-14. Carly -
3 novembre
Ivy tornò da scuola sapendo che avrebbe dovuto preparare il pranzo da sola anche quel giorno. Sua madre si trovava infatti riversa sul letto, addormentata con il trucco colato e una bottiglia di whisky stretta nella mano destra. Quel giorno erano esattamente undici anni che suo padre se n'era andato abbandonandole per sempre. Mai un messaggio, un biglietto, nemmeno per dire loro se stesse bene o per augurare a sua figlia un felice compleanno. Non sapevano nemmeno se fosse ancora vivo, non che potesse fare molta differenza, a dire il vero.
Nonostante tutto, durante quegli anniversari, sua madre le faceva pena. Non doveva essere stato semplice nemmeno per lei, sebbene la colpa fosse per la maggior parte sua, almeno secondo il punto di vista di Ivy.
Le tolse delicatamente la bottiglia di mano, cercando di non svegliarla e la coprì con una coperta, controllando che stesse bene. Rimase accanto a lei per un po', guardandola come una madre avrebbe fatto col figlio malato. Quella donna l'aveva rifiutata fin da bambina, come avevano sempre fatto tutti e aveva trascorso gli ultimi anni ad umiliarla o ignorarla. Ma nonostante ciò non riusciva ad odiarla: era pur sempre sua madre, l’ultimo legame familiare che le era rimasto.
Verso le tre si alzò e scese al piano di sotto. Di lì a poco sarebbe arrivato Albert. Il programma della giornata era quello di ripassare storia insieme nella serra, ma Ivy pensava di dover finalmente parlare con il suo amico. Dopo la festa, entrambi avevano fatto finta di nulla, per settimane avevano continuato a comportarsi come sempre, come se avessero dimenticato ciò che era successo quella notte. Ma anche se avevano bevuto molto non erano riusciti a scordare quasi nulla.
Quando scese, vide Albert che la aspettava davanti al cancelletto arrugginito. Indossava il suo solito sorriso gentile, abbinato alla camicia color panna, nascosta dal largo cappotto di jeans che lo faceva sembrare un po' meno magro di quanto fosse realmente. "Spingi, la serratura è rotta." Disse Ivy, anche se glielo ripeteva ogni volta che andava a trovarla. Tra le braccia portava una ciotola di popcorn appena fatti e una bottiglia di aranciata, sapendo che il ragazzo la preferiva alla coca-cola.
Entrarono nella serra assieme, iniziando a fare merenda e a chiacchierare. Nessuno dei due sembrava molto intenzionato a studiare. Faticavano a concentrarsi quando si trovavano nella serra. L'atmosfera del luogo tendeva a distrarli: attorno a loro migliaia di diversi profumi si fondevano, creando sfumature sempre nuove, dall'odore acre del terriccio, alle dolcissime rose, al malinconico e azzurro profumo dei crisantemi fino a quello più deciso ed esuberante del piccolo bonsai di abete che Ivy stava potando.
Tutte queste fragranze sembravano essere legate tra loro dall'umidità diffusa all'interno della stanza. Essa si manifestava attraverso piccole goccioline sulla parete vitrea della serra, sulle quali il sole rifletteva i suoi raggi dorati creando un curioso gioco di luce, che rimbalzava da una parte all'altra della struttura esagonale.
Ivy cercava il modo più appropriato per introdurre quel delicato argomento. Osservava attentamente i movimenti di una piccola farfalla, la quale cercava invano di uscire dalla serra, continuando a collidere contro il vetro umido. La trovava così bella e allo stesso tempo così sciocca. Provava compassione per lei ma non mosse un dito per aiutarla, preferiva guardarla, mentre come lei, cercava di liberarsi dalla sua invisibile prigione.
"Ivy, va tutto bene?" Albert non aveva mai difficoltà a capire quando la sua amica fosse turbata. Il suo viso era molto espressivo e lasciava trapelare facilmente tutte le sue emozioni. Quando era perplessa o preoccupata, la ragazza tendeva ad osservare sempre un punto fisso, tenendo tra le labbra una ciocca dei suoi capelli corvini, come se mordicchiarli la aiutasse a pensare meglio.
Annuì e colse l'occasione per iniziare ad esporre i suoi dubbi. "Posso farti una domanda?" Albert alzò lo sguardo di colpo, lasciando che il cellulare gli scivolasse dalle mani sul vecchio tavolo di legno.
"A te piacciono i ragazzi?" Sorrise, non voleva che Albert si sentisse giudicato per il suo orientamento sessuale. Il problema, infatti, non era quello, ma il fatto che Albert non glielo avesse mai detto. Lo considerava il suo migliore amico, l'unico che avesse mai avuto e nel suo cuore si sentiva tradita da questo suo comportamento. Lei si era aperta con lui, mentre Albert continuava a tenersi tutto per se, anche cose importanti come quella. "Sono bisessuale." Rispose lui a testa bassa, come se si vergognasse della cosa. Ivy, cercando di non apparire troppo arrabbiata, gli domandò come mai non gliene avesse parlato prima. Avevano discusso spesso di relazioni, di ragazzi e ragazze, e lui non aveva mai accennato alla cosa, nemmeno lontanamente.
"Non mi dici mai niente." Continuava a ripetere Ivy malinconicamente. "Mi parli sempre di cose superficiali ma in realtà io di te non so quasi nulla." Lei gli aveva detto ogni cosa: la storia di suo padre, i problemi che aveva con la mamma, le sue insicurezze che la spingevano a comportarsi come se facesse parte di una setta.
Per Ivy scoprire quella cosa per errore, sorprendendolo a pomiciare con Liam dietro al capanno degli attrezzi di Rebecca, era stato piuttosto doloroso. Anche se non lo avrebbe mai ammesso a sé stessa, Albert un po’ le interessava e per la prima volta in vita sua, quella sera, aveva capito il senso dell’espressione “cuore spezzato”.
"Non mi hai nemmeno voluto dire come mai ti sei trasferito qui..."
Albert la guardò impaurito, le aveva detto che era stato il lavoro di suo padre a costringerli a spostarsi ad Heston e lei non gli aveva posto ulteriori domande, ma una sera a cena il padre di Albert aveva detto una frase che non concordava con questa versione. "Non è stato semplice farmi trasferire qui." Michael era un poliziotto e Ivy pensava fosse stato mandato in quel posto dimenticato da Dio, non che avesse chiesto lui il trasferimento. I suoi colleghi, a detta sua, non volevano fare a meno di lui, ma alla fine era riuscito ad andarsene da Seattle.
Disse che l'atmosfera della città non gli piaceva, che preferiva la tranquillità dei paesini, ma la tristezza che traspariva dalla sua voce, rivelava il contrario. Quelle parole l'avevano colpita profondamente. Aveva sempre avuto il sospetto che Albert le nascondesse qualcosa. Non le parlava mai dei suoi amici di Seattle né della sua vecchia scuola. Si comportava come se il suo passato non fosse mai esistito, come se avesse sempre vissuto ad Heston.
"Ti ho detto che era per il lavoro di mio padre." Rispose Albert evitando lo sguardo penetrante della sua amica. La sua voce tremava. "Albert ti prego, parla con me." Riusciva a leggere l'angoscia sul suo volto, sapeva di creargli disagio, sapeva che ciò che aveva da dirle non era semplice. Non si poteva trattare di una sciocchezza, doveva essergli successo qualcosa di veramente grave, ma lei voleva saperlo. Il suo intento non era quello di fargli del male, di essere invadente o di metterlo in difficoltà, voleva solo aiutarlo. In quei mesi, aveva notato i suoi occhi svuotarsi dei loro consueti colori solari, il suo sorriso spegnersi e le sue labbra vibrare, ogni volta che qualcuno gli chiedeva qualcosa su Seattle e sulla sua vita lì.
Lei conosceva bene quel tipo di disagio, il fatto di non poter rispondere a una domanda, temere la compassione della gente, i loro sguardi ipocriti e colmi di pena. Non aveva mai parlato a nessuno di suo padre, ma ad Albert sì, perché sapeva che lui non l'avrebbe trattata come facevano gli altri, non l'avrebbe osservata come un cucciolo indifeso e non avrebbe detto stupidaggini nel tentativo di consolarla. Le sarebbe solo stato vicino, ed era ciò che voleva fare Ivy per lui. Non sapeva di cosa si trattasse e non era curiosa di scoprirlo, desiderava soltanto che Albert non si sentisse più solo e riuscisse a fidarsi di lei. Gli prese il volto tra le mani e lo avvicinò al suo, facendo toccare le loro fronti. "Non devi portare questo peso da solo, di qualsiasi cosa si tratti. Io sono qui per questo Albert, per condividere con te qualsiasi cosa, anche il dolore..."
Il ragazzo le sorrise, si distanziò da lei e respirò profondamente. Sentì l'aria fredda, attraversargli le narici e scendergli lungo la gola, riuscendo a percepirla fino quasi ai polmoni. L'odore aspro del terriccio e i profumi dei fiori, mischiati alla dolce essenza di Ivy, gli donarono una sensazione di tranquillità e pace.
Il Sole fuori dalla serra stava tramontando, ed intorno a loro la luce si faceva sempre più ambrata e soffusa, rendendo l’atmosfera magica, per nulla adatta al racconto che doveva intraprendere. Albert si voltò verso la parete di vetro. Tra una pianta e l'altra era possibile intravedere il crepuscolo e tutti i suoi magnifici colori. Mentre quello spettacolo riempiva i suoi occhi e quella bizzarra combinazione di fragranze lo trasportavano in una sorta di mondo fatato, rivide nitidamente il volto di Carly e gli parve quasi di udirne la voce.
"A Seattle avevo un'amica." Iniziò senza distogliere lo sguardo dal cielo, il quale lentamente trasformava il rosso in blu, tingendosi velatamente di viola. "Il suo nome era Carly. Tu un po' me la ricordi, aveva gli occhi del tuo stesso colore e anche lei era abbastanza solitaria. Era una persona solare, ma non amava socializzare, erano poche le persone che non le davano sui nervi. Quando ci conoscemmo, avevamo tredici anni e diventammo amici senza nemmeno rendercene conto. Andavamo d'accordo su tutto e potevamo parlare ore ed ore, senza mai fermarci, senza mai doverci vergognare dei nostri pensieri."
Fece un respiro profondo, sentiva le lacrime che gli inumidivano gli occhi, ma non aveva intenzione di lasciarle scendere. "Con gli anni però, le cose cambiarono, lei cambiò. Era molto bella e aveva avuto molte storie, allontanandosi un po' da me. Non lo faceva con cattiveria anzi, cercava di dedicarmi comunque molto tempo, ma non avevamo più così tante cose in comune e per me, sentirla parlare dei suoi ragazzi, e di come si comportavano con lei, non era semplice…" "Eri innamorato di lei?" Ivy ascoltava con attenzione, temeva il finale di quella storia: Albert, parlava di Carly al passato, non sapeva se significasse qualcosa, forse faceva così soltanto perché non la vedeva da molto tempo, ma più il racconto proseguiva, più Ivy vedeva i suoi timori confermarsi.
"Non lo so, non l'ho mai capito. Forse no. So che le volevo molto bene e avevo paura che quei ragazzi, che lei frequentava con tanta leggerezza e senza nemmeno preoccuparsi di accertarsi se fossero o meno brave persone, potessero farle del male. Ed evidentemente qualcuno deve averlo fatto o deve esserle successo qualcos'altro di orribile, perché un giorno si tolse la vita, si era legata una corda attorno al collo e…”
Ivy lo bloccò, non voleva sentire i particolari e non voleva costringere Albert a ripeterli, riportandolo a quell'inferno. Si era pentita di aver insistito e non era più così sicura di poter aiutare il suo amico. "Sai come mai lo ha fatto?" Chiese con un fil di voce. "No." Albert alzò gli occhi al cielo, come se volesse parlare direttamente a Carly stessa, come se volesse rimproverala. "Non ha scritto nulla, non ha detto niente a nessuno." Quando era successo aveva sofferto come un cane, il suo cuore si era lacerato, sentiva come se una parte di esso fosse stata esportata e gettata via per sempre. L'aveva pianta, l'aveva sognata e l'aveva odiata moltissimo. Come aveva potuto fargli una cosa del genere? A lui, alla sua famiglia, a tutti quelli che le volevano bene? Senza nemmeno dar loro la minima spiegazione.
Ma a questi primi sentimenti di rabbia, dolore e disperazione, si sostituirono presto i sensi di colpa. Lui si era accorto del cambiamento di Carly, aveva visto i suoi sguardi vuoti, i suoi sorrisi simulati e spenti, la sua tendenza ad ubriacarsi ogni volta che ne aveva l'occasione, nel tentativo forse di dimenticare qualcosa. Persino il pomeriggio prima della sua morte avevano avuto una conversazione che conteneva una disperata richiesta di aiuto, che lui però non aveva colto: erano stesi sull'erba del giardino della viletta in cui viveva la ragazza, immersi, come in una nuvola, tra i petali candidi delle pratoline. Nonostante il sole illuminasse i loro volti e rendesse l'aria calda e rassicurante, Carly sembrava essere tesa e assente, più del solito. E più Albert le parlava, più si rendeva conto che la ragazza non lo stava affatto ascoltando.
"Albert?" La sua voce era dolce come sempre, ma debole e triste, dal suo tono sembrava essere esausta. "Se io me ne andassi, sentiresti la mia mancanza?" Lui la guardò confuso, era una domanda strana e non ne capiva il significato. "Certo Carly, mi mancheresti moltissimo. Perché? Ti devi trasferire?" La ragazza scosse la testa, facendo tremare la massa di capelli scuri che giacevano sul terreno fiorito. Lui le chiese spiegazioni ma lei continuava a ripetere che era solo per non restare in silenzio.
"Io sento già la tua mancanza." Disse stringendole la mano. "Non siamo più uniti come una volta." Carly gli sorrise. "La vita è così, tende a dividere le persone, ad allontanarle." Il ragazzo si mise a sedere, con il volto triste, non voleva dare ascolto alle sue parole. Loro non si potevano separare, erano fatti per rimanere per sempre insieme, nonostante le difficoltà e le differenze che il tempo aveva posto tra loro.
"Non dobbiamo per forza seguire le regole dell'esistenza Carly, possiamo restare insieme tutto il tempo che desideriamo. Certo, siamo diversi da quando ci siamo conosciuti ma..." Anche lei si alzò di scatto, per guardarlo negli occhi. "No Albert, tu sei sempre lo stesso, sei ancora convinto che l'amicizia possa durare in eterno e che tutti siano sempre buoni e gentili, come quando avevi tredici anni!" Parlava diversamente: severa, quasi arrabbiata. "Cosa vuoi dire con questo? Tu non sei più come quando ti ho conosciuta, ma ti voglio bene lo stesso...Tu no?" Carly sembrava essere sempre più sconvolta, come se un peso enorme di cui non poteva liberarsi, la stesse schiacciando. "Ti sei accorto del fatto che sono cambiata e non hai fatto altro che ripetermelo e continuare a comportarti come se fossi rimasta la stessa, invece di chiederti come mai io sia diventata un'altra... Sei troppo pigro anche solo per sforzarti di capirmi. Per te è molto più comodo fare finta di nulla e sperare che le cose tornino alla normalità senza il tuo intervento."
Ricordava quelle parole perfettamente, la sensazione che aveva provato, l'umiliazione, il calore delle lacrime che scorrevano sulla sua pelle. Aveva tentato di starle vicino, senza essere invadente e cercando di indagare in autonomia, ma Carly non aveva lasciato trapelare nulla e sapeva che se le avesse chiesto di confidarsi con lui, avrebbe riso e lo avrebbe mandato via. Fece un ultimo tentativo, voleva rimediare, voleva che le cose tornassero come prima, anche se lei lo riteneva impossibile, sapeva che ci sarebbe riuscito se solo gliene avesse dato la possibilità.
"Lascia stare, sono solo nervosa. Ora devo studiare, ci vediamo domani a scuola." Lo salutò sorridendo, ma la mattina dopo al suo posto, in classe entrò un agente della polizia. Carly era andata via, per sempre, e lo aveva fatto anche a causa sua.
"Non devi nemmeno pensare una cosa del genere Albert..." Ivy lo abbracciò teneramente, guardarlo piangere aveva indotto in lei la stessa reazione. Non poteva sopportare di vederlo in quello stato. "Tu non hai alcuna colpa. Non è facile aiutare qualcuno che non vuole essere soccorso." Albert continuava a singhiozzare, inconsolabilmente, senza che Ivy sapesse cosa fare o dire per farlo stare meglio.
Non si sarebbe mai immaginata una storia simile, non pensava avrebbe causato tanto dolore con quella semplice domanda, ma non si sentiva in colpa. Più che un pianto di tristezza, quello di Albert era liberatorio: si era finalmente tolto un peso dallo stomaco. Aveva sempre sopportato quell’enormità da solo, con il sostegno soltanto dei suoi genitori, ma ora Ivy era lì a tenergli la mano. "Mi aveva detto che sarebbe andata via e io non ho fatto niente." Ripeté sempre più agitato. Ivy si alzò e gli chiese di fare lo stesso, lo abbracciò appoggiando la testa sul suo petto e stringendolo forte a sé. Non poteva portare indietro Carly, lei ormai non c'era più, aveva deciso di andarsene ed era giusto che riposasse in pace. Ma in quel momento c'era lei accanto ad Albert e non lo avrebbe mai abbandonato.
"Ti prometto." Sussurrò. "Che non andrò mai via, qualunque cosa succeda, resterò sempre al tuo fianco." Lo stringeva forte per confermare le sue parole, come se avesse paura che lui potesse scivolarle tra le braccia. Sentì la mano del ragazzo accarezzarle dolcemente i capelli. Si scambiarono uno sguardo pieno di affetto. Erano lì per sostenersi a vicenda, e lo avrebbero fatto per sempre.
Erano ciò di cui avevano più bisogno, qualcuno su cui contare, qualcuno che non li avrebbe mai lasciati soli e a cui confidare i propri segreti, sentendosi finalmente al sicuro.
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