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Yuri

Sono circa le cinque del mattino, e, approssimativamente, io e Yūri siamo in ospedale da quasi otto ore. Le condizioni di Victor sono rimaste stabili, e durante la notte non ha avuto poi molti cambiamenti. Il medico dice che è buon segno, sempre meglio rimanere costante che avere un peggioramento. Ha anche detto che se il gonfiore agli organi interni, quali soprattutto polmoni e stomaco, continueranno a diminuire lentamente, allora si potrà iniziare a far svegliare Victor da questa specie di coma farmacologico.
Non sono un medico, e nemmeno un uomo adulto pronto ad affrontare ogni cosa a testa alta, ma anche se Yūri sembra più o meno calmo, non riesce proprio a gestire la situazione. Dannazione a lui e al suo fottuto carattere debole, non riesco proprio a capirlo; perché si comporta come una donnetta disperata? È il momento di lottare, di farsi spazio tra tutti e darsi forza l'un l'altro, ma sembra proprio che l'unico ad essere forte in questo contesto sia io, un appena sedicenne senza nessun tipo di sostegno.
Ma perdonerò Yūri per questa sua reazione, dopotutto, anch'io sono sul punto di crollare, da un momento all'altro, sento che mi sgretolerò in un milione di pezzi, per poi sparire tra la polvere e rimanere nel silenzio per sempre. Io voglio bene a Victor, anche se sono sempre stato uno stronzo acido e aggressivo, io gli voglio davvero bene, e so' che anche lui me ne vuole, tanto.
I soccorsi hanno fatto rapporto dell'incidente, che Yūri ha voluto leggere per primo, senza darmi nemmeno il tempo di affiancarlo per sbirciare qualche parola.
Ha dato una veloce occhiata al fiume di parole nere sulla carta bianca, ha stretto troppo forte il bordo creando un orecchione, e alla fine me lo ha passato, senza proferire una parola, fermo lì, seduto accanto al letto di Victor da quasi quattro ore.
Dai referti, l'incidente è avvenuto dopo nemmeno quindici minuti da quando Victor aveva lasciato il campo di pattinaggio. Un automobilista con dei problemi ai fari della macchina, percorrendo la strada non molto trafficata ad una velocità superiore al limite, ha preso in pieno Victor, che è rimasto schiacciato dentro la sua auto. Ci sono voluti più di trenta minuti prima che i soccorsi lo tirassero fuori, e questo spiega perché l'ospedale ci ha contattati così tanto tempo dopo l'accaduto.
In fondo al documento c'è anche la diagnosi fredda e sintetica delle condizioni di salute di Victor;
Contusioni interne da schiacciamento agli organi che interessano la cavità pettorale, una distorsione al polso sinistro, svariate ferite al viso e al corpo non troppo gravi, e poi, come ultimo e scioccante dettaglio, il doloroso disastro che ha colpito le sue gambe.
Ho pianto, leggendo tutti quei nomi di ossa e legamenti, accompagnati da una serie di elenchi drammatici che non hanno molta speranza di essere guariti.
Entrambe le anche sono spezzate in cinque punti diversi, alla rotula destra, Victor ha subito un'operazione d'urgenza per cercare di ricomporre i pochi frammenti di osso rimasti con una protesi, mentre per il resto delle altre fratture -sia ai femori, che alle caviglie e ai piedi- dovranno intervenire in futuro, per valutare se sia necessario o meno usufruire di altre placche interne.
Non sono un medico, e nemmeno uno che cerca di cogliere qualcosa di positivo in certe situazioni, o dare una speranza a tutto. Ma ho pianto, bagnando quel maledetto foglio di carta.
Perché Victor non potrà più pattinare, forse, nemmeno camminare. Perché mi sono reso conto della realtà drammatica che mi è appena crollata addosso, sia a me che a Yūri. Non so' cosa stia provando esattamente in questo momento, non so' a cosa stia pensando, se è ancora nel panico, o se è abbandonato alla disperazione. Ma per un'ora non sono riuscito a rientrare nella stanza di Victor, non sono riuscito a rivedere entrambi.
Victor ha perso tutto, il suo sogno, la sua passione, la sua carriera, le sue gambe, e forse, anche la vita. Cosa gli diremo, quando, e se, si risveglierà? Come diamine riusciremo a dire ad una persona che probabilmente non potrà più mettersi in piedi? Mi passano milioni di pensieri per la testa, e soprattutto, sto seriamente pensando di tornare a casa e farmi una dormita, in pace, come se non fosse successo nulla.

Sono le cinque del mattino e ho sonno, sono stanco, e nemmeno la presenza di Yakov e Lilia riescono a tirarmi su'. Il nonno è arrivato immediatamente, non appena ha saputo che ero in ospedale, terrorizzato, per aver capito che quello ricoverato fossi io. Mi ha abbracciato forte, come se stesse per perdermi, ed allora, io sono crollato ancora, piangendo come uno debole, fra le braccia più calorose e sicure di cui avevo bisogno.
Mi ha portato qualcosa da mangiare, coprendomi con la sua sciarpa perché, anche se in ospedale trasuda un'aria opprimente, le temperature sono comunque basse, e lui ha avuto premura di non farmi prendere un malanno.
Sono fuori dalla stanza di Victor, e Yūri non è ancora uscito. Yakov e Lilia hanno fatto parecchi viaggi, furi e dentro dalla camera, probabilmente per assistere Yūri e informare altri conoscenti dell'accaduto telefonicamente. Ma il mio coach mi chiama, in un eco coatto e fastidioso, sento chiamarmi. Mi metto in piedi, stordito e con gli occhi rossi, avvicinandomi a lui lentamente. Anche lui è visibilmente sconvolto, e probabilmente ha pianto di nascosto chissà in quale stanzino.
«Yuri, il medico ha deciso che Vitya deve essere svegliato, gli organi si sono sgonfiati, e tenerlo ancora così sotto i farmaci non gli farà bene...»
Deglutisco, varcando, di mala voglia, la soglia della stanza, in cui vedo Yūri, perfettamente immobile, nella stessa posizione che lo sta facendo ingobbire da ore ormai.
Non so' cosa risponde, vorrei annuire o almeno esprimermi con un mugugno, ma rivedere Victor in quelle condizioni mi riporta allo stato pietoso in cui stavo cercando di liberarmi.
«Ci vorrà un po' di tempo prima che riprenda del tutto conoscenza, e dovrà comunque restare sotto sedativi per via del dolore, per questo motivo vogliono che tu e Yūri aiutaste Vitya a svegliarsi.»
«Cosa?» sbotto confuso, guardandolo in viso.
«Dovete soltanto chiamarlo, parlargli, essere voi stessi, come se stesse vivendo nella normalità, per aiutarlo a rimanere vigile e a farlo risvegliare lentamente.»
«N-non posso farlo, i-io...» è una cosa troppo strana e dolorosa da fare in un momento simile, semplicemente, non riesco a trovare nemmeno la voce per parlare. Voglio uscire di qui, voglio andare via, voglio tornare dal nonno, e smettere di guardare la dannata faccia tumefatta di Victor.
Gli hanno tolto dalla gola quel grosso tubo trasparente, sostituito da una mascherina poggiata sul suo viso, che probabilmente lo fa respirare.
«Yakov, ti prego...» ho trovato finalmente un filo di parole per cercare di liberarmi da questa proposta, ma immediatamente vengo interrotto dalla voce di Yūri, che, come se non mi avesse nemmeno visto, inizia a parlare con voce dolce e tono basso.
«Ho preparato la cena, Vitya, però se continui a farci aspettare si fredderà...»
Mi avvicino al letto, con sguardo perso e sconvolto, debole nel corpo e nell'anima, ma gli occhi sono incollati su Yūri.
«Oggi pensavo, che dovresti spostare i salti nella seconda metà, e che come colonna sonora, protesti portare "Yuri in ice". Non ti sembra una bella idea? Non sai quanto ne sarei felice.» ride, e nel suo viso non riesco a distinguere nessun tipo di tristezza o dolore. Mi batte forte il cuore, questo dialogo così normale mi fa quasi impressione.
«Cosa ti passa per la testa, poi? Forse tu non lo sai ancora, ma hai fatto un'enorme casino per me. Cosa avevi in mente?» increspa la fronte con un mezzo sorriso e si spinge di più al corpo inerme di Victor.
«Ti farà male, tanto, quindi tieniti pronto Victor.» Yūri ha cambiato tono, accentuando una lieve cadenza autoritaria con un sibilo del suo accento giapponese.
«Ma sta tranquillo Ai*, ci sono io con te, non sei solo.»
«Ascolta Cotoletto e non fare scherzi, hai capito?!» simulo il tono severo che assumo di solito, stringendo i pugni e deglutendo rumorosamente nel tentativo di non piangere. Yūri mi ha fatto un grande regalo; ha ascoltato la mia richiesta, mi sta dando forza, così riusciremo ad esser forti insieme.
Lungo il lenzuolo chiaro che copre il petto di Victor, la sua mano destra, priva di ingessatura, vibra in un'impercettibile movimento che compiono le sue dita, quasi come se stesse accarezzando qualcosa con i polpastrelli.
Sorrido, lo fa anche Yūri.

Corro in bagno, quando il mio cellulare quasi del tutto scarico squilla. La voce di Otabek non è cambiata affatto, è sempre limpida e fredda, e a me piace. Mi accarezzo le labbra secche con due dita, mentre poggio la schiena contro la parete.
«Ho saputo dell'incidente di Victor, è terribile.» dice.
Annuisco tra me, assecondandolo con un mugugno stanco ma allo stesso tempo emozionato. È bello, sentirlo dopo tanto tempo, fino a pochi giorni fa, riuscivo a mettermi in contatto con lui solo tramite SMS. Non l'ho mai telefonato, per colpa del mio orgoglio e della vergogna che provo, probabilmente, in circostanze diverse avrei iniziato a balbettare come un totale idiota.
Otabek mi pice, è molto simile a me.
«Yuri.» chiama il mio nome dall'atro capo del tefono, ed io ritorno alla realtà. «Avrai bisogno di aiuto, da solo sarà difficile affrontare tutto.»
«C'è mio nonno, Yakov, e anche Yūri...»
«Non è abbastanza per te, hai bisogno di qualcun altro. Hai bisogno di me.»
«Otabek non capisco...» scrollo il capo, piegandomi lievemente in avanti.
«Ho già prenotato un biglietto aereo per la Russia, entro domani sera sarò lì.»
Mi muore qualsiasi tipo di suono in gola.
«Non ti lascio solo Yuri, non adesso.»

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