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Erano le 21:00 e Carlo Testa sedeva a un tavolo apparecchiato per due della Casa Sul Mare, rinomato ristorante locale presente sulle guide dell'altrettanto famoso Gambero Rosso, specializzato in pietanze ittiche. Attendeva con calma Silvia Astri, in ritardo come previsto da un usurato canovaccio d'altri tempi incentrato, forse troppo, su una cavalleria esagerata.
Il ristorante non era molto grande, ma più che intimo in compenso; metteva a proprio agio dando l'impressione di essere seduto al tavolo della propria cucina in attesa che pranzo o cena siano pronti o che stiano cuocendo. L'illuminazione color arancio tipicamente serale, ideata allo scopo di rilassare le persone invece che renderle vigili a differenza del neon, non andava in contrasto con la luminosità del televisore a schermo piatto collocato in alto in un punto che avrebbe di certo accomodato tutti.
Sul terzo canale era in onda un'edizione straordinaria del notiziario regionale, che parlava di una folla inferocita che aveva preso di mira una villetta nel cosentino, capitanata da un uomo dalla sessualità ambigua. Ma guarda un po', pensò Carlo ammirando meglio le immagini riprese da un elicottero che al momento dei fatti sorvolava la proprietà lesa, quella non è casa di Jacopo? Non vorrei essere al suo posto, gliel'hanno conciata proprio bene.
- Davvero un peccato, deve avere investito molto tempo e denaro in quella casa... - considerò versandosi dell'acqua naturale nel bicchiere. Aveva richiesto solo quella, con il pensiero che la gola potesse rinsecchirsi all'improvviso a causa dell'aria condizionata che per quanto non desse fastidio, la faceva sentire la sua presenza: aveva prenotato un tavolo al coperto.
- Hai visto che scempio? – proruppe Silvia, strappandolo ai suoi pensieri.
- Ben arrivata, sei semplicemente splendida. –
Poche parole che infiammarono il volto della donna, che non pensava neanche lontanamente che quell'abito bianco succinto da una cintura nero lucido in vita che le risaltava le sinuosità, le stesse così bene. Poi con quelle décolleté bianche pareva semplicemente divina: il suo outfit le metteva in risalto i lineamenti delicati che tanto le donavano, assieme ai suoi occhi neri che risplendevano come stelle e ai suoi capelli castani che emettevano riflessi dorati.
- Mi ha telefonato Nora, la sua voce era semplicemente sconvolta e ridotta a un filo; – lo ignorò volutamente, volgendo lo sguardo alle immagini sullo schermo – cose da non credere, com'è mai potuto succedere che si arrivasse a punto tale da distruggere la dimora di un rappresentante della legge? –
- Magari ha sbagliato qualcosa, magari la situazione non è mai stata sotto controllo come Jacopo credeva che fosse e – i suoi occhi emanavano uno scintillio sinistro che mise per un attimo Silvia a disagio – ora ne paga giustamente le conseguenze, anche se ciò che gli è accaduto non è altro che uno sporco e immorale atto di codardia – si giustificò arricciando le labbra e mettendo le mani avanti, restando sempre sciolto e composto sullo schienale della sedia.
- Perché non ti accomodi? – domandò ancora egli, indicandole la sedia con un loquace ed elegante gesto della mano. – Non mi dirai mica che ti senti nervoso? – cercò di punzecchiarlo. Carlo, che le sorrise senza rispondere, prese la bottiglia di pregiato vino bianco contenuta dal seau à glace, la stappò e versò il suo contenuto nei bicchieri cominciando da quello di Silvia. – Affatto cara, - rispose – vorrei semplicemente che tu ti sieda qui con me, cosicché possiamo lasciarci il mondo alle spalle e goderci questa serata assieme. – Silvia si lasciò scappare volutamente una leggera manifestazione di sorpresa, così assecondò la richiesta di Carlo, occupando il suo posto con fare da civettuolo. Non aveva la più pallida idea di cosa sarebbe accaduto nel dopocena, ma inebriata della disinibizione derivante dall'alcol assunto, non se ne curò affatto.
***
Alessandro finalmente era riuscito a riconquistare la libertà perduta sottrattagli dai nonni, giustificandosi con la tesi che un ragazzo della sua età confinato in casa era nientedimeno che l'equivalente di una tigre selvatica ridotta in cattività. Non era stato per niente facile come potrebbe sembrare; dopo un'intera mattina di litigio dalla quale uscì vincitore a muso duro, il ragazzo uscì da casa accigliato e chiuse la porta dietro di sé continuando a dare le spalle a tutto ciò che si trovava dietro di esse.
Prese a destra, accennando vagamente una risposta percettibile come risposta al saluto dei vicini che lo avvistavano man mano che procedeva e con passo un po' lento ma deciso, arrivato al primo incrocio stradale, girò a destra e scese così verso il corso principale.
Aveva voglia di tutto e di niente. Voleva passeggiare a lungo e conversare con qualcuno: in questi casi solitamente si recava sino al cimitero per andare in visita al sepolcro commemorativo del padre. Dopo di ciò che gli era capitato durante la sua ultima visita, però, non aveva proprio voglia di andarci. Non era intimorito da Ulisse Barca e sapeva che avrebbe potuto benissimo incontrarlo nuovamente addirittura sotto casa sua per quant'era piccola Balnea Nova, ma il trauma subito era troppo recente perché tentasse nuovamente l'impresa.
Ripensò alla lotta con l'assassino, all'adrenalina che il terrore aveva diffuso in ogni singola fibra dei suoi muscoli che aveva fatto sì che restasse lucido e reattivo nonostante il dolore lancinante e il sangue perso; i medici gli avevano detto che era stato per merito di un miracolo se non hanno fatto ricorso a una trasfusione. Ripensandoci meglio, convenne che probabilmente non avrebbe tollerato la vista delle tracce lasciate dalla zuffa ove mai non fossero state ripulite: a malapena riusciva a non soffrire della sua immagine riflessa allo specchio.
Se l'igiene non fosse un requisito fondamentale per se stessi e per la propria salute in primo luogo e per stare in mezzo alla gente, credo che per non guardarmi allo specchio non mi sarei lavato il viso per un bel pezzo, anche a costo di trascurarmi.
Un pensiero piuttosto privo d'acume, che scacciò via scrollando la testa. Notò che senza rendersene conto aveva imboccato una strada che conduceva a un'abitazione nei pressi della zona ferroviaria, infatti, udì un enorme treno merci passare nelle vicinanze assieme alla sua successiva eco; capì che era lungo dal protrarsi nei secondi del suo fischio e dello stridere delle rotaie a contatto con le ruote del mezzo di trasporto.
Si trattava di una vecchia e candida villa che si ergeva su un unico piano, appartenuta anni addietro a suo nonno paterno che lasciò in eredità al suo unico figlio, il quale l'aveva venduta non sapendo cosa farsene. C'era stato innumerevoli volte da piccolo, assieme ai suoi genitori in visita a nonno Santi e quando aveva saputo dell'intenzione del padre di sbarazzarsene, lui cercò di farlo desistere in tutti i modi con piagnistei davvero irritanti, complici la nostalgia unita al ricordo dello scomparso.
Era circondata nel perimetro da due e metri e mezzo di mura, ornate da rifiniture eleganti d'altri tempi, presentanti all'accesso due colonne con due leoni di ceramica sulle cime che facevano la guardia all'enorme cancello che si trovava in mezzo a esse. Oltre il cancello vi era un prato veramente curato, avente nel suo esatto centro un sentiero piastrellato in pietra e accompagnato in parallelo da sei colonne in stile greco-romano ad ambedue i lati, che terminava dinanzi a un enorme portone rosso fuoco dalle manopole ad anello dorate.
Crescendo aveva avuto modo di comprendere le ragioni del padre, che lo avevano spinto in quella dolorosa direzione: abbandonare i luoghi legati indissolubilmente ai propri ricordi, è un atto di coraggio degno di questo nome. Non aveva la più pallida idea di chi fosse stato l'acquirente della vecchia proprietà appartenuta alla sua famiglia, tantomeno se il proprietario vi risiedesse, anche se saltuariamente, tuttavia si sorprese che per quanto vecchia fosse si presentava in condizioni ottimali.
- A parte me, non vi è davvero più alcuna traccia della famiglia Santi. Sono il suo ultimo superstite in vita. Che amarezza... - si disse mentre, con le mani aggrappate alle sbarre del cancello d'entrata, osservava le perfette tende che immobili giacevano in disuso dietro quelle finestre chissà da quanto.
Colse con il riflesso dell'occhio destro un movimento proveniente dalla seconda finestra a partire dalla destra della villa: una tenda, a differenza delle altre, dava evidenti segnali d'essere stata mossa.
Qualcuno mi... Osserva?
- No, - si disse – sarà stato qualche spiffero di vento a spezzare il record d'inerzia di quel lungo pezzo di stoffa. –
Estrasse dalla tasca il coltello che Ulisse Barca gli aveva in qualche modo donato, un gesto sinceramente istintivo, poi lo ripose dov'era.
"Le nostre strade sono pericolose. Il simbolo ti indicherà la via."
- Il simbolo m'indicherà la via. -
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