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Victor

Il mio ritorno a casa è iniziato con una curiosa novità tra il mio piccolo Yurio e Otabek, che per affinare il loro dolce rapporto di estrema sincerità e amore, ha ben pensato di regalare al minore un aggressivo e rozzo -a parer mio- anello ad armatura argento, con tanto di artiglio alla fine e trafori fini. Yurio ha quasi pianto mentre indossava quell'enorme anello scomodo e altamente pericoloso, trattenendo difronte a me e Yūri un bacio pieno di gioia che avrà dato ad Otabek in solitudine senza ombra di dubbio, per ringraziarlo del suo dolce gesto. Il biondo si è rivolto a me e Yūri, ringhiando serio una frase del tipo: «Tenetevi le vostre fedi da donnette, io qui ho ben di meglio.»
Credevo seriamente che Yurio volesse essere elegante e femminile, magari con un gioiello sofisticato e semplice, invece Otabek conosce bene i suoi gusti bizzarri, rendendolo felice come un bambino che scarta i regali la mattina di Natale. Non ho molto da aggiungere su loro due, dopo essere stato costretto a cancellare la loro meravigliosa fotografia after sex con il sottoscritto in primo piano commosso ed entusiasta, i piccioncini continuano a ricoprire a tempo pieno il ruolo di coppia dolcemente innamorata, rubando la scena persino a me e Yūri. Otabek rimarrà con noi ancora per un po', i suoi piani per il futuro sono ancora incerti, ma Yurio non lo lascerà andare via così facilmente...

Le mura domestiche mi allietano, e la mia routine familiare e normale aiuta il mio stato mentale e persino quello fisico; la fisioterapia occupa gran parte dei giorni delle mie settimane, quasi due ore intrappolato in quella sottospecie di palestra in cui sono obbligato a camminare, alzarmi, piegare le ginocchia, salire le scale e altri movimenti apparentemente semplici e monotoni, che per me sono una fatica immonda. Ma oltre tutto il dolore che è ormai diventato parte di me, gli esercizi che mi infastidiscono tanto danno ogni giorno di più i loro frutti. Ho abbandonato la sedia a rotelle da quasi una settimana ormai, spostandomi in giro per la casa con l'aiuto di due stampelle rumorose, e nei giorni migliori riesco persino a percorrere brevissimi tratti di strada senza nessuna zavorra che mi aiuti a stare in equilibrio.
Quando Yūri esce a fare la spesa io mi piazzo in piedi difronte la porta, reggendosi su di una sola stampella, mentre Makkachin resta seduto accanto a me, impaziente di entusiasmo per l'arrivo del Katsudon. Yurio sbuffa dal divano in cui adora stendersi con Otabek, puntualizzando quanto io sia ridicolo e quanto soffra a stare in piedi per una manciata di minuti abbondanti solamente per andare incontro a Yūri.
Ma io non lo ascolto minimamente, resto a fissare la porta a denti stretti per la sofferenza e un sorriso chiaro in volto, mentre sgrano gli occhi alla vista di Yūri che rientra a casa stanco, carico di buste, che gli cadono per terra quando si accorge immediatamente di me.
È come se mi vedesse in piedi per la prima volta, ogni dannato momento che mi trattengo troppo a lungo in piedi per vedere il suo sorriso emozionato coloragli il viso. Non se lo aspetta, per lui è un regalo magico che riesco a donare solamente a lui.
Gli ricordo sempre i miei progetti per il programma del concorso, facendogli ascoltare la musica che mi è rimasta impressa nelle orecchie, mentre cadevo di nuovo in quel buio innaturale che mi ha lasciato solamente dolore e sogni, ma Yūri non mi sembra mai molto interessato. Mi accorgo che finge, simula un sorriso stanco per compiacermi, come se non trovasse il modo per dirmi di no. Non capisco davvero dove sia finita la sua passione, la sua voglia di pattinare che lo spinge a stare meglio. Io ormai non ho più speranze, ma lui si, e il fatto che abbia messo da parte la sua passione più grande per colpa mia e della sua odiosa tristezza mi fa avvampare di collera.

Oggi però è un giorno importante, che mi fa battere il cuore fortissimo. Il fisioterapista mi ha sconsigliato di pattinare di nuovo -così presto specialmente- ma ho implorato Yūri di rendermi felice, e di riportami in pista, anche solo per sentire sulla pelle quel fresco familiare che mi cullava sui pattini.
Con disappunto preoccupato, alla fine, Yūri si è convinto ad accontentarmi, portandomi nel palazzetto vuoto appositamente per noi due. Entro nell'enorme struttura con passo zoppo, sostenuto da una stampella impugnata sotto braccio, mentre con gli occhi chiari e brillanti ripasso a memoria ogni angolo di quella che è stata la mia seconda casa da quando ero appena un bambino.
Sul viso ho un sorriso enorme che non riesco a placare, persino quando la mia caviglia destra si flette troppo velocemente, tranciandomi il fiato con un gemito muto e pieno di dolore.
Yūri se ne accorge, ma devia lo sguardo quando lo rassicuro con un sorriso insofferente. È tutto così triste in questi brevi momenti.

«Coraggio, cosa aspetti? Allaccia i pattini e buttati in pista, dobbiamo iniziare a provare.» dico a Yūri, sedendomi goffamente su una panchina degli spalti più vicina alla pista, con un entusiasmo esuberante nei miei gesti impacciati e doloranti. Yūri sospira timidamente, chinando il capo per sfilare dal viso i suoi occhiali da vista. Infila i pattini neri, e poi scivola con leggerezza sul ghiaccio bianco che emette un debole rumore graffiante sotto il suo peso.
«Avevo in mente una sequenza di salti nella seconda metà, mentre all'inizio potresti iniziare con movimenti morbidi delle braccia.» gli suggerisco ad alta voce, con gli occhi incollati alla sua figura snella vestita di nero.
«Okay, quindi, cerco di improvvisare qualcosa, dimmi cosa ne pensi.» risponde Yūri, annuendo con stanchezza.
Si spinge intorno alla larghezza della pista, con l'aiuto delle ginocchia che lo accompagnano ad una velocità moderata e quieta. Socchiude gli occhi, che di sicuro non riescono a vedere molto in assenza dei suoi occhiali da vista, mentre le ciocche corvine gli si spostano indietro per via della brezza d'aria fredda che gli va' incontro. Il motivo della musica mi risuona in mente, e credo proprio che anche Yūri sia concentrato sull'inizio di quella melodia romantica e lenta.
Si ferma al centro della pista dopo un breve riscaldamento, con il corpo morbido e ben dritto, mentre lentamente alza le braccia verso l'alto, sfiorandosi il viso con le nocche. Si muove su se stesso con una veloce deviazione che crea una mezza giravolta, con le ginocchia flesse. Ad occhi chiusi continua a muoversi senza guardarmi, forse perché non riesce a inquadrare la mia figura ormai stravolta dalle cicatrici e dal dolore senza piangere.
Continua a far muovere le braccia con eleganza e superbia, ondeggiando le mani nell'aria, e muovendosi sul posto con non troppa intensità.
Inizia a pattinare più velocemente, quando un nodo alla gola mi soffoca, e la vista mi si annebbia per colpa delle lacrime che non riesco a far scendere sul mio viso chiaro.
«Fermati.» dico, paralizzando Yūri di soppiatto, ricevendo la sua attenzione preoccupata.
Ho quella dolorosa voglia di volare sul ghiaccio, anche se starò male, anche se urlerò e piangerò dalla sofferenza, voglio stare in piedi e tenermi in equilibrio sui pattini.
«Victor, tutto bene?» mi domanda lui, immediatamente vicino a me.
«Fammi pattinare, ti prego, ne ho bisogno, per favore.» lo supplico, stringendogli i gomiti.
«Non se ne parla assolutamente, hai sentito cosa ha detto il fisioterapista, no?»
«Non mi importa! Non mi importa nulla! Ti supplico non privarmi di ciò che amo di più al mondo!» le lacrime stanno quasi per scappare dai miei occhi, invadendo la mia voce che si storpia dalla disperazione.
Vedo il viso di Yūri tramutarsi in una smorfia di delusione, quando sente le mie parole.
«Credevo che ciò che amassi di più al mondo fossi io. Non essere egoista Victor, non rovinare i tuoi progressi per un desiderio che non porterà a nulla. Se non vuoi farlo per te stesso, allora fallo per me, per Yurio e per tutte le persone che ci tengono alla tua salute.»
«Smettila di ricordarmi quanto io stia male! So' di essere uno storpio incapace persino di mettersi in ginocchio! Ma ti prego rendimi felice, ti supplico, nessuno meglio di te potrebbe capirmi.» tiro su con il naso, un oceano gonfia e arrossa il mio sguardo proiettato sul viso di Yūri, che tengo stretto tra le mani, vicino al suo respiro in maniera spaventosa.
«So che rischio davvero tanto, ma non mi importa. Preferisco non poter più camminare per mesi piuttosto che lasciarmi scappare l'occasione di poter pattinare di nuovo, anche per l'ultima volta. Voglio pattinare con te, come dopo la finale del Grand prix. Voglio che tu mi faccia volare nei nostri respiri. Ti prego Yuuri, ti prego.»
Yūri si morde il labbro, accarezzandomi il viso con dispiacere e tristezza, mentre china il capo di lato e stringe i denti.
«Sei un maledetto manipolatore Victor. Ti giuro che se cadi ti lascio per terra e poi ti faccio picchiare da Yurio.»
Inizio a ridere con sollievo ed estrema gioia, afferrandogli la nuca per spingerlo alla mia altezza, assaporandolo in un bacio rumoroso e coinvolgente, che lo intenerisce ancora di più.

Mi aggrappo con forza e paura agli avambracci di Yūri, mentre vengo spinto lentamente da lui sul ghiaccio, con le gambe rigide e lievemente flesse dal freddo, che mi circonda e che peggiora gradualmente lo stato delle mie ormai vecchie fratture. Serro le labbra con estrema concentrazione, guardando il viso affaticato di Yūri che con tutte le sue deboli forze sostiene il mio corpo senza farmi cadere. Respiro rumorosamente dal naso, assalito dalla frustrazione quando mi rendo conto che senza di Yūri non sarei capace nemmeno di stare immobile e in equilibrio sui pattini.
Ecco che ritorna quel dolore lancinante; i piedi dentro i pattini pulsano in fitte veloci e profonde che mi graffiano le caviglie e i talloni, mentre i polpacci tremano e le ginocchia diventano innaturalmente rigide. Le anche sono tormentate da una manciata di coltellate gelide che mi colpiscono ripetutamente il bacino, annegando in un dolore che nessuno credo riuscirà mai a provare e a comprendere.
Inizio ad ansimare, e finalmente quelle lacrime pesanti traboccano dall'azzurro delle mie iridi, bagnandomi il viso senza alcuna vergogna. Sono patetico, dai miei singhiozzi traspare tutta la mia disperazione e la mia rabbia, che in questo momento mi fa desiderare di urlare e prendere a pugni qualcosa. Voglio continuare a piangere finché il dolore non mi ucciderà, e forse nell'aldilà potrò finalmente tornare a pattinare.
Yūri aveva ragione, è stato uno sbaglio provare questa ridicola farsa.
Le forze mi abbandonano, così finisco per sedermi sulla superficie gelida del ghiaccio che mi inietta altra sofferenza alle gambe. Yūri non può fare a meno di seguirmi, inginocchiato scompostamente difronte a me, ancora ostaggio delle mie mani stanche e calde.
Piango, così forte da riempire tutto l'enorme ambiente della pista con il rumore impietosito dei miei singhiozzi. È tutto finito, ho perso contro me stesso.
Yūri respira pesantemente, prendendomi il viso umido di lacrime tra le mani;
«Sta calmo Victor, torniamo a casa adesso, okay? Se ti fa troppo male chiamo qualcuno, non ti lascio, d'accordo? Non ti lascio.»
«Mi odio! Mi odio!» urlo, stringendomi di scatto le mani al petto, piegato in due dal dolore che mi sta dilaniando anche l'anima.
«No Victor, amore non dire così. Pattinerai di nuovo, non adesso, ma quando starai meglio, non avere timore.» la voce dolce e al contempo disperata di Yūri cerca inutilmente di consolarmi.
«Non è vero! Non pattinerò mai più! È tutto finito! Tutto!» le urla mi strappano le corde vocali, ma il calore delle mani di Yūri mi tiene ancora saldo alla realtà, accasciato sul ghiaccio che avrebbe dovuto essere la mia unica salvezza.
«Sarai il mio coach, mi allenerai per il concorso ed io vincerò. Non mi importa se non potrai pattinare, io ti starò vicino, andremo avanti. Mi stai ascoltando? Sono qui Victor, sono qui.»
Singhiozzo ancora, a voce alta, mentre il corpo di Yūri mi avvolge in un abbraccio che regola il mio respiro nervoso.
«Yuuri, cosa si fa quando si perde la speranza?» domando, con un mugugno basso e vago nel suo petto.
Yūri sorride amaramente, poggiando le sue labbra sulla mia testa;
«Si sta in silenzio, seduti in un angolo scuro della nostra paura, e si aspetta che qualcuno arrivi a salvarci.»
«E quanto tempo dovrò aspettare io?»
«Non c'è bisogno che tu aspetti, io sono qui, ci sono sempre stato, e ti darò la mia stessa vita pur di salvarti.» dice.
Gemo in maniera strudula, mentre Yūri mi riporta in piedi, a fatica, fino agli spalti della pista dove mi siedo più comodamente su una panchina.
Mi asciuga le lacrime con la manica della sua felpa nera, slacciandomi i pattini con estrema cautela, per evitare che le mie caviglie tremino in un impeto di dolore improvviso.
Lo guardo essere così premuroso e preoccupato nei miei confronti, con il cuore piccolo piccolo e i sensi di colpa che mi divorano lo stomaco. Non dovrei coinvolgerlo in reazioni simili da parte mia, nessuno dovrebbe assistere a questo stato pietoso in cui sono intrappolato.
«Yuuri, non dovresti prenderti tutte queste responsabilità, non voglio essere un peso per te.»
Ride, rivolgendo l'attenzione su di me, dal basso verso l'alto, chinato tra me mie gambe rigide e immobili.
«Un peso? Anche se lo fossi, non potrei fare a meno di amarti di meno.» dice, riuscendo a strapparmi un lieve e stanco sorriso innamorato. Gli accarezzo il viso, cullandomi tra il temporale di sofferenza che traspare nel suo sguardo scuro.

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