capitolo 29 - Vicky

Sento il corpo riprendere pian piano vita e lentamente i sensi cominciano a risvegliarsi. Traggo un profondo respiro, stiracchio gambe e braccia, mugugno ristorata per la profonda dormita, ma preferisco continuare a tenere gli occhi chiusi, non ho voglia di alzarmi.
Sto bene e mi sento stranamente in pace, profondamente rilassata.

Mentre mi rannicchio nuovamente su un fianco, penso a quanto abbia dormito bene anche se la bocca è impastata e secca. Percepisco un raggio di sole caldo, piacevole sulla faccia.

Ieri devo aver dimenticato di abbassare tutte le tapparelle: strano.

Di nuovo traggo un respiro, meno ampio questa volta, tirando le coperte fino sotto al mento, ma il profumo di bucato che entra nelle narici non è quello delle mie lenzuola. Un'ondata di panico mi attraversa il cervello, i muscoli si contraggono, apro gli occhi di scatto, le finestre che ho di fronte coperte da tende scure, non sono quelle di casa mia. Vengo presa dall'ansia e, in mezzo secondo, mi metto a sedere.

"Ben svegliata, ragazzina."

Un grido strozzato esce dalla bocca che non riesco a chiudere per la brutta sorpresa.

Mai avrei immaginato, al mio risveglio, che la prima persona a darmi il buongiorno sarebbe stata proprio Mark.
Se ne sta lì, appoggiato al muro, con le mani in tasca e sorride sereno. Per istinto tiro le coperte per coprirmi, non so nemmeno cosa indosso, non ho ancora avuto tempo di rendermene conto.

Se la ghigna: "Non preoccuparti, non ho l'abitudine di approfittare delle ragazze quando sono ubriache."
Si avvicina al letto.

Vorrei deglutire, ma ho la lingua impastata e la bocca asciutta. "Cosa è successo ieri?" Chiedo con un filo di voce.

"Davvero non ricordi?"

Scuoto la testa mettendomi ciocche di capelli dietro le orecchie, temo di sembrare uno spaventapasseri.

Intanto si è seduto su un angolo del letto di fronte a me, riesco già a sentire il suo buon odore.

"Siccome non stavi bene, volevamo portarti a casa, ma ti sei addormentata prima che potessi dirci il tuo indirizzo. Svegliarti era impossibile e non rispondevi cose sensate. Anche a mia sorella non hai mai detto dove abiti così, alla fine, ti ho portato a casa mia".

Sconvolta dal suo racconto, trovo il coraggio di guardare sotto le coperte per vedere cosa indosso, oltre la maglietta; deglutisco, perché scopro di essere in mutande. Immediatamente alzo su di lui uno sguardo di terrore .

"Non guardarmi così. Anna ti ha svestita. Cavoli, sei proprio diffidente, non avrei assolutamente approfittato della situazione," alza un sopracciglio con aria maliziosa chinandosi su di me, "salvo che tu non me lo avessi chiesto."

Sorrido a denti stretti. Santa Anna!

"Ti va di bere o di mangiare?" I suoi modi sono gentili.

Annuisco fortemente. "Ho tantissima sete."

"Allora su, alzati, ti do qualcosa."
La sua mano finisce sulla mia gamba distesa vicino a lui. Quel contatto mi dà i brividi.
Prego che, nel delirio di ieri sera, non abbia detto cose assurde.

Sto per scendere dal letto; ma mi ricordo di essere mezza nuda. "Ehm... Scusa Mark, ma dove sono i miei pantaloni?"

"Immagino non ti ricorderai che sei caduta in una pozzanghera."

Oddio, anche quello!
Scuoto la testa con la voglia di piangere per la vergogna per il pessimo spettacolo che devo aver dato ieri sera.

"Ti do qualcosa di mio."

"No," protesto subito, "grazie."
Non ho intenzione di indossare qualcosa che porta il suo profumo, è già tutto troppo complicato così.

"I tuoi saranno sporchi e probabilmente ancora bagnati."

"Non importa, ti ringrazio per l'offerta, ma ti spiacerebbe passarmi i miei pantaloni." Allungo una mano, mentre lui, li recupera da sopra una poltrona che vedo in un angolo della stanza piuttosto scarna di mobili.
Non deve essere uno a cui piace perdere tempo con l'arredamento visto che vedo solo un lungo armadio, un comodino e il letto su cui ho dormito. Un'ampia, lunga, vetrata aiuta a illuminare la stanza.

Intanto che si avvia fuori dalla porta ne approfitto per rivestirmi. Devo ammettere che i pantaloni sono umidi dal ginocchio in giù, ma poco importa, persino il maglione che indosso lo sento bagnato ai polsi, ma non mi tratterò qui ancora a lungo.

Fuori dalla camera, percorro un largo corridoio curvo dove noto altre porte. Una di queste è semi aperta, sbircio notando una scrivania con un laptop, alcune stampanti, una mountain bike appesa al muro, appoggiati sopra a uno scaffale ci sono caschi da moto, alcuni da sci.
Deve essere uno che ci tiene a tenere intatta la sua testa!

Poi proseguo fino a quando lo raggiungo in soggiorno.
È enorme!

Anche qui l'arredamento è essenziale.
La grande stanza rettangolare ha la cucina nascosta dietro una parete-sipario dove è appeso un maxi quadro con due corpi stilizzati nei colori di bianco e nero. Davvero bello e molto simile, nello stile, a quel disegno che avevo visto nella sua macchina tempo fa.
Il parquet in rovere, come quello nelle altre stanze, il bianco dei muri e soffitti, fanno da trait d'union tra la cucina e il soggiorno.
Ci sono stampe di concerti rock alle pareti, e di alcune band che neanche conosco. Anche qui una lunga vetrata, da cui si può vedere il panorama della città con le montagne all'orizzonte, da' su un terrazzo. Di fronte a me, un televisore piatto molto grande è appeso a una parete e sotto, l'ultima versione della PlayStation poi un sacco di cd, libri e fotografie su una mensola.

"Cosa preferisci?" chiede distraendo la mia curiosità, "ho del caffè americano forse anche del te' o acqua."

Mi giro a guardarlo, ha di nuovo le mani in tasca, evidentemente lui è a suo agio mentre io mi sento sulle spine. Questa volta noto una parte di pelle scoperta che va da sotto l'ombelico a poco sopra l'inguine dove gli addominali finiscono a V: la pelle è liscia e si intravede quel grande tatuaggio che so avere sul fianco. Sono sopraffatta dalla voglia di accarezzarlo, di seguirne i contorni e capirne il significato. Devo staccare lo sguardo perché l'ultima cosa che voglio e' fargli credere che mi interessa.

"Sei hai un te' sarebbe perfetto."

"Bene, te lo preparo". Si gira verso la cucina.

Anch'essa grande e spaziosa con una penisola al centro e un frigorifero talmente gigante da poterci star dentro in piedi e con le braccia a croce.

Un pensiero mi folgora: Alex!
Comincio a guardarmi in giro in cerca delle mie cose ma non le vedo.

"Mark, hai visto la mia borsa?".

Mi sta assalendo il panico. E se mi ha chiamato?

"Guarda di fianco al divano." Suggerisce dalla cucina alzando il tono di voce.

Il divano è lungo cinque posti a semi cerchio, ci giro intorno e la vedo. Cerco il cellulare freneticamente, quando lo trovo controllo, ma c'è solo un suo messaggio: di stamattina.
Tiro un sospiro di sollievo, anche se sono delusa di non vedere una sua chiamata.

Lo leggo: - ciao, scusa, ma ieri sera ho fatto tardissimo non volevo svegliarti comunque torno stasera! Bacio -

Decido di non rispondere per non dover ricevere una sua telefonata proprio mentre sono a casa di Mark, potrebbe essere troppo imbarazzante.

"Tutto bene? Ti ha chiamata?" Chiede proprio lui mentre mi allunga la tazza con il te'.

"No, è solo un messaggio."

"Strano." Esclama prima di appoggiare le labbra alla tazza che ha tenuto per sé.
Prende un sorso del liquido contenuto, dall'odore sembra caffè, con la ferma intenzione di non voler incrociare il mio sguardo.

"Scusa!? Perché dici così?" Il mio tono ha una punta di acidità condito con un po' di curiosità.

Alza le spalle, adesso mi guarda, "Niente, dico solo che è strano che in tre giorni solo un messaggio" poi mi passa di fianco per raggiungere la cucina e conclude con voce più bassa,
"fossi stato io, ti avrei cercato a ogni ora".
Si allontana senza guardarmi.

Sento lo stomaco accartocciarsi su se stesso e il mio cuore sobbalza, ma sento il bisogno di difendermi. "E' molto impegnato. Le fiere sono sempre pesanti e durano fino a tardi, sono convinta che se avesse potuto mi avrebbe chiamata più spesso."
Ora il mio tono è solo acidità mentre pronuncio questa frase alla sua schiena.

"Sicuramente," risponde, "comunque se devi telefonare, e vuoi privacy, vai pure in camera o nello studio, non c'è problema." Usa un tono piatto, non credo di averlo convinto.

"No, grazie. Appena finisco il te' chiamo un taxi e vado a casa"

Non mi sento a mio agio soli io e lui, non voglio ritrovarmi di nuovo in strane situazioni e questa volta non c'è Nick a interromperci.

"Che taxi?!" ribatte fissandomi, i suoi occhi sono gelidi, "non se ne parla che chiami un taxi."
Poi cambia atteggiamento e la sua voce si fa calma, rassicurante, "Mangiamo, se vuoi ti fai una doccia e poi ti porto allo studio a riprendere la macchina."

Provo a protestare. "Ti ringrazio Mark, ma non posso crearti altri fastidi, preferisco così."

Il verde dei suoi occhi muta e diventa più scuro mentre con pochi passi ha colmato la distanza tra noi. Mi sento svenire.

"Piantala, ti ho detto che non è un problema, non mi dai fastidio."

Sbuffo leggermente irrutata, basta, sono stufa di dover sempre discutere e poi l'idea di una doccia non mi dispiace affatto.

"Ok, vada per la doccia e del cibo".
Questa volta sorrido in maniera amichevole.

"Ottimo. Allora cucino," il tono è disteso e cordiale, "per la doccia: seconda porta a sinistra, ti porto gli asciugamani."

Lo sto aspettando sulla porta del bagno che, come tutto il resto dell'appartamento, è grande e con un box doccia da farci stare tutta la mia famiglia contemporaneamente.

"Ecco," dice allungandomi un asciugamano voluminoso, dei pantaloni e una maglietta, "se per caso cambi idea. Ovviamente non sono della tua misura, ma magari non ti sono così enormi." Sorride gentile poi prosegue, "vado a cucinare qualcosa".

Resta a fissarmi in silenzio e mi sento in imbarazzo come se fossi nuda di fronte a lui. Non aggiungo altro, mi volto ad afferrare la maniglia della porta e mi levo di torno.

Con tutte queste attenzioni mi viene spontaneo chiedere se usa queste gentilezze anche con le altre donne che si porta a casa o è solo una coincidenza.

Chiudo la porta e traggo un respiro cercando di dimenticare il suo sorriso gentile, il suo sguardo rassicurante, i suoi modi premurosi.

Apro l'acqua della doccia, mi spoglio. Trovo nella tasca dei pantaloni un elastico e raccolgo i capelli in uno chignon molle in cima alla testa. L'acqua calda, al punto giusto, scioglie le tensioni alle spalle e al collo. Il mio corpo sotto il getto reagisce abbandonandosi al piacere tale che non vorrei più uscire, ma il tempo passa e non voglio far aspettare troppo Mark.
A malincuore chiudo e mi asciugo.

Decido di indossare i suoi vestiti e di mettere i pantaloni insieme al maglione ad asciugare sul calorifero che ho visto in corridoio, purtroppo è ancora tutto umido.
Afferro la maglietta grigia, sa di lui e inspirando chiudo gli occhi... È come averlo lì.
Sento le farfalle nello stomaco pensando alle volte che le sue mani mi hanno toccato e ho sentito quell'odore. Riaprendo gli occhi mi guardo allo specchio.

Piantala... non è cosa per te! Lui non va bene! Chiaro Vicky? PIANTALA.
Mi ammonisco e riprendo il controllo.

La maglietta è piuttosto lunga fin quasi le ginocchia e larga,
cerco di sistemarla. Troppo avanti è scollatissima, allora tutta indietro: sì forse è meglio.
Provo i pantaloni, ma sono lunghissimi e neanche a girarli in vita due volte riesco a farli stare su, così decido di non metterli. Prendo un ampio respiro e con un po' di imbarazzo, per come sono vestita, esco dal bagno, ma dopo la doccia mi sento più in pace con il mondo.

Vado verso la sala e sento Mark che parla, probabilmente è al telefono.

Sono quasi in cucina dove sta preparando il pranzo e ho l'impressione che la conversazione sia concitata. Entro nel momento stesso in cui Mark sta alzando la voce.

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N/A
Domani vi regalo un altro capitolo che spero vi emozioni. Rimanete sintonizzati!😂

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