capitolo 40 - Mark
Apro gli occhi, allungo la mano sul comodino, guardo il cellulare: otto e quindici.
Sbuffo.
Rotolo giù dal letto e mi avvio stancamente verso il bagno.
La luce biancastra rende ancora più grigia la mia immagine riflessa nello specchio. Apro l'acqua fredda, riempio il lavandino, ci butto dentro la faccia.
Mi riguardo e il mio viso sgocciolante mostra ancora come ho passato la notte.
"Vaffanculo" Poi lascio un pugno sulla porta del bagno dopo essermi asciugato.
Torno nella camera, rivolgo uno sguardo al letto.
Vuoto.
Vuoto non perché Monique se ne è già andata, ma perché lei qui non c'è mai venuta.
Intanto le immagini di come si è conclusa la serata riemergono nella mia mente.
Ieri sera, fuori dal Fabric, stavamo aspettando il taxi quando qualcuno ha urlato: "Vicky... Vicky, this way."
Sentire di nuovo quel nome è stato come ricevere un pugno nello stomaco.
Un tir di ricordi mi ha investito.
Lei... noi.
"Dai Mark, andiamo. Il taxi è arrivato." Monique ha cominciato a tirarmi per un braccio. L'ho osservata come se fosse diventata trasparente.
"Be', che ti prende? Muoviti, qui si gela."
Mi sono liberato della sua presa ed entrando nel taxi, prima di lei, ho esclamato: "Hilton Garden hotel", poi ho richiuso in fretta la portiera lasciandola lì sul marciapiede, da sola.
Non l'ho degnata di uno sguardo. Nemmeno un accenno di rimorso.
La città, generalmente bellissima con le luci della sera, ieri sera era piena di ombre e angoli bui.
Mentre le insegne luminose di Trafalgar Square e poi di Piccadilly scorrevano davanti ai miei occhi, mi sono reso conto che qualcosa dentro di me è cambiato. La ragazzina è riuscita a rivoluzionare tutto il mio mondo, il mio modo di vivere le situazioni.
Prima di lei non ho mai esitato con una come Monique, ma niente sarà più così. Il sapore delle sue labbra, della sua pelle, saranno sempre incisi nei miei ricordi e nessuna è paragonabile a Vicky.
Scuoto la testa e caccio via i pensieri. Cerco di ritornare con la mente al presente.
Prendo i pantaloni della tuta, una maglietta, afferro le scarpe da running ed esco dall'hotel. Ho bisogno di correre per schiarire le idee, per liberarmi dalla rabbia. Ho ancora del tempo prima di incontrare Scott.
*********
Appena esco dalla metro un mix di odori mi entra nelle narici. Si passa da quello del kebab, al cinese, passando per il classico fish and chips e concludendo con qualcosa di pungente, forse la fogna. Ma questa è Camden, e questo, è il suo profumo caratteristico.
Percorro parte di Camden High street facendo la gimcana tra bancarelle varie e negozi con insegne e marchi giganti. Scarpe, angeli decorano le facciate di questi ex- magazzini rendendoli estremamente stravaganti.
Un edificio rosso, su cui campeggia un'enorme scritta Tatoo, conferma che sono arrivato.
Spingo la porta a vetri del pub che c'è sotto. È piuttosto affollato, nonostante l'ora non sia proprio quella del pranzo.
A un tavolo, vicino alla grande finestra, vedo Scott farmi cenno con la mano.
"What a good boy! Stavamo giusto per ordinare qualcosa", esclama mentre con un piede, da sotto il tavolo, spinge in fuori la sedia libera.
Ci scambiamo una stretta di mano e prendo posto di fronte a lui.
"Ti ricordi di Teddy? Te l'ho presentato ieri alla festa", Scott indica il ragazzo di colore al suo fianco.
Lo guardo meglio, ricordo che ha fatto parte del gruppetto che ho conosciuto ieri, ma non sono bravo a memorizzare i nomi.
Accenno un: "Ciao, come va?"
"Tutto ok, grazie." Risponde con un enorme sorriso in netto contrasto con quello che ho offerto io.
"Lui..." continua Scott allungandosi da sopra il tavolo per afferrare la mia spalla e stringerla con vigore, "è il mio allievo migliore. Non è forse vero, Mark?"
Alzo le sopracciglia con aria perplessa.
Nel frattempo ordiniamo dei sandwich e delle birre.
"Come hai finito la serata ieri? Immagino bene, visto che sei sparito con Monique", poi scoppia in una grassa risata. "Cazzo, questo ragazzo non se ne lascia sfuggire una!"
"Già", replico, mentre prendo un sorso di birra dal boccale che un cameriere ci ha appena servito insieme al resto delle ordinazioni.
Ma non aggiungo altro. Non perché voglio smontare l'immagine che ha di me, di quella non mi frega un'accidente, solo che, se gli dicessi che ho piantato la ragazza sul marciapiede, dovrei anche dirgli il perché, e questo significherebbe parlare della mia lei.
Cavolo, so solo che le altre non sono Vicky e non fanno per me. Faccio una gran fatica a togliermela dalla testa. Lei mi piace perché è dolce, normale e non ha bisogno di atteggiamenti da fotomodella o di trucco.
Sbuffo e nella mia testa urlo: dannazione, basta!
"Hey, Mark! Tutto ok? C'è qualcosa che non va nel cibo?"
Alzo lo sguardo dal piatto e incontro quelli curioso sia di Scott che del suo amico.
Dio, non è il cibo che non va, è la mia testa che non va...
"No, Scott, è tutto a posto."
"Bene, perché adesso passiamo a cose più serie", lancia uno sguardo d'intesa a... Todd, Tas o come diavolo si chiama.
"Forza, sono tutto orecchi", spingo in avanti il piatto, ormai vuoto, e appoggio i gomiti sul tavolo intrecciando le mani tra loro concentrandomi su quello che sta per dirmi.
"Vado dritto al sodo, Mark. Sai che ho una grande stima di te come tatuatore, ho riconosciuto subito del talento nei tuoi disegni che poi riportavi sulla pelle delle persone con grande capacità..." Ci interrompe il cameriere che porta via i piatti e al quale ordiniamo altre birre.
Scott riprende a parlare. "So, anche, che grazie a te, e alla buona collaborazione che hai creato con Nick e Victor, il tuo studio va molto bene così, ho una proposta da farti..." Questa volta si lascia scivolare sul tavolo venendo più vicino con l'intento di farsi ascoltare meglio. "Vieni a lavorare per me qui!"
Sgrano gli occhi.
"Ti lascio in mano tutti e due gli studi che ho in città, sarai il mio vice mentre io sarò impegnato negli Stati Uniti. Tutto in mano tua, avrai carta bianca. Parli inglese senza difficoltà e i miei ragazzi saranno a tua completa disposizione. Per i soldi non ti devi preoccupare. Dimmi che cifra vuoi e discutiamone."
Resto in silenzio un attimo osservando l'espressione contenta e soddisfatta di Scott. Si vede che è una cosa che ci teneva a dirmi.
Lui riappoggia la schiena alla sedia in un gesto rilassato mentre, io, resto rigido nella mia posizione cercando di pensare in fretta a cosa rispondere.
"Sono piuttosto sorpreso. Non mi sarei mai aspettato una proposta simile."
Il suo viso si allarga per un sorriso, "Quella che ti offro è l'opportunità di crescere e di diventare qualcuno nel mondo dei tatuaggi e tu... Cazzo, se ne hai la stoffa!"
Passo le dita sulla fronte, temporeggio, poi inspiro profondamente e proseguo. "Be', ti ringrazio per la fiducia e per l'offerta ma..." Scott alza una mano interrompendomi.
"Aspetta prima di dire di no. Rifletti bene su cosa potresti fare qui. Quante porte ti si apriranno. Pensa se vale veramente la pena restare in Italia. I tuoi amici se la caveranno benissimo anche senza di te, lo studio non chiude se non ci sei tu. E poi, se vogliono, qui c'è sempre posto per due tatuatori in più, se un domani decideranno di volerti seguire."
Sono sommerso da tutte le parole che mi sta dicendo, ma un concetto, in particolare, mi spinge più di tutti gli altri ad accettare: vale veramente la pena restare in Italia?
Certamente Nick, Victor, Anna mi mancheranno, ma quanto potrei resistere sapendo di incontrarla in giro per strada, agli allenamenti, insieme a mia sorella. Sarei davvero in grado di guardarla senza sentirmi mancare il respiro ogni volta o di vederla senza essere sopraffatto dal desiderio di toccarla, di far scivolare le dita sul suo viso, tra i suoi capelli.
Sento già l'angoscia montarmi nel petto.
Involontariamente sbatto il pugno sul tavolo, socchiudo leggermente gli occhi, "Va bene, Scott. Accetto!"
Il viso del mio amico è visibilmente sorpreso. "Fuck, Mark, non pensavo sarebbe stato così facile convincerti... Sicuro di non volerci pensare ancora un po'?"
"No. Hai ragione tu, ho bisogno di un cambiamento... e in meglio. Dimmi quando."
"Quando vuoi, dannato ragazzo. Quando vuoi". Allunga la mano a suggellare il nostro patto e io l'afferro con forza.
Mai stato più convinto di così.
"Allora ti aspetto, tra quanto? Un mese ti basta a sistemare le tue cose?"
"Due settimane, al massimo, saranno sufficienti. Intanto cercami un buon appartamento da queste parti."
Scott scoppia in una gran risata e dando una gomitata al ragazzo che è con noi esclama: "Te l'avevo detto, Ted che è uno con le palle il mio amico."
Teddy allunga la mano scura e cicciottella verso di me, "Allora non mi resta che dirti: benvenuto in famiglia."
Lo osservo. Ha detto: famiglia...
Rifletto ancora un'istante poi afferro la sua mano, "Grazie. Ci sto."
Un secondo dopo mi alzo da tavola. "Adesso è meglio che vada."
"Certamente", Scott mi raggiunge, "ci vediamo domani allo studio. Chiamo subito il mio avvocato per una bozza del contratto. Ok?"
Annuisco.
"Dio, non posso credere che verrai a stare qui!" Mi avvinghia in un abbraccio dandomi pacche sulla schiena, "Hai preso la decisione migliore, ragazzo."
Quando esco dal pub, rifletto sul da farsi. Innanzitutto devo sentire gli altri e comunicare la novità. Non credo ne saranno felici, ma capiranno. Ancora qualche giorno per discutere con Scott dei dettagli, poi ritorno a casa a impacchettare le mie cose.
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N /A
Eccomi di nuovo, in ritardo come sempre, scusate. In questo capitolo ho provato a mettere in pratica un po' di consigli che ho ricevuto di recente. Spero di non aver commesso orrori e di essere riuscita, almeno in parte, ad applicarle in maniera corretta.
Cuorerubino
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