- 4. Con i se e con i ma -
23 febbraio
Albert indossò velocemente le sue scarpe ed uscì senza nemmeno salutare sua madre, aveva troppi pensieri per la testa per potersi ricordare di essere cortese. Finalmente era riuscito a convincere Ethel a concedergli qualche ora del suo tempo. Finalmente avrebbe potuto parlarle, dirle ciò che provava per lei, e cercare di capire come mai fosse cambiata così radicalmente negli ultimi mesi.
Era divenuta ormai l’ombra di sé stessa. Il suo mutamento era iniziato ad ottobre, senza un apparente motivo, e con la scomparsa di Evan la situazione era degenerata. La ragazza aveva abbandonato tutte le sue abitudini, i suoi amici e le sue passioni. Trascorreva la maggior parte del suo tempo da sola, rintanata in qualche felpa extra large, dai colori più spenti e anonimi possibili. A volte sembrava volesse mimetizzarsi con il muro verde vomito della scuola, pur di non farsi notare.
E quando Albert la guardava, e ripensava alla Ethel che aveva conosciuto a settembre, non poteva credere si potesse trattare della stessa persona. Per quanto lei continuasse a negare, lui era certo che le fosse capitato qualcosa, e aveva come l’impressione che quell’avvenimento c’entrasse, in qualche modo, con la scomparsa del loro amico, o che lei credesse questo. Era possibile, infatti, leggerle il senso di colpa stampato sul viso, ogniqualvolta qualcuno parlasse di Evan.
Aveva provato più volte a capire il perché di quel suo comportamento, ma lei non aveva intenzione di cedere. E più lui tentava di avvicinarla, più lo allontanava, dicendogli che lo faceva per il suo bene. Non si rendeva conto che quel distacco lo stava uccidendo.
Tutta quella situazione lo stava uccidendo. Stava rivivendo ciò che era successo con Carly, stava guardando impotente la persona che amava, appassire lentamente. “Forse…” pensava mente camminava a passi svelti verso il parchetto “…il problema sono io.”
Raggiunse quella che ormai considerava la sua panchina, e si sedette ad aspettare. Era in anticipo, come al solito. Nell’attesa cominciò a sfogliare le sue storie in evidenza su Instagram, per cercare di rivivere per qualche attimo quei momenti felici. Quando Evan era ancora ad Heston, quando Rebecca e Clarissa ancora si volevano bene, quando Ethel era allegra ed entusiasta della sua vita. Quando tutto andava bene.
Si soffermò su un video in particolare. Lui, Ivy ed Ethel stavano parlando della possibilità di adottare un bambino in tre. Sorrise, quello era stato davvero un bel pomeriggio, una giornata incredibile. Grazie ai suoi modi calmi e diplomatici era riuscito a far trascorrere del tempo insieme alle due ragazze, le quali, normalmente nemmeno si guardavano in faccia, se non per insultarsi. Ricordava ancora quella giornata come una delle più belle della sua vita, seconda solo alla festa del capodanno appena passato.
20 settembre
Qel lunedì Albert aspettò Ivy al solito incrocio, con una ciambella alla crema tra le mani. I due camminarono verso la loro orribile scuola, sparlando dei loro compagni e accordandosi sul film che avrebbero visto quel pomeriggio al posto di studiare.
"Ivy non hai la sacca da ginnastica?" Chiese masticando la sua colazione. Lei scosse la testa ed estrasse da una delle tasche del suo abito nero un foglietto. "Ho il certificato." Affermò sorridendo e sventolandolo davanti alla faccia del ragazzo. "Helliot non la prenderà bene." Rispose Albert leggendo l'assurda giustificazione che la ragazza si era evidentemente firmata da sola. "Sai che a me non dice mai nulla." Ivy sorrise, conscia del potere che aveva su quell'uomo e mostrando ad Albert la sua strategica scollatura.
Arrivarono a scuola appena due minuti prima che la campanella suonasse. Ormai gli altri studenti si erano abituati alla loro amicizia nascente e l'interesse nei loro confronti era calato. Soltanto Francois li guardava scocciato, appoggiato al muro sporco e coperto di graffiti del vecchio edificio, con le mani in tasca. Albert fece finta di non notarlo, ma poteva leggergli l’odio negli occhi celesti.
Il professore guardò Ivy dubbioso, mentre la ragazza incrociava le braccia sotto al petto per risaltarlo. "Va bene, starai in panchina Spratt ma solo per questa volta. Per la prossima voglio parlare con tua madre." Helliot non la lasciò senza far nulla ma la obbligò a cronometrare i suoi compagni, tenere i punti e infine ad aiutarlo a posizionare gli ostacoli, standole quasi tutto il tempo addosso.
Albert li osservava leggermente infastidito ma anche preoccupato dalla situazione. Ovviamente era fantastico il modo in cui Ivy riusciva ad ottenere dal prof tutto ciò che voleva ma temeva che giocando troppo col fuoco, la sua amica potesse bruciarsi. Non voleva che Ivy si trovasse in una situazione pericolosa solo per saltare qualche ora di ginnastica o avere voti leggermente più alti.
"Tu ci sei alla gita sul lago?" La voce di Evan catturò la sua attenzione, facendogli perdere di vista quel maniaco. Gli rivolse un’occhiata confusa.
"Ogni anno viene organizzato un piccolo viaggio di tre giorni per festeggiare l'inizio dell'anno scolastico. Noi dell'ultimo anno andremmo a Lamberts sul Black Lake, con il prof di biologia per osservare rane e animali vari. Tu vieni?" Ad Albert brillarono gli occhi, amava viaggiare e adorava le gite. Sorrise ad Evan e gli chiese maggiori informazioni, quanto costasse, quando sarebbero partiti e quanto tempo avesse per iscriversi. "Però vengo solo se c'è Ivy." Sentenziò sicuro. "Beh, tu prova a convincerla, ma quella non è mai venuta a nessuna gita." Albert si aspettava una risposta del genere.
"Viene tutto il gruppo." Continuò Evan raccogliendo i cerchi per riportarli nello sgabuzzino, come gli aveva ordinato Helliot. "Ci sarà anche Ethel." Diede una gomitata ad Albert, facendogli cadere un cono dalle mani.
Il ragazzo non si arrabbiò, essendo molto più concentrato su ciò che aveva detto il suo amico che su quello che stava facendo. "Perché insisti tanto con Ethel? Non è il mio tipo." Evan si voltò verso Ivy che stava cercando di catturare un ragnetto che correva sul muro della palestra. "Il tuo tipo assomiglia a lei per caso?" Albert si mise a ridere.
Sapeva che tutti pensavano che lui e Ivy stessero insieme o comunque che avessero una storia ma non poteva credere che anche Evan fosse di quell'idea. Avrebbe voluto dirgli che il suo tipo ideale era molto più simile a lui, ma non era il momento giusto per esporsi in quel modo. Si limitò a ridere e a negare tutto, arrossendo quanto basta per rendere inutili tutti i "No" che pronunciava.
Nei giorni successivi, Albert si impegnò al massimo per convincere Ivy a partire con lui ma la ragazza sembrava irremovibile. Non aveva nessuna voglia di fare un viaggio con i suoi compagni di scuola. Immaginava di doversi difendere da persone che le rubavano le chiavi, le lanciavano i vestiti dalla finestra, la imbrattavano di schiuma da barba dopo la doccia, le riempivano le scarpe di miele o le infilavano gli insetti sotto il cuscino...
"Non posso venire Albert." Disse dopo l'ennesimo tentativo del ragazzo "E non è solo per gli altri... Mia madre non mi darà mai duecento dollari per una stupida gita..." Afferrò dal prato su cui erano stesi, un piccolo fiore giallo e iniziò a giocherellarci distrattamente, vergognandosi leggermente per ciò che aveva appena detto.
Albert le sorrise, un po' rammaricato dalla cosa. Se avesse saputo prima che il problema erano i soldi non avrebbe insistito così tanto. Avrebbe voluto pagarle lui la vacanza ma non poteva obbligare i suoi genitori, e poi Ivy non avrebbe mai accettato.
"Allora resterò qui con te." Disse prendendole il fiore dalle mani. "Non devi, se vuoi vai pure... posso passare tre giorni senza di te." Rispose Ivy sorridendo, lusingata dalla sua generosità. "Forse tu sì, ma io no." Albert arrossì e si morse la lingua nel tentativo di cancellare ciò che aveva appena detto. Non sapeva perché avesse pronunciato una frase simile, che Ivy stesse iniziando a piacergli? Non poteva, aveva commesso quell’errore già una volta, e non voleva che qualcosa di simile si ripetesse.
24 settembre
Mentre un autobus viaggiava verso il Black Lake con i suoi compagni che passavano il tempo spettegolando, cantando canzoni insopportabili e dormendo, Albert si gustava la sua colazione in caffetteria, insieme alla sua amica. "Non ti dispiace non essere partito?" Chiese lei sentendosi in colpa per averlo praticamente obbligato a rimanere ad Heston. Albert scosse la testa e le spiegò che non si sarebbe divertito senza di lei, Evan sarebbe stato tutto il tempo assieme a Clarissa e lui sarebbe rimasto solo. Forse avrebbe avuto Ethel e Rebecca con cui parlare ma preferiva di gran lunga la compagnia di Ivy alla loro.
"Hey, allora non sono l'unica ad essere rimasta ad Heston!" La voce squillante di Ethel cattturò la loro attenzione. Albert le chiese come mai si trovasse lì. Era sicuro che avesse portato l'autorizzazione e anche i soldi necessari per la gita. "Mia madre fa la giornalista, lo sapete no?" Non lo sapevano, ma annuirono comunque. "E' dovuta andare a Cleveland per un servizio e mi ha affidato i gemelli. È partita ieri pomeriggio e io ho già capito che non sono tagliata per fare la madre." Si mise a ridere da sola apparendo più isterica che divertita. "Beh, voi che fate oggi pomeriggio?" Chiese sperando di convincerli ad aiutarla con i bambini o di farli andare a casa sua per parlare con qualcuno che avesse più di due anni.
"Un sacrificio umano nel bosco." Rispose Ivy con voce grave e secca, ricordando alla ragazza le voci che aveva messo in giro su di lei appena l'anno precedente. Ethel si coprì il volto con una mano per la vergogna e per nascondere il sorrisino che le era comparso spontaneamente sulle labbra mentre Albert la rimproverava.
"No Ivy ha ragione, l'ho sempre trattata male fin dalla scuola dell'infanzia e non ho scuse..." Apparve piuttosto imbarazzata e cercò di sorvolare sull'argomento. "Beh se avete voglia di fare i baby-sitter con me oggi pomeriggio, venite pure a casa mia. Anche se vi serve un bambino per il sacrificio potete chiedere a me, mia madre non se ne accorgerà se ne prendete uno solo." Continuò a ridere cercando in qualche modo di allentare la tensione. Quando la signora alla cassa la chiamò, prese ciò che aveva ordinato, pagò e uscì a testa bassa.
"Non se ne parla Albert." Il ragazzo non aveva ancora detto nulla ma Ivy aveva già capito quali fossero le sue intenzioni. Lei non aveva bisogno di fare amicizia con le persone che l'avevano emarginata per tutti quegli anni. A lei Albert bastava come amico, se lui voleva fraternizzare con quegli idioti non poteva impedirglielo ma non aveva intenzione di fare lo stesso.
"Avanti Ivy... Provaci almeno." Non voleva insistere troppo, non ci teneva a farla arrabbiare ma avrebbe voluto che anche lei iniziasse ad avere una vita normale. Voleva che avesse degli amici, che venisse invitata alle feste, che iniziasse ad uscire con qualche ragazzo, insomma che facesse le cose che facevano tutte le loro coetanee.
"Va bene." Cedette solo perché non voleva deluderlo o rischiare di litigare con lui. "Oggi io e te andremo da Ethel ma alla sua prima parola da stronza io me ne vado." Albert sorrise, contento di aver vinto e invitò Ivy a pranzo da lui ma la ragazza rifiutò. Doveva preparare da mangiare a sua madre che una volta tanto era andata a lavorare.
"Non badate al disordine." Ethel era irriconoscibile, portava uno dei suoi soliti vestiti firmati ma i suoi capelli non erano impeccabili come al solito, ed era completamente struccata. Quando aprì la porta aveva uno dei suoi fratellini in braccio e il bimbo continuava a tuffarle le mani sporche di una sostanza misteriosa tra i ricci castani. "Accomodatevi." Li fece entrare sorridendo. La sua casa era molto grande ed elegante, anche se leggermente in disordine. I suoi fratellini avevano poco più di un anno e stavano iniziando a camminare, a mangiare tutto ciò che vedevano e a pronunciare le prime parole di senso compiuto, i loro giochi erano ovunque e sul tappeto bianco troneggiava una macchia arancione di dubbia provenienza.
"Tra poco li metto a letto, prima però devo dargli da mangiare. Volete darmi una mano?" Ivy prese in braccio l'altro bambino come se si trattasse di un sacco della spazzatura, tenendolo lontano da suo corpo per evitare che quello le vomitasse addosso.
Mentre Albert scaldava una pappetta orribile Ethel e Ivy posizionarono i bimbi sui rispettivi seggioloni cercando di non farli agitare. Farli mangiare fu più facile del previsto e nonostante quell'intruglio sembrasse disgustoso i due bambini lo divorarono senza sputacchiare o lanciarne pezzi in giro.
La parte più difficile fu farli addormentare ma dopo circa un'ora di tentativi disperati ci riuscirono. I tre ragazzi si gettarono sul divano esausti. "Non pensavo fosse così difficile essere madre." Commentò Albert passandosi una mano sulla fronte con eccessiva teatralità. "Per fortuna non sarà mai un tuo problema." Rispose Ivy ridendo. "Perché, vuoi dirmi che se dovessimo sposarci io e te, ti prenderesti cura da sola dei bambini?" Albert la guardò con aria di sfida, aspettando la risposta della ragazza per darle della bugiarda. "No Albert io non mi sposerò e non avrò bambini." Ethel annuì in pieno accordo con lei. "Sì, conviene fare così." Continuarono a parlare dello stesso argomento, arrivando perfino a discutere sul nome che avrebbero dovuto dare ad un ipotetico bambino adottato da loro tre.
Ivy e Albert salutarono Ethel, ringraziandola per la bella quanto assurda giornata. Erano rimasti a cena lì per farle un po' di compagnia. L'avevano aiutata a tenere i bambini mentre lei preparava da mangiare ed erano rimasti fino a tardi per darle una mano a metterli a letto. "Sì, sono convinta, non farò mai la mamma." Ribadì Ivy camminando sulla linea bianca di bordo strada come se si trattasse di una corda da funambolo.
Albert la osservò ridendo. "No, effettivamente non ti ci vedrei." Ivy sembrò quasi offendersi sentendo quelle parole, nonostante non potesse dargli torto. Non che i bambini le facessero schifo ma per averne uno bisogna essere in grado di mantenerlo, saper prendersene cura, essere responsabili e attenti.
Arrivarono all'incrocio al quale si trovavano ogni mattina per andare a scuola. "Se vuoi ti accompagno fino a casa." Si offrì il ragazzo inspiegabilmente imbarazzato dalla cosa. Per la prima volta da quando la conosceva la trovava estremamente attraente. Era vestita in maniera leggermente diversa dal solito, il suo vestito non era lungo fino alle caviglie ma le arrivava poco più su del ginocchio e portava un paio di parigine nere con l'orlo di pizzo. Era truccata con colori più luminosi, sempre con una spessa linea di eyeliner nero e una quantità imbarazzante di matita ma le sue palpebre erano argentate e la sua bocca rosea. La giovane sorrise e scosse la testa. "Non serve, grazie, conosco la strada." Lo abbracciò per poi proseguire senza voltarsi più.
23 febbraio
Albert non poté fare a meno di sorridere a quel ricordo, ma presto le sue labbra presero una curva di sconforto. Forse, se si fosse reso conto prima di ciò che provava per Ethel, se le fosse stato vicino sin dall’inizio, avrebbe potuto aiutarla. Magari avrebbe potuto evitare che la sua vita precipitasse in quel modo. “Con i se e con i ma non si fa la storia” pensò d’istinto, anche se dentro di lui sentiva che, in fondo, la scomparsa di Evan dipendeva anche da lui, e dalle sue scelte sbagliate.
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