Capitolo 4

Crystal aprì la porta, con il cuore in tumulto. Tante emozioni le inondavano il cuore, mentre girava la maniglia.

La prima cosa che vide fu la grande scrivania in legno massiccio e, dietro di essa, un uomo seduto su una poltrona di pelle.

Non poteva che essere lui, il Conte.

Gli occhi di quest'ultimo, sentendo il rumore della porta aprirsi, incrociarono i suoi e lei ebbe un breve istante di esitazione: erano di un verde chiaro, quasi cristallino, e la stavano studiando con attenzione, come se non desiderasse farsi sfuggire nulla di lei, di ciò che vedeva davanti a sé.

Crystal si sentì quasi in imbarazzo, sotto quello sguardo intenso, e osservò il viso del Conte che aveva dei lineamenti marcati e spigolosi, con labbra sottili.

Aveva anche capelli folti e ricci, ribelli, di un castano chiaro tendente al biondo.

Era indubbiamente un bell'uomo e non fece in tempo a pensarlo che quello si alzò, d'improvviso, mettendo in luce un corpo statuario. Crystal ne poté notare la vita sottile, il torace ampio e robusto, e le spalle possenti.

Decisamente, era uno degli uomini più affascinanti che avesse mai visto. Su questo, la cameriera aveva colpito nel segno.

Il Conte d'un tratto sorrise e quando lo fece rivelò denti bianchissimi e regolari.

«Se avete terminato di fissarmi, potete accomodarvi.»

Crystal, imbarazzata per essere rimasta imbambolata, si diede dell'idiota, quindi si accomodò in fretta e in silenzio su una poltroncina, di fronte alla scrivania, paralizzandosi quando vide il Conte girare intorno a essa e dirigersi verso di lei. L'uomo fece un breve inchino, presentandosi.

«Conte Vumont. È un piacere fare la vostra conoscenza, finalmente.» Quell'ultima parola fu accompagnata da un sorriso che disorientò ulteriormente Crystal. Facendo segno di sedersi, l'uomo si accomodò di fronte a lei, quindi la guardò intensamente per un momento che sembrò eterno, poi riprese a parlare.

«Devo essere sincero. Sono rimasto spiazzato quando ho saputo che, invece di un ragazzo, avevo soccorso una donna in fuga.»

Crystal non pronunciò parola. Sapeva che era qualcosa di difficile da credere, ma era stato appunto questo a salvarla, fino ad allora.

Il Conte continuò, osservandola attentamente.

«All'infuori di questo, sono felice di essermi trovato lì, l'altra notte. Non immaginate a quali pericoli stavate andando incontro, travestendovi da uomo e facendo la vagabonda.»

«Avevo le mie ragioni» lo interruppe lei, parlando per la prima volta e guardandolo dritto negli occhi.

Non avrebbe permesso, né al Conte, né ad altri, di criticare o giudicare il suo modo di agire e di comportarsi basandosi su ciò che vedevano in apparenza. Non ne avevano il diritto.

David guardò quegli occhi blu, che lo fissavano senza timore, contrariamente a ciò che aveva paventato all'inizio.

In un primo impatto, vedendola entrare, non l'aveva riconosciuta. Pensare che quella ragazza minuta, vestita come una gran dama, fosse lo stesso ragazzo cencioso della sera prima, sembrava una cosa inverosimile. Eppure erano la stessa persona.

Anche con quel livido sulla guancia, non riusciva a nascondere una carnagione perlata che i suoi capelli ebano facevano risplendere ancora di più.

Sembrava cosi minuta, e all'apparenza fragile, che dava l'impressione di potersi spezzarsi da un momento all'altro. Eppure era così giovane! Non poteva avere più di diciotto anni,

ma nei suoi occhi si riusciva a percepire una tenace forza di volontà.

«Potrei essere informato su queste ragioni...? Non credo che ci abbiano ancora presentati» disse David distogliendo per la prima volta lo sguardo dal suo.

«Mi chiamo Crystal» rispose la giovane.

David aspettò che proseguisse, ma ciò non accadde e si vide costretto a seguitare con le domande, seccato.

«Crystal...? Di solito c'è qualcos'altro, oltre al nome di battesimo.»

«Questo è quello che posso dirvi, al momento, e ciò che temo dovrete farvi bastare» ribatté Crystal per nulla scoraggiata.

David rise per la sua sfrontatezza.

«D'accordo. Allora volete spiegarmi perché eravate travestita da ragazzo? Perché siete ricorsa a un simile travestimento? Cosa ci facevate da sola e di notte in quel postaccio?»

«Era per salvaguardarmi» replicò Crystal, senza giri di parole.

«Da cosa?» Al suo rifiuto nel rispondere, David cercò altri modi per farla parlare. «I Vumont hanno sempre tenuto alto l'onore, le apparenze sono fondamentali nell'alta società. L'altra sera sono stato coinvolto in una rissa. Sì, era un soccorso alla vostra persona, ma all'alta società poco importa.» Vedendola sgranare gli occhi, comprese di aver colpito nel segno. A David non interessava il pensieri altrui, ma far leva sul senso morale della ragazza sembrava un buono stratagemma per farla parlare.

Vedendola irrigidirsi, capì di esserci riuscito.

«Non era mia intenzione arrecarvi disturbo, Conte» sussurrò Crystal, lo sguardo triste. «Finora ero riuscita a non mettermi nei guai, ma evidentemente ho sottovalutato alcuni aspetti fondamentali, dando la possibilità a quegli uomini di approfittarne. A tal proposito volevo ringraziarvi. Non oso immaginare cosa sarebbe accaduto se non foste intervenuto.»

Da malinconici, gli occhi di Crystal divennero grati, splendenti. Era grata a lui... David, si sentì leggermente in colpa per averla ingiustamente raggirata, anche se per un buon motivo.

«Sono felice, di essere stato lì nel momento in cui ne avevate più bisogno, Crystal. Molto felice.» rispose, calcando sulle ultime due parole.

Decise di cambiare e di porre domande innocue, per riuscire a carpire qualcosa di più sulla sua misteriosa ospite. «Da dove venite?»

Sembrò coglierla di sorpresa, perché la vide sobbalzare per un momento. Corrucciando la fronte, rimase in attesa fin quando la ragazza, traendo un respiro profondo, si apprestò a rispondere.

«Non sono di qui. Non di Parigi, intendo.»

«Allora di dove siete? E la vostra famiglia? Sanno che andate in giro travestita da ragazzo?»

Crystal si sentì infastidita per quel tono, che sembrava quasi un rimprovero più che una curiosità. All'improvviso, ignorando chi avesse di fronte e cosa avesse fatto per lei, si sollevò dalla poltrona, livida

«Chi vi credete di essere? Non ho bisogno della paternale. So badare perfettamente a me stessa!»

«Se cosi fosse, non sareste qui» ribatté David dopo averla fissata sorpreso. Stava forse cercando di cambiare argomento? Deciso a vincere la battaglia, si alzò a sua volta, avvicinandosi a lei, ai suoi occhi blu che non lo perdevano mai di vista, come una volpe in agguato.

«Non avete ancora risposto alle mie domande, in ogni caso» insistette David.

«Io vi ho già risposto. Se le mie spiegazioni non vi sono sufficienti mi dispiace, ma saranno le uniche che avrete a questo proposito» rispose Crystal fronteggiandolo per nulla decisa a dargliela vinta.

Certo che è davvero testarda, pensò David, spazientito.

Dovette ammettere, però, che quel caratterino un po' timido e un po' peperino, gli piaceva molto; forse perché era qualcosa di diverso, forse perché "fresco e genuino", così diverso dal solito tono dimesso delle ragazzine dell'alta società.

«Va bene, allora rispondete almeno a questo: che farà adesso?»

«Riprenderò i miei abiti, la mia tracolla, e andrò di nuovo per strada, travestita da ragazzo.»

David scosse la testa, contrariato.

«Se tornate in strada, potreste incontrare di nuovo quei farabutti, o peggio, e a quel punto il mio intervento sarà stato inutile.»

«Non vi ho certo chiesto io d'intervenire» tenne a sottolineare Crystal, ancora sul piede di guerra.

«Ma prego, non c'è di che!» esclamò lui, inalberandosi.

Che razza d'ingrata!

Fu quasi tentato di lasciarla al suo destino; in fondo lui aveva fatto quello che era giusto fare e non aveva nessuna responsabilità nei suoi confronti.

Eppure, non riuscì a fingere di non notare, di non percepire, la sua angoscia, i suoi timori. Anche lei aveva avuto la sua parte di sofferenze e David provò rabbia verso colui che l'aveva costretta a vivere di stenti e sotterfugi.

«Mi dispiace per essermi fatto prendere dall'ira» sospirò allora, passandosi una mano tra i capelli e distogliendo lo sguardo «ma vorrei capire come aiutarvi.» Era conciliante e non era da lui, ma non poteva fare a meno di provare pena per quella ragazza. Sentiva uno strano istinto di protezione.

« Mi scuso anch'io per il mio comportamento» scese a più miti consigli Crystal, abbassando lo sguardo. Era evidente che il suo non fosse un comportamento usuale, che il suo fosse un modo abitudinario dettato dall'esigenza di difendersi da tutto e da tutti.

Quando le sorrise, vide le sue guance imporporarsi e se ne compiacque, suo malgrado. Il sorriso che gli restituì lo fece vacillare per un momento, ma tentò di non darlo a vedere.

Poi calò il silenzio e furono solo delle voci sommesse al di fuori della stanza a distrarli.

Non si riusciva a capire cosa stessero dicendo, ma era chiaro a chi appartenessero: Julia e Madame Morel.

Sentì gli occhi della ragazza addosso mentre, spazientito, si alzava per andare di soppiatto verso il battente. aprendolo poi di scatto.

Julia, colta alla sprovvista, cadde a terra con un piccolo urlo di sorpresa. L'avrebbe raggiunta anche l'anziana governante, se non fosse stato per il repentino soccorso da parte di David. Era evidente che si fossero messe a origliare per tutto il tempo.

Julia si alzò immediatamente, raddrizzando le spalle e dandosi un contegno.

«Stavo pulendo la porta e Madame Morel mi stava indicando una macchia che non voleva proprio togliersi...» farfugliò rossa in viso lanciando occhiate di fuoco alla governante in cerca di supporto.

«Sì, esattamente» confermò quella non del tutto convinta, ma il Conte non aveva intenzione di soprassedere davanti a quella pantomima e lo sguardo che rivolse alla giovane dovette sortire l'effetto desiderato, perché Julia tornò ad abbassare il capo, a disagio.

«Tornate dopo, a pulire questa porta.»

Le due, dopo essersi scusate, stavano per congedarsi quando David le fermò.

«Un momento» le bloccò. «Madame Morel, vorrei chiedervi se c'è bisogno d'aiuto da qualche parte in casa.»

A quella richiesta la governante strabuzzò gli occhi, sorpresa.

«Una mano in più non guasta mai, Monsieur Vumont» gli rispose guardando Crystal in maniera eloquente: aveva capito al volo a cosa stesse mirando.

David si voltò, ben deciso a dar seguito al suo proposito.

«Che ne pensate di lavorare alle mie dipendenze? Mi sentirei più tranquillo e apposto con la coscienza nel sapervi qui e al sicuro. Meglio sotto al mio tetto che di nuovo in mezzo a una strada. Sarebbe un compromesso accettabile?»

Lei parve sorpresa: era evidente che non se l'aspettava.

«Ne siete proprio sicuro? Non sono per niente brava a cucinare, men che meno con le faccende domestiche...» rispose in un soffio.

.Per niente turbato, David sorrise. «Troveremo qualcosa da farvi fare, Crystal. Allora, che ne dite? Accettate?»

Crystal non sapeva cosa fare.

Non era mai stata troppo tempo in un posto e sarebbe stato rischioso restare lì, con la paura che qualcuno la riconoscesse.

D'altronde, rimanendo con la servitù, avrebbe avuto un posto sicuro dove stare, evitando la frequentazione dell'alta società e potendo cosi dedicarsi a ciò per cui era tornata a Parigi.

Guardò il Conte Vumont, ed ebbe la strana sensazione che con lui starebbe stata al sicuro.

«Accetto» rispose determinata.


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