Capitolo 2
Nial, si appoggiò di schiena contro il tronco di un albero, portando una mano al petto in modo da sentire il battito impazzito del suo cuore, poi alzò il viso verso il cielo plumbeo, facendosi bagnare da quelle piccole gocce di rugiada, che avevano preso a scendere pochi minuti dopo, mentre la sua testa non faceva altro che perdersi fra i suoi pensieri.
Staccandosi totalmente dalla realtà, dove i problemi non facevano altro che perseguitarlo. Era per lo più un susseguirsi di azioni, che sembravano non avere mai fine.
Non riusciva davvero a capire. Ma l'unica cosa di cui era sicuro, era che in quel momento dentro di sè si sentiva come quella tempesta che da un momento all'altro si sarebbe scagliata sulla sua amata terra. Una tempesta che avrebbe danneggiato ogni cosa.
E mentre la pioggia si fece sempre più fitta, lui non si preoccupò di rischiare di prendersi qualche malanno, che per giorni lo avrebbe costretto a letto. Tutto ciò di cui al momento aveva bisogno era solo quello di farsi purificare da quelle pioggia che si stava abbattendo su di lui.
Si sentiva sporco e un traditore. Questa era la verità. Una verità alla quale, forse, non sarebbe mai riuscito a sfuggire. Ma che in un modo o l'altro avrebbe fatto bene ad accettare, prima o poi.
E fu con questo pensiero che chiuse gli occhi, permettendo così alle sue lacrime di scendere e unificarsi in un sola cosa con le gocce di pioggia, lungo il suo viso ovale, custodito da due gemme azzurre che aveva apposto degli occhi, lungo al mento, dove poi andarono a disperdersi sull'erba che stava calpestando sotto ai suoi piedi nudi.
Quanto avrebbe dato per essere una di quelle lacrime, libere di sfogare tutta la loro frustrazione, oppure spavaldo e sicuro come quell'Alpha di cui poco prima, per sbaglio e senza volerlo aveva sentito parlare, origliando di nascosto. Ma non poteva, purtroppo.
L'unica cosa che al momento avrebbe fatto bene a fare, era quella di seguire le regole che sin da bambino li vennero poste. Lui non voleva seguirle, bramava soltanto la libertà come quella di un spirito libero. Ma per quanto lo desiderasse, la sua anima sarebbe soltanto stata una anima incatenata da dei catenacci in oro.
Prima o poi sarebbe dovuto appartenere a qualcuno e anche se questa idea non gli piacesse, non si poteva fare altrimenti. Erano regole del suo branco e lui ne faceva parte. Avrebbe soltanto fatto bene a seguirle senza fiatare - o altrimenti - sarebbe significato solamente una cosa, rischiare di venire ammazzato con un cappio al collo.
Sarebbe stata una morte immediata ma comunque dolorosa, ne aveva viste di persone che per via della loro ribellione venivano poi fatte uccise così.
E non voleva mica fare una fine come quella.
Se sarebbe mai dovuto morire, avrebbe mille volte preferito farlo per cause naturali, non di certo, da mani che avrebbero messo senza ripensamenti fine alla vita di una povera anima.
E come di chi stesse per finire già nell'altro mondo, il ragazzino si ritrovò a strisciare con la schiena lungo quella corteccia ruvida, per poi finire a sedere sui radici, con la testa accovacciata sulle ginocchia e con le braccia che li facevano da scudo e solo allora prese a singhiozzare, buttando fuori tutto ciò che da troppo tempo, oramai, teneva dentro di sè.
***
"Trovate quel ragazzino, se non volete finire nei guai" tuonò il capobranco, quasi futuro marito della giovane donna dai lunghi capelli corvini, che vestita con un lussuoso abito viola di velluto, gli stava affianco. Seduta sul trono vicino a lui. In assoluto silenzio.
"Mio signore, mi dispiace. Vi chiedo umilmente scusa per il mio stupido errore appena commesso . Questa volta farò in modo di ritrovarlo e riportarlo a palazzo" annunciò senza alcun timore il giovane ragazzo apostrofato ai piedi dei troni e con la testa abbassata verso terra.
Il capo branco, tirò un pugno sul bracciolo di cuoio del suo amato trono, facendo echeggiare il rimbombio lungo la lunga e ampia sala, poi alzando leggermente il viso in modo altezzoso, grugní "farete bene a trovarlo, o la prossima testa da strozzare sará la vostra e ora andate. E che appena il piccolo erede torni, fate bene a dargli una punizione severa".
"Sí. Mio signore".
E detto ciò, alzandosi in piedi, badò bene all'inchinarsi al cospetto e per poi abbandonare definitamente la sala. Lasciando i due signorii soli.
"Ronald".
Lo chiamò con un leggero rimprovero la donna.
Ma lui non la guardò, limitandosi a guardare l'ampia finestra che aveva davanti a sè, situata alla fine del corridoio.
" Come potete fargli questo é nostro figlio. Futuro erede di questa terra. Della Terra di Saraht. Io...."
"Zitta! O non sarò buonanimo nemmeno con voi. Vi ricordo, mia regina che quí chi comanda sono io, per quanto maschio Alpha di sangue blu. Le donne non hanno voce in capitolo contro i mariti o devo ricordarvelo?"chiese con tono severo, ma comunque non troppo alto.
"Sí. Avete ragione".
Disse con rassegnazione la giovane donna, preoccupata per le sorti del suo Nial, unico figlio e futuro erede delle loro terre.
"Bene. Allora sarà dato via al più presto. É giunta l'ora che trovi qualcuno degno di nota. E non vi preoccupate mia signora ho già pensato a chi. Sarà solamente in buone mani".
"Ronald...."
Un flebile sussurro fuoriuscí dalle labbra macchiate di un rossetto rosso fuoco della regina. Ma poi ricordandosi del suo stato, tacque. Facendo morire ogni parola che avrebbe voluto fare uscire.
Certo non era dello stesso parere del marito, ma in quanto sua moglie, aveva il diritto di tacere.
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