capitolo 49 - Vicky

Chi l'avrebbe mai detto che sarei tornata! Eppure...
Chiedo soprattutto umilmente perdono a tutti. Non ho dimenticato voi che mi avete seguito fino a qui e tanto meno la storia. Il problema non è stato per mancanza di idee anzi, se quelle ogni tanto evitassero di rimbombarmi in testa come tanti belati di un gregge di pecore gliene sarei anche grata e tanto meno sono stata impegnata in chissà quali misteriosi progetti letterari, in realtà, non riuscivo a scrivere. Già conscia di essere una pessima scrittrice le parole hanno cominciato a sparire, non trovavo mai l'attacco giusto così, ho preso una pausa e solo nelle ultime settimane mi sono riconciliata col vocabolario. Ovviamente resto sempre una scrittrice da strapazzo, ma almeno riuscirò a concludere la storia per me stessa e per chi non si è ancora dimenticato di Vicky, Mark e compagni.
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Cuorerubino

Dopo quasi dieci minuti forse più, non ne ho idea sono troppo concentrata a non perderlo, vedo accendersi gli stop della sua auto. La luce giallastra della freccia di sinistra inizia a lampeggiare e Alex si infila in una via stretta. Continuo a tenermi a distanza giusto quel tanto da non farmi vedere poi giro anch'io.
Il cuore non smette di battere a ritmo incessante, picchia forte ed è l'unico rumore che c'è all'interno della macchina. È stato così per tutto il tragitto. Forse adesso ha persino deciso di uscirede dal petto e cerco di fermarlo poggiando la mano al centro del petto. Poco più avanti, il grosso parcheggio di un Macdonald è la sua destinazione. Non capisco cosa ci faccia Alex in questo posto; a lui non sono mai piaciuti i fast food.
Il sangue intanto pulsa nelle tempie e una brutta sensazione mi attorciglia lo stomaco.

Dopo aver vagato per un minuto tra le file semi vuote del parcheggio, posteggia. Lo vedo togliere le chiavi dal cruscotto e decido di accelerare decisa a farmi vedere. Quando si richiude la portiera alle spalle, invece di dirigersi all'ingresso del ristorante, il suo viso si apre per un gran sorriso mentre afferra la maniglia dell'auto scura posteggiata vicino.
Di colpo blocco la macchina premendo con forza il piede sul freno. È talmente concentrato che non si guarda in giro e, nonostante sia celata da alcune auto, osservo perfettamente la scena. Socchiudo leggermente gli occhi con l'idea di voler mettere meglio a fuoco la situazione; non voglio perdere nulla perché in quell'auto c'è un'altra persona.
Quando, con l'apertura della portiera, la luce dell'abitacolo si accende, il viso del guidatore viene illuminato e posso vedere di chi si tratta. Lei sorride spostando i capelli chiari che le ricadono sulle spalle, un maglioncino dal colore sgargiante, scollato, attira la mia attenzione.
Il vento freddo, che ancora non vuole cedere il passo alla primavera ormai inoltrata, agita i pochi sparuti, magri, alberelli piantati all'interno della lunga aiuola che delimita le zone di parcheggio e la mente si ritrova scioccamente a pensare che l'abbigliamento della guidatrice sia un po' troppo leggero per il clima. Probabilmente ci tiene di più a fare colpo che alla sua salute.  

Nel frattempo Alex allunga la mano per sfiorarle la guancia, si sporge verso di lei per un bacio leggero poi un altro ancora, più lungo, più passionale, posso quasi immaginare le sue labbra diventare rosse per il segno lasciato dal rossetto presente su quelle di lei. Le mani affusolate e bianche sul viso della sconosciuta lo accarezzano. Sorridono complici e felici, si dicono qualcosa e la ragazza, un attimo dopo, annuisce accendendo il motore. Escono dal parcheggio diretti chissà dove ma ora non ha più importanza, Alex ha mentito.
Resto così: immobile, sola, nascosta.
Quante bugie... quante?
È riuscito a guardarmi negli occhi giurando che i miei dubbi erano solo inutili paranoie.
Cosa ho fatto di male per essere trattata così dagli uomini?
Prima Mark con il suo tentativo di portarmi a letto spacciandolo per vero interesse e per il quale ho cercato di accantonare il dolore che mi ha inflitto, ora la persona in cui ripongo la fiducia e l'ideale di futuro insieme.
Copro il viso con entrambe le mani pronte a raccogliere lacrime che stranamente non scendono. Sono arida.
Riguardo sotto shock lo spazio vuoto lasciato dall'auto... Che porco!

Il suono irritante di un clacson distoglie la mia attenzione dalla scena, l'autista, riflesso nello specchietto, gesticola perché sono ancora ferma, anzi, congelata nel bel mezzo della strada. Nonostante le mani tremanti parto lasciando quel parcheggio alle spalle.
Ora non ha più senso sapere dove sta andando Alex.

Guido verso casa con l'immagine di quei due che si baciano, che si dimenticano del resto del mondo, che si dimenticano della mia esistenza. La mente alterna momenti di totale buio ad altri dove continua a ripetere come un mantra: perché?

Una volta a casa, richiudo la porta alle spalle lasciando fuori quello a cui ho assistito ma non basta. Ho sperato di trovare nell'ambiente familiare un aiuto, invece, mi sento ancora di più una straniera. Un pezzo inutile dell'arredamento.
Devo ammettere che non sono mai riuscita a definirla casa senza sentire del gelo. Niente di quello che mi circonda mi appartiene o l'ho mai scelto.
Lascio cadere il corpo a peso morto sul divano, bianco, perfetto, voluto dalla madre di Alex, le mani afferrano la testa, vorrei urlare perché dallo sconforto sono passata alla rabbia. Se non altro, finché provo rabbia non sento dolore, ma sono sorpresa di non provare ancora nulla veramente.

Come ha potuto essere così infame!  Se ripenso alla nostra relazione a tutti i bei discorsi, ai ti amo, mi sento nauseata. Ha detto di amarmi. È stato lui a chiedermi di vivere insieme. Mi ha fatta passare per asociale e paranoica mentre usciva con quella ragazza.
Chissà da quanto va avanti!
Stupida, stupida!
Scuoto la testa con veemenza e inizio a girare per casa come una pallina impazzita gesticolando nell'aria.
Come ho fatto a essere così cieca. Perché non ho subito dato ascolto ai miei dubbi. Mi rendo conto che negli ultimi tempi ho trascorso la maggior parte del tempo a cercare di compiacerlo, il senso di colpa mi ha resa cieca. Tante volte avrei dovuto affrontarlo e mostrare polso. Ultimamente ho accettato i suoi atteggiamenti senza fiatare, pronta a piegarmi, a darmi della sciocca ogni volta che non credevo a ciò che diceva.
No, Vittoria, questo non è amore.

Ora la rabbia trova spazio e scansa del tutto la tristezza. Sono arrabbiata con Alex, con me stessa, con Mark.
Ecco, da quando è arrivato lui nella mia vita ho scoperto sentimenti nuovi, travolgenti. Oh, Mark...
Ripenso a cosa ho provato mentre mi sono trovata fra le sue braccia. Mi sono sentita confortata e a mio agio.

No, no, tutto sbagliato, è tutto sbagliato!

È meglio se mi fermo prima di spingermi troppo in là, prima di farmi travolgere da pensieri sbagliati. Mark non può essere il mio futuro.

Prendo un profondo respiro, devo andarmene da qui.
Sono ferita e amareggiata, ho bisogno d'aria fresca.

In camera butto la sacca sul letto, dall'armadio recupero alcuni vestiti e, mentre vengo investita dal profumo degli indumenti di Alex, un conato di vomito sale fino alla gola.

Amore!
Parlava di amore e ci sono cascata in pieno. Lo volevo. Volevo veramente un futuro con lui.
Mi sono mai sentita abbastanza sicura da riuscire a essere semplicemente me stessa davanti a lui? O forse mi sono solo accanita inutilmente nella ricerca di un ideale di vita perfetta. In tutto questo tempo ho sepolto il dolore, ho lasciato che l'amarezza crescesse, come un'erbaccia e che strangolasse tutti i pensieri positivi, il cuore e la fiducia nel prossimo.
Quello che poteva e doveva essere giusto.
Che stupida cieca!

In bagno recupero la spazzola per i capelli, lo spazzolino e poche altre cose, la mia immagine si riflette nello specchio sopra il lavandino. Gli occhi cerchiati di rosso: è mai stato un sincero sentimento il nostro? Forse non si è mai trattato del genere di "amore " con la a maiuscola. Non è stato l'amore discreto o resistente grazie al quale si affrontano gli ostacoli della vita insieme. Alex è arrivato come una folata di vento e con essa se n'è  andato.
L'ho veramente amato o mi sono solo ritrovata stupidamente a inseguire un sogno dimenticando i miei sentimenti?
Lui è sempre piaciuto a tutti, perché non poteva essere così anche per me?
Bello, simpatico, innamorato, persino ricco. Ci ho creduto.

Tornando in soggiorno tengo la borsa sulla spalla e lancio un'ultima occhiata in giro venendo colta da brividi di freddo. Forse avrei voluto accettare Alex com'è, ma a volte bisogna sfogare la rabbia per guarire.
So di dover stringere i denti e mi domando se Alex sta già tornando a casa. Sembra surreale aver finalmente scoperto tutto.

All'improvviso la porta si apre ed è  proprio lui, gli occhi grigi sgranati per lo stupore, il suo pomo d'adamo, visibile dall'apertura della camicia, sale e scende con lentezza "Sei già a casa?"

Inspiro profondamente e, per la prima volta in vita mia, sento una gran forza dentro. "È la serata delle sorprese. Non è vero, Alex!" pronuncio il suo nome con tutto il disprezzo che merita.

Stavo pensando di fuggire via, ma credo di meritare una spiegazione e, magari, anche delle scuse.

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Spero di poter tenere ancora viva la vostra curiosità per il proseguo di questa storia e nei prossimi giorni un altro capitolo. Nel frattempo sto cercando di scrivere gli ultimi cinque. A presto!😆

Cuorerubino

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