Capitolo 17

Avril

<<Puoi farlo fa solo, vero? Fai anche la mia parte poi vai.>>

<<Guarda che la punizione andava ad entrambi. No perché, per tua informazione non farò tutto da solo.>>

Sbuffo mentre sto coricata a pancia in sù sulla panchina degli spogliatoi, a quest'ora dovrei già essere a casa sul divano, a mangiare qualcosa di appetitoso con la tv davanti, ma evidentemente oggi è una giornata infernale e chissà quante altre sorprese il destino ha in serbo per me.

O forse è solo Dio che non mi sopporta, ultimamente non siamo in buoni rapporti, magari è karma.

<<Forse non lo siamo mai stati, vero?>>

Sussurro a me stessa.

<<Ma che cosa stai dicendo?>>

Ignoro la domanda di Ash e ripenso al coach che dopo averci chiesto di seguirlo dal preside, ha deciso assieme a lui la nostra punizione, per fortuna che ci hanno assegnato solo i spogliatoi maschili da pulire.

<<Sono particolarmente motivata a non fare niente oggi.>>
<<E sentiamo un pò, perché?>>
<<I vostri spogliatoi sono puzzolenti, mi sembra di stare tra lo sterco di puzzola, veramente questo buco puzza come quello delle puzzole>>

<<Ti hanno mai detto che fai dei ragionamenti orribili?>>

Mi prende in giro ma lo ignoro perché io posso usare un linguaggio comodo.
Già, questo è quello che io chiamo linguaggio comodo e veloce, stare zitta.

<<Sono sicuro che se ti dovesse sentire Cassandra ti avrebbe già
rimproverata. Ah, sono così stanco di pulire, alzati e vieni a fare qualcosa.>>

Sbotta fermandosi, ha passato lo straccio su tutte le parti bagnate del bagno, cavoli pulisce meglio di me.
Ha addosso una maglietta della squadra di football ma non ha il suo nome, è quella di Mahmood, perchè non ha la sua?
Lui non gioca nella squadra della scuola?

Quando i ragazzi c'hanno visto davanti alla presidenza hanno subito capito che abbiamo litigato e che ci siamo messi nei guai.
Ryan continuava a fare smorfie ma ero troppo impegnata a pensare come svignarmela che mi sono scordata di chiedergli che aveva, Folettina ha scosso la testa come se avessi fatto chissà quale torto.

Ancora non capisco come vadano tutti d'amore e d'accordo tra di loro, Ash è strano, sembra essere quell'idiota con l'aria da depresso che partecipa poche volte alle nostre conversazioni, sembrerebbe un ragazzo qualunque se non fosse per il suo modo di vestire e il suo carattere da lunatico, se non sbaglio è l'unico senza piercing, tatuaggi e strane acconciature colorate in testa.

Ryan è quello più vivace tra tutti, quello che organizza sempre le uscite e pronto a mettere tutti di buon umore, si crede un francese ma io suppongo sia solo una falsa per rimorchiare di più, è quello che più si avvicina al classico american boy, veste sempre tute da ginnastica, t-shirt da football e jeans alla moda, porta diversi piercing all'orecchio e al sopracciglio.

Di Alec non ho capito ben molto, sta sempre sulle sue anche se partecipa molto alle nostre conversazioni ma non rivela molto su di sè, è quello che sembra più affidabile tra tutti loro, pure il suo stile ha tutto un modo differente dalla norma, indossa sempre vestiti chiari e d'alta moda.

Mahmood è il solito scemo che si trova nei gruppi d'amici, quello pronto a fare scherzi pure alla preside, direi quello più euforico e il più interessato alle ragazze, indossa sempre camice e jeans, ha anche diversi tatuaggi sul braccio ma la cosa non mi sorprende.

<<Non mi alzerò da qui.>>

Ash si ferma per un attimo e si volta verso la mia direzione, è alto abbastanza da pensare che sia un metro e ottanta, il suo corpo non ha una moscalatura massima ma media.

<<Aha certo, Avrilia è viziata e non tocca la sporcizia.>>

Mi prende in giro usando un soprannome che non avrebbe dovuto usare, faccio una smorfia di disgusto e mi metto a sedere.

<<Non chiamarmi più così. E poi io viziata? Dovresti portare attenzione a ciò che ti sta attorno prima d'aprire bocca.>>

Per un attimo ci fissiamo in silenzio con odio, è da quando lo conosco che ci sono questi attimi di silenzio e sempre più di prima lo sopporto meno.

<<Sai cosa? Sono stufo di sentirti parlare. Torna a dormire oppure esci via di qui prima che ti uccida.>>

<<Non stavo dormendo.>>

<<Come no, l'hai fatto anche in classe.>>

Si ferma e mi rivolge uno sguardo indagatore.

<<Non dormi abbastanza?>>

<<Fatti gli affari tuoi.>>

Sbuffo rimettendomj nella stessa posizione di prima, mi osserva segretamente in classe?

Sono quasi le cinque e se ne sono tornati tutti a casa, tranne noi ovviamente.

<<Ho finito.>>

<<Finalmente ci stavi mettendo un'eternità!>>

<<Potresti almeno ringraziarmi, ho fatto tutto da solo.>>

Dice con un tono severo ma lo ignoro, prendo il mio zaino e mi alzo dirigendomi alla porta, mi stiracchio e sbadiglio.
Sento un tonfo, sarà caduto quell'idiota che pena.

Quando esco dalla scuola mi dirigo alla fermata del pullman e accendo una sigaretta.
Quando me la porto alle labbra aspiro tutti quei discorsi mai finiti, tutti quei problemi mai risolti, tutto lo schifo che mi avvolge e chiudo gli occhi sentendo il vento che mi scompiglia i capelli.

<<Avril!>>

Sento un urlo lontano, ma nemmeno molto, Ash sta correndo verso di me e quando mi è vicino si piega a metà poggiando le mani sulle ginocchia con il fiatone.
Lo guardo mentre le ciocche scure dei suoi capelli ricadono sul viso, seguo tutto il suo profilo fino ad arrivare alle braccia con un accenno di muscoli nascosti sotto la giacca di pelle nera.
Alza lo sguardo e incontra il mio cogliendomi alla sprovvista, butto fuori il fumo che va sulla sua faccia ma lui si sposta velocemente.

<<P-prima hai detto che per gli umani è praticamente impossibile raggiungere la felicità.>>

Fa una pausa alzando completamente il suo busto e tenendo lo sguardo fisso su di me.

<<Perché hai detto "per gli umani?" Perché hai usato il plurale ma non hai incluso te stessa?>>

Non pensavo prestasse davvero attenzione a ciò che dico, solitamente rare sono le volte che qualcuno capisce le mie parole perche nemmeno io mi capisco e questo mi ha colpita.

<<Non ti senti umana?>>

Mi scruta nel volto per tornare a tormentarmi con il contatto visivo, non so perché ma sposto lo sguardo.

<<Io non sento nulla, una persona che non prova emozioni la defineresti umana?>>

Non sembra pensarci neanche un secondo per darmi la risposta.

<<No.>>

Vedo arrivare il pullman dalla fermata precedente mentre scendono dei ragazzini abbracciati, butto la sigaretta per terra e la schiaccio.
Mi alzo passandomi la mano sui leggins, mi guarda in silenzio seguendo ogni mio gesto.
Una persona che non prova nulla non è umana è morta.

<<È come essere morti dentro, è quando non hai più motivo per provare emozioni.>>

Il suo sguardo si fa più devastato di prima, come se le mie parole in qualche modo l'abbiano toccato e addirittura colpito.

<<Sai, se la felicità avesse un nome di sicuro non sarebbe il tuo, sorridi e smettila di far preoccupare i tuoi amici.>>

Mentre il pullman si avvicina a noi li dò una pacca sulla spalla mentre lui ha lo sguardo abbassato.

<<Avril, davvero non ci siamo mai visti prima d'ora? Mi sono immaginato tutto?>>
<<Ash, non so di cosa tu stia parlando.>>

Mi affretto a salire nel pullman guardandolo un'ultima volta, non ho mai visto così tanto dolore e odio in un unica persona.

Quando sono a casa con mia grande sorpresa trovo mia madre nel suo ufficio intenta a scrivere qualcosa su dei figli bianchi.

<<Ciao tesoro.>>

Rimette i fogli in una cartella blu e si alza vedendomi incontro, indossa un completo femminile con la gonna che le arriva fino a sotto le ginocchia.

<<Che hai? Stai male?.>>

Chiede preoccupata, la guardo per un attimo e nego con la testa.
Salgo le scale mentre lei mi segue picchiettando i suoi tacchi sul pavimento, quando entro nella stanza butto lo zaino per terra.

<<Sono anni che sto male mamma grazie per esserne accorta adesso.>>

Mia madre non capisce se sono ironica o meno ma sorride e mi prende una mano.

<<Tesoro, so che non stiamo più passando tempo assieme come prima ma ti prometto che appena mi libero avrò tempo per noi. Okay?>>

Annuisco, mi guarda per un attimo e lascia vagare lo sguardo su tutta la stanza.

<<Ma che schifo Avril, non buttare le tue mutande sul divano! Sei disordinata come un maschio!>>

Sbuffo togliendo le mie mani dalle sue, la mia stanza non è disordinata ma solo mal ordinata.

<<Io sono fuori per cena...ti ho lasciato qualcosa di cotto nel frigo puoi riscardarlo e mangiarlo se vuoi.>>

Si sta avviando alla porta quando mi butto nel letto e la fermo.
<<Fuori per cena? Da quando esci da sola a mangiare fuori?
Hai un fidanzato?>>

Le chiedo ironica ma vedo che le sue spalle si irrigidiscono, non si gira, posa la mano sulla maniglia e sospira.

<<Sto uscendo con una mia amica che non vedo da anni.>>

L'ha detto con un tono distaccato e forse avrei dovuto indagare di più su questa possibile ipotesi ma non ora, ho troppe cose per la testa.

Quando esce dalla mia stanza mi allungo sul letto per prendere il mio pc.
Continuo a leggere le ricerche che ho salvate da ormai anni, nessun aggiornamento, sempre le stesse parole.

Vado su Google e inizio a sfogliare le notizie appartenenti a New York e questo posto.
Niente di insolito, niente di strano, nessun caso particolare o fuori dalla norma.

Se gli assassini di Victor mi hanno chiamata per percepire il luogo dove sto non saranno molto lontani, non sono nemmeno siura che siano loro ma non ho nessun'altra spiegazione.

Mi prendo la testa fra le mani, sono anni che aspetto un loro movimento, che si espongono alla luce e ora sono in ansia, non per me stessa ma per mia madre.

Possono essere ovunque e io sono pronta, ho tutto sotto controllo, mi sono allenata durante tutti questi anni, saprò perché è morto Victor e mi vendicherò rovinando le loro vite.

<<No, No, No...>>

Mi prendo la testa fra le mani vedendo un articolo che attira la mia attenzione, clicco sul link e leggo ciò che hanno scritto i giornalisti.

"Casi mai risolti, delitti afferati in cerca d'autore: sono tanti i fascicoli negli archivi dei tribunali oramai ricoperti di polvere ma non sarà così ancora per molto."

"Delitti irrisolti, indagini rimaste sospese, sono tanti i gialli che non hanno mai avuto una soluzione: storie di vittime che non sono riuscite a trovare giustizia, di genitori, parenti e amici che non hanno smesso di farsi domande. Storie piene di ombre: nessun testimone, nessuna prova, nessun’arma del delitto. Assassini che restano fantasmi, senza un volto né un nome.
Finalmente dopo un'attesa infinita i poliziotti arrestano Dylan Dog, uno spacciatore che a quanto pare fa parte di una gang, la stessa che tre anni prima ha assassinato Adriana Levy.
Abbiamo speranza, speriamo che da Dyaln arrivino altre notizie così da farci scoprire gli assassini e i suoi complici.
Le indagini stanno continuando e noi speriamo di fare finalmente giustizia in questo mondo severo e crudele."

Dopo aver finito di leggere tutto l'articolo rimango scossa, so già cosa fare ma sono bloccata.
Sento un muro sopra di me, uno di quelli che innalza le sue barriere e ti chiude dentro.
Inspiro ed espiro diverse volte sento caldo subito ma cerco di calmarmi.

Prendo il telefono e lo chiamo ma non risponde, è l'unica persona che può aiutarmi in questo momento, in situazioni del genere c'è bisogno di un adulto e per fortuna non sono io.

<<Dai Mark dai, rispondimi.>>

Sbotto alzandomi dal letto, oggi devo andare in ospedale ma se prima non ne avevo voglia ora vorrei proprio sotterrarmi.
Scendo di corsa le scale prendendo lo zaino, le chiavi e gli occhiali in un solo minuto.
Record!

<<Mamma sto uscendo!>>
<<Dove vai?>>
Esce dall'ufficio con delle cartelle in mano.
<<Ho appuntamenti con la psicologa Linda.>>

Dico annoiata, non ci sono mai voluta andare ma ormai il gioco è fatto e non posso tirarmi indietro, mi sorride orgogliosa e annuisce.

<<Va bene! Prenditi le chiavi di casa!>>

Sono in ospedale quando vado nel reparto pediatrico, entro nella stanza e la trovo seduta con due bambole in mano.
Faccio un lungo sospiro, ho un sacco di cose in testa, vogliono usicre fuori ma devono stare lì o impazzirei.

Quando entro poggio lo zaino sulla poltroncina e tolgo gli occhiali, la bambina neanche alza lo sguardo, mi siedo accanto a lei.

<<Perché gli altri bambini non vogliono giocare con me?>>
<<Perché sono diversi.>>

Corruccia le labbra e aggrotta le sopracciglia.

<<Mamma dice sempre che sono io quella diversa.>>

Che problema hanno gli adulti? Non sono i bambini che devono adattarsi a loro ma sono loro che devono adattarsi al mondo dei bambini, se sei un genitore irresponsabile perché portare al mondo una piccola creatura innocente?

<<Anche lei non vuole più giocare con me, ha detto che litiga con papà per colpa mia.>>
<<L'ha detto tua mamma?>>
<<No, me l'ha detto mio fratello.>>

Silenzio, non mi piacciono i bambini certo ma il comportamento di sua madre è più infantile del suo.
Non può palrare così ad una bambina, non so cosa dirle.

<<Le mamme è i papà litigano sempre, ma cercano di dare la colpa ai figli perché si sentono maturi e responsabili, ma quello fanno non è da veri adulti. >>
<<Quindi io non c'entro nulla?>>
<<Sì.>>

Silenzio per altri secondi infiniti mentre osservo il suo pigiama rosa, ancora non so per cos'è ricoverata.

<<Vuoi essere la mia amica?>>

Sono così rimasta colpita dalla sua richiesta che sto per dirle di no quando la psicologa entra nella stanza con il solito sorriso professionale.

<<Vi trovo già qui e non state nemmeno bisticciando, come sta andando?>>
<<Avril è diventata la mia amica.>>

Mentre la psicologa mi guarda incredula io piagnucolo in silenzio, ma in che guaio mi sono cacciata?
Amica?

Sono passate due ore quando Mark, finalmente mi chiama.
Esco subito dalla stanza dell'ospedale e chiudo la porta alle mie spalle rispondendo velocemente alla chiamata.

<<Mark? Mi senti?>>
<<Ciao signorina Avril, a cosa devo questa chiamata? Lei e sua madre state bene?>>

Mark è quell uomo affidabile dall'animo gentile, è sempre stato un'amico di famiglia nonchè un procuratore legale, ha cinquantasette anni e tra non molto andrà in pensione, conosco sua moglie ma non la sopporto per niente.

<<Oh Mark lascia le formalità al lavoro accidenti!>>

Sbuffo mentre lui lascia uscire una piccola risata, è sempre così formale che mi fa quasi vomitare, mi conosce sin da piccola ma si ostina a darmi del lei.

<<Ma io attualmente sto lavorando signorina.>>
<<Okay, okay, ti ho mandato un link alla tua email, c'è un articolo del giornale di ieri sera.>>
<<Mh...l'ho gia letto, le stavo giusto per scrivere riguardo Dylan Dog.>>
<<Sì esatto, hai fatto delle ricerche sul suo conto?>>

<<Sì, le mando tutto nell'email, non ho trovato niente di particolare, non ha precedenti penali, sembra pulito.>>
<<È strano no?>>
<<Strano lo è, ha solo ventidue anni quindi al momento dell'assassinio aveva quasi diciannove anni, chi spreca la sua giovin'età così? Ha sempre avuto voti buoni nello studio e i suoi amici riportano che non è un ragazzo violento, mi sembra strano.>>

<<Capisco, senti, cosa sappiamo di questa gang?>>
<<Ancora niente ma farò le mie ricerche e le farò sapere. >>
<<Va bene, io ora devo andare...>>
<<Signorina Avril...>>

Stavo andando su e giù per le scale quando mi fermo d'un tratto.

<<Sì?>>
<<Sia prudente, il minimo sbaglio e rischia la vita.>>
<<Stai tranquillo Mark sono come il gatto ho sette vite io.>>

Mentre sbuffa con un'altra risata termino la chiamata, "il minimo sbaglio e rischia la vita".

Faccio un lungo sospiro passandomi la mano sulla faccia, so a cosa sto andando contro ma non so quanto possa far male e fin dove si spingerà il dolore.

Ripenso a tutta questa giornata pesante, Ryan e Folettina nelle loro crisi d'amore, Alec sempre tranquillo e sorridente, Mahmood non smetteva di masticare a bocca aperta mostrando il cibo che aveva in bocca come i bambini di quattro anni, Ash che vuole scappare da tutto perché è la via più facile, Brianna che mi guarda di nascosto dal tavolo della mensa accanto alla porta,
mia madre vuole passare più tempo con me, come prima ma indietro non si può tornare.

Prima era tutto bello, ma anche le cose belle sono destinate a finire, perché c'è una fine per tutto.


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