capitolo 50 - Vicky

Alex si chiude stretto nel suo piumino facendo particolare attenzione a non mostrare il collo. "Più che sorpreso aprendo la porta mi sono spaventato. Ho creduto per un secondo di avere di fronte un ladro."

"Hai molto freddo stasera?" Chiedo incrociando le braccia al petto quando lo vedo stringersi il giubbotto intorno al collo.

Alze le spalle, "C'è un gran vento fuori, ma questo lo avrai notato anche tu."  Il suo viso regala un sorriso tirato.

È certamente sulle spine e il suo continuo spostare il peso da un piede all'altro ne è la prova. Vorrei andare dritto al punto, ma voglio giocare ancora un po' al gatto col topo e vedere fin dove arriva. "Avevo capito che stasera saresti rimasto a casa?" Non gli tolgo gli occhi di dosso.

"Ehm," è visibile l'imbarazzo, "sono dovuto andare da uno degli allenatori perché... perché doveva darmi il calendario di alcune partite". Nel frattempo si dirige verso il corridoio che porta alla camera da letto tenendosi a distanza da me.

"Capisco. Quindi non ti dispiacerà se ti chiedo di mostrarmelo."

Si blocca nel bel mezzo della stanza, la mia figura in questo momento troneggia forte di essere dalla parte della ragione mentre la sua si fa più piccola e invisibile. "Che ti prende, amore," chiede con finta aria offesa, "non ti fidi di me?" A sentir pronunciare quella maledetta parola, intrinseca di falsa sdolcinatezza, la rabbia cresce, sale come un'onda, "Come osi chiamarmi amore!" Lo minaccio con l'indice ringhiando e percepisco il mio petto salire e scendere a ritmo incalzante come dopo una corsa e questa volta è maledettamente in salita. "Non sei degno di riempirti la bocca con una parola come quella."

Con aria stranita, dopo essersi ripreso la mascella che nel frattempo gli è ricaduta sul mento per l'impeto con cui l'ho investito, chiede: "Vicky, che ti prende? Non capisco..." Scuote la testa per l'incredulità e un piccolo ciuffo di capelli corvini sfugge alla chioma sempre così perfettamente in ordine. Probabilmente le mani della sconosciuta stasera sono passate più volte tra i suoi capelli scompigliandoli a tal punto d'aver perso la loro fredda compostezza.
A me l'ultima volta non lo ha permesso.

Sorrido ironica mentre lascio le braccia ricadere stanche lungo il corpo e con indulgenza replico: "Ti ho visto, Alex."

Aggrotta le sopracciglia, "Visto cosa?"

"Dannazione," stringo gli occhi ai lati,  "hai ancora il coraggio di guardarmi dritto in faccia ed essere persino sinceramente stupito. Come cavolo ci riesci?" Decido di mettere la parola fine una volta per tutte, sono stufa dei suoi giochetti. "Stasera ti ho seguito e so che ti vedi con un'altra". Nonostante mi si attorcigli lo stomaco riesco a guardarlo senza piangere.

Alex mostra debolezza; ha perso la battaglia e anche la guerra. Il suo corpo sempre così energico e atletico questa volta si incurva, come dopo una bastonata, e si trascina fino al divano dove si lascia andare con un profondo e rumoroso sospiro. Gli occhi chiusi mentre reclina la testa all'indietro appoggiandola allo schienale, un segno rosso è visibile sul collo. Io resto in piedi, immobile, circondata da un silenzio che sembra eterno e pesante mentre fisso quel inequivocabile cerchio sulla pelle.
Alex continua a rimanere nella sua posizione, è evidente che non ha intenzione di scusarsi. Raccolgo la sacca appoggiata vicino ai piedi che è, lì, pronta per darmi la possibilità di andarmene lontano da lui.

Con un rantolo interrompe il suo mutismo e la mia fuga. "L'ho fatto perché sono diventato geloso." Sbatto le palpebre ritmicamente per lo stupore mentre lo vedo piegarsi in avanti, appoggiare i gomiti sulle ginocchia e proseguire fissando le mani che si intrecciano. "Mi piace il mio lavoro, il basket, la mia vita in generale, ma vedere la passione e l'entusiasmo che metti nelle cose che fai mi ha dato fastidio. Il modo come ti affanni con gli allenamenti di kick per essere sempre presente, la soddisfazione di quando torni a casa dal lavoro perché sei riuscita a rendere contenti i clienti dell'hotel è quasi irritante e poi da quando hai iniziato a frequentare quella dannata palestra, quel gruppo di ragazzi, sei cambiata."

"Non starai scaricando la colpa su di me, spero?" Porto le dita a indicarmi il petto.

Scuote la testa, "No, sono solo uno stupido insicuro," alza il viso, i nostri sguardi si incrociano, "ma, Vicky, non pensare che io non ti amo."

Scoppio in una risata amara, "Gran bel modo di dimostrarmelo."

Punta le mani sul bordo del divano, si alza muovendo alcuni passi nella mia direzione. "È vero, invece. Non sono così cieco e studipo sai, Vicky? Mi stavo rendendo conto ogni giorno di più che ti stavi allontando da me. Non te ne sei accorta, di questo sono sicuro, ma mi stavi scivolando tra le dita e quando quella ragazza ha cominciato a guardarmi come facevi tu prima, non ho saputo dire di no, non sono stato in grado di fermarmi a pensare."

"Perché non dirmelo? Cercare di parlarne insieme?"

"Ero sopraffatto da tutta una serie di emozioni che provavo stando con lei. Ho creduto fosse quello che volevo. Trovare una scusa per distruggere definitivamente il nostro rapporto o, semplicemente, sono stato solo uno stupido codardo e non ho più avuto il coraggio di parlartene. Ti vedevo sempre troppo felice e volevo punirti."

"Bè, direi ci sei riuscito, Alex." Scuoto la testa.

"Dio, Vicky," si porta le mani tra i capelli con frustrazione e prosegue, "ti ho vista tornare dalla palestra sempre così felice, soddisfatta. Nelle occasioni in cui li abbiamo incontrati hai regalato a loro quei sorrisi che una volta erano tutti per me. Quel tuo sguardo carico di amore e gioia ho sempre pensato fosse un dono tutto mio, che facevi solo a me, invece hai cominciato a rivolgerlo anche a loro." Alex mi afferra le spalle, la sacca cade per terra con un tonfo esattamente come il mio cuore. "Credimi se ti dico che non ho mai smesso di amarti, volevo parlarne, discuterne, ma..." la stretta si allenta, si volta, punta il viso verso l'alto come a cercare un suggerimento poi con voce roca prosegue, "l'idea di farti soffrire mi piaceva." Sgrano gli occhi attonita.

Quando rivolge nuovamente il viso nella mia direzione è sofferente, i suoi occhi grigi sono tristi, ma non mi faccio convincere. "Continuo a non capire perché hai voluto infliggermi una sofferenza come questa."

Affonda le mani nelle tasche dei pantaloni. "Odiavo quella contentezza che vedevo riflessa sul tuo volto quando si trattava dei ragazzi della palestra. Il fatto che non dipendessi più da me per fare le cose. Hai cominciato a uscire con loro, sei stata in montagna a sciare, fuori a cena. Non avevi più bisogno della mia compagnia o dei miei amici..."

Sono sotto shock per la sua confessione. Quando pochi secondi dopo mi riprendo, come un fiume in piena che rompe i ponti, do sfogo a tutto il mio risentimento. "Che ragionamento da egoista è questo? Fammi capire, finché si è trattato di essere una tua proprietà esclusiva è andato tutto bene, ma nel momento in cui trovo altri interessi decidi che la soluzione è farmi soffrire e trovarne un'altra! Sono allibita. Avremmo potuto discutere e trovare una soluzione più matura, non credi?" Poi rincaro la dose. "La tua gelosia non è debolezza, sei solo un bambino viziato."

Alex scoppia in una risata amara. "Oh, Vicky! Tanto bella quanto ingenua... Dovresti ringraziarmi perché ti ho fatto solo un favore."

Aggrotto le sopracciglia. "Ringraziarti! Questa poi..." allargo le braccia. "Tu che parli di favore!? E di che tipo? Questa cosa mi sfugge."

Scuote la testa socchiudendo gli occhi con aria di accondiscendenza, "Oh Vicky, Vicky, ora sento che hai trovato qualcun altro e che non sono mai significato così tanto per te. Sentire ciò mi lacera dentro e vederti mi taglia come un coltello. Non sei più innamorata di me, lo vedo e l'ho visto già dalla sera del concerto quando ti sei messa a discutere col tuo istruttore."

"Mark. Cosa c'entra lui adesso?" Non so perché ma il cuore ha preso a battere all'impazzata. Sento mille spilli trafiggermi il petto e divento nervosa.

"I vostri sguardi erano intensi, c'erano scintille ovunque. Ti guardava in modo troppo strano e tu non eri da meno. Ho pensato di immaginare tutto ma credo di conoscerti e..."
Dio, sempre questa storia. Odio essere così trasparente.
"e non mi sbaglio se dico che anche tu provi qualcosa per lui."

"Che cosa!?" Ridacchio in maniera quasi isterica. "Oh, se sei in errore, caro Alex" cerco di mascherare il nervosismo per la piega che sta prendendo la discussione. "Stai di nuovo provando ad addossare a me la colpa del tuo tradimento, ma non ci casco."

Di nuovo sorride. "Hai la voce che trema, Vicky. Non m'inganni. Sono stato superficiale e, forse, anche immaturo però non sto sbagliando."

Mark, Mark, sempre Mark. Più cerco di liberarmene più torna indietro come un boomerang, ma... Improvvisamente mi blocco, un nuovo pensiero prevale sugli altri, incalzante e attraversa il cervello come una lama affilata. Sento la voce di Mark incisa nella memoria, mi riempe le orecchie "Di cosa ti preoccupi, tanto lui starà facendo altrettanto con un'altra" poi, gelida come un brivido, l'idea monta letteralmente lungo la spina dorsale facendomi rizzare i capelli in testa e i peli sulle braccia. Non ha tirato a indovinare.
Diamine, lo sapeva! Come cavolo faceva a essere a conoscenza del fatto che Alex mi stava tradendo quel giorno?
Vengo assalita da un terribile senso di angoscia. La testa comincia a girarmi.
Oddio, lui lo sapeva già! Porto le dita alla bocca a soffocare i pensieri che urlano in testa, ma c'è qualcosa che non mi torna. Ho mille domande a cui voglio avere delle risposte e sono senza fiato mentre la mente si riempe di dubbi: Mark sapeva tutto!

L'unica cosa che riesco a fare è raccogliere nuovamente la borsa.

"Cosa succede, Vicky? Hai una brutta faccia? Non vuoi sederti un attimo." Alex mi sostiene per una braccio, le sue dita fredde mi risvegliano dallo stato angoscioso in cui riverso.

"Mark," balbetto, "Mark lo sa, lo ha sempre saputo." Sono incredula.

"Saputo cosa, Vicky?" Guardo le sue dita che saldano la presa.

"Sto bene, Alex, ma devo andare. Nei prossimi giorni tornerò a riprendere le mie cose." Libero il braccio con un movimento del gomito e senza guardarlo mi dirigo verso la porta. Continuo a ripetere che devo parlare con Mark.

Prima di afferrare la maniglia la voce di Alex mi raggiunge un'ultima volta, "Come mai oggi sei tornata a casa presto? Non dovevi essere in palestra."

Lo guardo con aria attonita, ho momentaneamente rimosso l'incontro con il direttore. "Perché oggi al lavoro mi hanno offerto la possibilità di fare un corso a Londra per diventare direttore e, pensa, ne volevo parlare con te."

Sorride della battuta ironica poi aggiunge, "Che bella cosa. Sono davvero contento, so quanto ti piace il tuo lavoro."

"Già..." rifletto per una frazione di secondo. "Adesso, penso proprio che accetterò." Appoggio la sacca sulla spalla.

"Dove stai andando? Perché non ti fermi qui."

"Ti ringrazio, ma preferisco di no."

"Vai da tua sorella?"

"No," anche se dirle in faccia che su Alex si sbagliava non mi dispiacerebbe, "penso che chiederò alla mia amica di ospitarmi per qualche giorno."

"Sicura di non voler restare?"

"Sicura." Il cuore si sente più leggero. Lasciare Alex e partire per Londra in questo momento sono le cose che voglio fare con una gran leggerezza nell'animo come mai prima d'ora anche se il bisogno di chiarire con Mark è un richiamo a cui non so resistere.

Apro la porta di quello che ora è solo l'ex appartamento e il corpo viene accarezzato da dell'aria fredda proveniente dal pianerottolo, rabbrividisco leggermente stringendo le spalle. Mi volto un'ultima volta, Alex sembra così indifeso in questo momento. "Ciao, Alex" pronuncio sommessamente senza sorridere. In fondo sono dispiaciuta che sia finita male.

Alza la mano in segno di saluto, "Ciao, Vicky."

Richiudo la porta alle spalle, termina così un altro capitolo della mia vita.
Cerco di calmarmi, ora devo solo dimenticare e voltare pagina.

***********
Buttata la sacca sul sedile, metto in moto l'auto e intanto che faccio mente locale, cercando di ricordare dove abita Mark, chiamo Anna.

"Vicky!" il suo tono è preoccupato. "Sono quasi le undici di sera, tutto bene?"

"Scusami tanto, Anna, ma ho da chiederti un favore enorme."

"Dimmi."

"Posso stare da te per qualche giorno?"

"Certamente, ma che succede? Hai litigato con Alex?"

Inspiro e butto fuori un, "L'ho lasciato."
Nessun senso colpa, niente rimorsi, niente lacrime.

"Accidenti!"

"Sarò da te tra un'oretta, è un problema?" Non le lascio il tempo di chiedermi spiegazioni, per quelle ho tempo più tardi.

"Assolutamente no, vieni quando vuoi."

"Grazie mille, sei un'amica. Ti chiedo un'ultima cosa..." sono così imbarazzata. Deglutisco, "la via dove abita tuo fratello" e riprendo subito  aggiungendo la giustificazione "devo parlare con lui di una cosa."

"Tranquilla, quando sarai qui mi darai tutte le spiegazioni. Sono sicura che hai avuto le tue buone ragioni per lasciare Alex e saranno giuste anche quelle che ti portano da mio fratello."

Quando concludo la telefonata il navigatore inizia a gracchiare le indicazioni per raggiungere la casa di Mark, le mani tremano, il cuore rimbalza nel torace a ogni battito. Sto per fare un nuovo viaggio nel mondo delle spiegazioni e spero vada tutto bene.

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