Capitolo 1
Parigi 1816
PARIGI 1816
Sapeva che se si fosse fermata sarebbe stata la sua fine, ma era senza fiato. Poteva sentire il loro fiato sul collo, ci aveva fatto anche l'abitudine ormai, ma era al limite delle sue energie. Nonostante tutto, in ogni caso, continuò nella sua folle corsa: non poteva arrendersi, non così. Era a Parigi da mesi, ormai, e dopo tanti sacrifici e sforzi per giungere fin li... arrendersi avrebbe significato la fine. «Eccolo, è laggiù!» Oh, no! Corse più veloce che poté, in un ultimo slancio, ma avvertì poco a poco le energie scemare e i suoi assalitori avvicinarsi paurosamente. D'un tratto sentì la presa sul suo colletto e uno strattone forte che arrestava la sua fuga, mozzandole il fiato in gola. No, non poteva finire così...
Camminando per i vicoli di Parigi, il Conte David Vumont si chiese come sarebbe riuscito a tornare a casa indenne, dato il suo stato di ubriachezza. Barcollò in un vicolo, maledicendo la propria stupidità: la colpa per quell'inglorioso epilogo era solo sua. Aveva infatti la piena responsabilità per aver accettato l'invito dei suoi amici, che in verità lo avevano costretto a seguirli, e per aver bevuto come una spugna pur di sconfiggere la noia soverchiante. E, perpetrando nella sua follia, aveva addirittura dato disposizioni al cocchiere di tornare a casa senza di lui, preferendo l'aria fresca della notte e una sana passeggiata, al claustrofobico viaggio in carrozza. Eh sì, già allora non doveva essere stato molto lucido per dire quella sciocchezza. D'improvviso avvertì alle spalle levarsi un coro sguaiato di voci maschili intente in canti stonati. Si voltò a osservare il piccolo branco, valutando come anche loro, probabilmente, si fossero dati all'alcool in maniera del tutto sregolata. David li fissò per un po'. Effettivamente, dalle facce paonazze e dalle canzoni scurrili per nulla adatte alle orecchie di una gentildonna, dovevano essere messi molto peggio di lui. Non potevano avere più di vent'anni, valutò. Vedendo come ridevano e si prendevano in giro, David non poté fare a meno di invidiare la loro spensieratezza, così tristemente lontana dal suo modo di essere e agire. Non che lui si potesse considerare vecchio, a soli venticinque anni, ma le sue esperienze di vita l'avevano costretto a crescere troppo in fretta rispetto agli altri. «Ah» sospirò «sono proprio ubriaco per pensare a certe cose» mormorò passandosi una mano fra i capelli spettinati. Si diresse più in fretta che poté verso casa, dannandosi ancora una volta per l'eccesso d'idiozia che l'aveva colto. Come se non fosse bastato il primo accenno di stupidità, aveva anche rifiutato il passaggio offerto dai suoi compagni di gozzoviglie. Fortunatamente reggeva abbastanza bene l'alcool ed era ancora sufficientemente lucido per raggiungere la residenza senza incorrere in pericoli. «Stai fermo!» La voce giunse alle sue orecchie all'improvviso, come una deflagrazione assordante nel silenzio ovattato della notte. David tornò a voltarsi, incuriosito, e decise di controllare con i propri occhi una situazione che sembrava deteriorarsi di minuto in minuto. Si avvicinò alla fonte del frastuono, un vicolo poco distante e talmente poco illuminato da non permettere di discernere altro che ombre, e si arrestò titubante. La discussione stava prendendo un abbrivio inquietante, ben lontano dai chiacchiericci tipici degli ubriaconi a cui era abituato. Accanto a lui cominciò a formarsi un capannello di persone, attratte a loro volta dall'imperversare delle urla, e ben presto si formarono delle fazioni indignate. «Guarda» proruppe un uomo dalla folla «uno di loro è solo un ragazzo... che vigliacchi!» «Già» convenne un altro «a quanto pare siamo alle solite: due contro uno. Decisamente uno scontro impari.» David aguzzò la vista e in effetti distinse chiaramente due omoni alle prese con un ragazzino che avrà avuto poco più di quindici anni. Inspirò, indeciso sul da farsi, ma il degenerare veloce dell'alterco accelerò le sue digressioni. Non sapeva spiegarsi il perché di quell'aggressione, e obiettivamente poteva essere successo di tutto, ma la sfida a cui stava assistendo non giustificava il colpo in pieno volto appena sferrato da uno dei contendenti.
«Ehi, voi!» gridò incamminandosi svelto verso i tre, dimenticando di colpo l'ebbrezza «cosa diavolo avete intenzione di fare? Non vedete che è solo un ragazzino?»
«Non t'immischiare, damerino» tuonò uno degli energumeni andandogli incontro minaccioso. Fece per colpirlo, ma lui fu lesto a schivarne il colpo e a rispondere prontamente con un destro che fece caracollare a terra l'antagonista, più sorpreso dalla sua rapidità, che dal dolore.
David fece per voltarsi verso il corpo del ragazzino riverso in terra, ma il secondo sconosciuto gli fu alle spalle in un attimo, colpendolo a tradimento. Cadde a terra, imprecando, stupito della sua mancanza di riflessi. Dannato alcool!
Vide un'ombra incombere, pronta a continuare il pestaggio, ma questa volta non permise al tempo di remargli contro e giocò d'anticipo alzandosi di scatto e colpendo l'uomo alla mandibola. Lo vide indietreggiare, visibilmente dolorante, e assieparsi accanto al compagno.
«Scappiamo, non ne vale la pena» suggerì il primo e in pochi minuti i loro profili si fusero col buio del vicolo.
David, riprendendo fiato, si voltò verso il ragazzo ancora sdraiato in terra. Doveva essere svenuto a causa del forte colpo ricevuto. La folla, vedendo che lo scontro era terminato, si allontanò non facendo più caso a loro e David sentì una forte rabbia montargli in petto.
«Che razza di gente!» esclamò barcollando sulle gambe. S'inginocchiò davanti al ragazzino e lo osservò più da vicino.
Sembrava molto giovane e, anche attraverso il viso sporco, si notavano lineamenti molto delicati, quasi inusuali per un fanciullo di quell'età. Naso impertinente, labbra carnose e mento grazioso caratterizzavano un volto incorniciato da delicati riccioli che fuoriuscivano da un berretto lurido. Sembra un bel ragazzo, pensò aggrottando la fronte, poi strabuzzò gli occhi scuotendo la testa.
Ma cosa mi viene in mente, accidenti! Rifletté passandosi una mano fra i capelli in disordine, quindi sospirò. Non poteva certo lasciare quel fanciullo in mezzo a una strada... conciato in quel modo, per giunta. L'unica soluzione era portarlo a casa con sé e accudirlo. Serrò la mascella, annuendo silenziosamente, poi si alzò in piedi e afferrò il corpo esanime cercando di mantenere l'equilibrio. Si incamminò faticosamente verso casa e approfittò di una diligenza, che procedeva pigra per l'ultima corsa, adagiando il ragazzo accanto a sé e riprendendo fiato. Il viaggio durò pochi istanti, necessari per ritemprarsi e osservare ancora una volta quel volto tumefatto dal colpo inferto. Fu tentato di togliergli il berretto, ma la paura di peggiorare una situazione di salute precaria lo indusse a desistere. Non sapeva in che modo fosse stato colpito e se il capo avesse ricevuto traumi consistenti, quindi decise di attendere la visita di un medico per sincerarsi delle condizioni effettive di quel trovatello. Scese dalla diligenza con il corpo del ragazzo tra le braccia e fece solo pochi passi prima che il suo maggiordomo corresse a prestare loro soccorso.
«Preparate immediatamente una camera» ordinò entrando in casa, subito raggiunto dal resto della servitù.
In pochi minuti tutto fu pronto e David distese il ragazzo, ancora esanime, delicatamente sul letto. «Preparate un bagno caldo e vestitelo per la notte. Ha bisogno di riposo» disse David, alla governante prima di scendere in biblioteca.
Aveva bisogno di schiarirsi le idee, facendo ordine tra i pensieri che si affollavano sempre di più nella sua mente. Era tutto così surreale... Eppure la situazione, per quanto assurda, sembrava destinata ad assumere tonalità ancora più esasperate. Dopo appena mezz'ora, quando ormai era pronto per ritirarsi nelle sue stanze, David venne raggiunto dalla governante in evidente stato di apprensione.
«Ditemi pure, Madame Morel» sospirò sfinito «cosa c'è, di cosi importante, da non poter aspettare fino a domani mattina?»
«Si tratta del ragazzino, Monsieur Vumont» balbettò quella agitata, contorcendosi le dita in maniera nervosa.
«Cos'è successo ancora?» chiese allarmato. Che il ragazzo soffrisse di una malattia grave? Che le sue condizioni fossero peggiorate precipitosamente?
La governante lo guardo intimorita, poi inspirò profondamente, gonfiando il petto.
«Ehm... Ecco, il ragazzo non è proprio un... ragazzo» rispose enigmatica abbassando subito gli occhi in terra.
«Spiegatevi meglio, per favore» la invitò esasperato. Quella donna stava cominciando a perdere colpi, forse a causa dell'età, chissà... Ma era stanco e anche abbastanza brillo: non aveva tempo per le sciocchezze. «Dunque?» la sollecitò tamburellando le dita sulla scrivania.
«Ecco, Monsieur Vumont, il ragazzo... in realtà è una ragazza!»
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