sconforto.
«Cosa?» sbotto.
«Ero in continuo contrasto con me stesso e con la mia sessualità, così mi sono lasciato andare, finendo perfino in ospedale. È stato proprio quel ricovero a farmi riflettere e ad aiutarmi a tornare a stare meglio.»
Gli afferro le spalle, colmando la distanza tra di noi;
«Yuuri perché non me lo hai mai detto?»
«Oh, perché la colpa è stata tua.» risponde con un sorriso leggero, come se nulla fosse.
Sono senza parole, rimanendo a guardarlo con timore e shock.
«È stata tutta colpa tua, Victor Nikiforov, perché ero perdutamente innamorato di te, ma ne avevo paura.»
Mi inumidisco le labbra con la lingua, vuoto di qualsiasi tipo di risposta.
«Come pensi che questa notizia possa risolvere il nostro problema?» gli domando infine, confuso.
«Mi hai detto che non vuoi che io sia l'unico ad essere in continua pena nei tuoi confronti, e poi raccontarti di questa brutta storia mi ha senza dubbio fatto stare meglio. Tutti siamo reduci di una battaglia, vincitori e vinti di una guerra contro il mondo, ma in un modo o nell'altro riusciamo sempre a uscirne a testa alta.»
Sono del tutto paralizzato dalle parole di Yūri, respiro pesantemente sulle sue labbra, mentre lo guardo intensamente con l'angoscia negli occhi.
Yūri mi bacia ancora, sorridendo con quella sua dolce tenacia che mi riscalda la pelle. Si sorregge sul materasso con i gomiti, chinato a quattro zampe su di me. Scende lungo il mio bacino, sfilando con estrema delicatezza i miei pataloni, lasciandomi così solamente in boxer, avvolto da un brivido di freddo appagante che mi accarezza le gambe.
Non gli tolgo lo sguardo di dosso, mentre le sue labbra si avvicinano alle mie cosce, poggiando baci di primavera sulla mia pelle. Le sue labbra, che sembrano petali di ciliegio non hanno timore di accarezzare le mie cicatrici ancora rosee, sfiorandomi con le mani i fianchi rigidi e magri. Gemo sotto di lui, sia per il fastidio piacevole che mi causa il suo contatto improvviso, sia per il piacere che mi suscita.
«Yuuri, cosa stai...» mormoro con il viso paonazzo, succube delle sue labbra, che si fermano quando sentono la mia voce chiamarlo. Yūri mi guarda, con la testa tra le mie gambe, estremamente vicino alla mia erezione pulsante oppressa nel mio intimo, sorridendomi con delicata bellezza.
«Mi hai detto che le gambe ti fanno male, quindi sto cercando di distarti.»
Respira sul mio membro bollente sotto la stoffa, leccandolo attraverso il tessuto, causando in me dei gemiti bassi e deboli. Risale velocemente lungo il mio petto, riempiendomi ancora un po' la bocca di baci, passando successivamente al mio collo. Mi alza la maglietta, leccandomi i capezzoli in maniera snervante, ondeggiando insistentemente contro il mio corpo.
Percorre il mio ventre con la sua lingua umida, fino ad arrivare al mio inguine, liberato finalmente dai miei boxer. Yūri avvolge la mia lunghezza con la sua bocca, umida e calda, così da farmi inarcare la schiena di scatto. Stringo tra le dita i suoi capelli neri, senza fargli male, accompagnandolo nei suoi movimenti sicuri.
«Y-Yuuri...» gemo il suo nome con sofferenza, quasi sul punto di venire. Per fortuna lui se ne accorge, prestano la sua attenzione sulle mie labbra, e, senza nemmeno inumidire la sua apertura, si abbassa velocemente i pantaloni, e si lascia penetrare da me.
Yūri non riesce a trattenere un urlo acuto, spingendosi su di me con non troppa forza, sofferente e immensamente eccitato. Stringe la mia mano con forza, masturbandosi con l'altra, mentre veniamo insieme con un orgasmo che si ammutolisce nel nostro bacio.
Yūri si sdraia accanto a me, poggiando il capo sul mio petto. Non osa sfiorarmi le gambe con le sue, consapevole di potermi causare altro dolore, ma ignaro del fatto che per questo breve lasso di tempo sia riuscito a guarirmi dalla sofferenza.
Gli accarezzo la schiena, giocando con le dita della sua mano ancora avvolta nella mia, e sorridendo, in un insensata gioia.
«Scusami.» gli dico.
«Per cosa?»
«Per averti fatto soffrire, ieri e oggi. Però non ti lascerò, perché, anche se sono la calamita che attrae il dolore su di te, sono anche la tua medicina.»
«Sono felice che finalmente tu lo abbia capito.» risponde, con un sorriso soddisfatto.
«Yuuri, l'estate sta per finire, e non siamo stati nemmeno una volta al mare.» gli dico, con voce rauca.
«Perché non me lo hai detto prima?» Yūri si muove goffamente tra le mie braccia, sopra di me, guardandomi negli occhi.
«Prepara il costume da bagno perché trascorreremo la giornata in spiaggia, e lo dirò a tutti.»
«Anche a Chris?»
«Anche a Chris.»
Iniziamo a ridere, rimanendo ancora un altro po' stretti insieme.
I raggi del sole caldo mi sfiorano la pelle nitidamente pallina, riscaldandomi piacevolmente. C'è una debole brezza salata che però non mi infastidisce molto; i miei occhi chiari viaggiano tra l'azzurro calmo del mare difronte a me, che mi fa sentire in pace.
Otabek ha caricato Yurio su una spalla, gettandosi con lui in acqua, continuando la loro lotta tra spruzzi e risate. Chris è impegnato a posare in maniera un po' troppo sensuale per delle fotografie che presto finiranno in rete, scattate dal neo fotografo Michele, costretto dal ragazzo a ritrarlo nella sua più totale bellezza. JJ corre dietro a Beka e Yurio, provocando il minore che gli urla contro, suscitando il divertimento di tutti.
Georgi è disteso al sole, chiacchierando con il povero Lee, che ha il viso tinto dalla noia. Phichit sorride accanto a Yūri, che con attenzione divide le porzioni di riso freddo preparato appositamente per questa divertente gita, dovendo sopportare anche lui i selfie allegri ed entusiasti dell'amico.
Mila e Sarah sono distratte da tutti gli altri, concentrate solamente su di loro, con i piedi immersi nell'acqua tiepida. Mari annuisce con la sua solita freddezza compresiva agli sfoghi di Minami che si è presentato in fretta e furia da noi, dopo un tormentato progetto di raggiungere Yūri quanto prima possibile.
Ero timoroso sul fatto di disturbare tutti, in fondo molti di loro dovevano viaggiare in lungo e largo per essere presenti una sola giornata, ma fortunatamente nessuno di loro ha trovato problemi nell'accettare l'invito di Yūri, trovando anzi una scusa per passare del tempo insieme dopo tutto quello che è successo.
L'odore della salsedine mi strappa un sorriso ingenuo, assalito da una felicità incredula alla vista luminosa che ho di fronte. C'è aria festosa intorno a me, ma cosa più importante, sento la sabbia sotto i piedi scalzi, e il calore di fine estate addosso.
Quasi mi sento normale, e riesco a distrarmi dai mie continui dolori. Trovo una forza diversa in me, una nuova forma di spensieratezza e ostinazione. Senza l'aiuto delle fastidiose stampelle che sono costretto a portarmi sempre dietro, mi alzo dalla sedia pieghevole su cui ero seduto, abbandonando l'ombrellone che ondeggia con il vento, muovendo dei passi lenti e instabili che mi aiutano a trovare più equilibrio. Affondo i piedi scarniti nella sabbia calda, facendo prendere il sole alle lunghe cicatrici che dalle mie rotule finiscono all'altezza di metà stinco. La lunghezza del mio costume nasconde i segni più profondi che mi solcano i fianchi, ma se dovessi mostrarle adesso non me ne vergognerei affatto.
Tutti mi staranno guardando senza ombra di dubbio, ma io non faccio caso a nessun tipo di sguardo sorpreso e silenzioso, continuando a camminare con un sorriso timido in volto, raggiungendo il bagnasciuga. La sensazione delle onde che mi accarezzano le caviglie mi costringe a chiudere gli occhi e a rilassare i miei muscoli tesi e sotto sforzo; ispiro profondamente, nel tentativo di memorizzare ogni singolo dettaglio di tutto ciò, timoroso di averlo dimenticato.
Una carezza familiare e docile mi distrae dalla mia danza silenziosa con l'acqua: Yūri mi stringe la mano, affiancandomi ma senza sorreggermi, come se sapesse esattamente ciò che voglio fare da solo.
Il vento mi scosta i capelli all'indietro, così socchiudo gli occhi ancora, guardando l'orizzonte.
«Mi ero quasi dimenticato di come fosse bello il mare.» dico a Yūri.
«E io di quanto tu fossi bello quando sorridi così.»
«Come sto sorridendo?» gli domando, guardandolo con tono divertito.
«Come se fossi tornato a vivere.»
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