-10. L'ultimo incontro -
31 ottobre
Rebecca a poche ore dall'inizio della festa, doveva ancora finire di addobbare la casa e di prepararsi. Quella sera voleva essere bellissima, anche più del solito. Si ammirò allo specchio, per ora aveva applicato soltanto parte del trucco.
Aveva scelto un costume complicato ma sensazionale, voleva avere gli occhi di tutti puntati su di sé, in particolare i suoi…
Si trattava di un mostro marino, una sirena tentatrice con un lungo abito verde, carico di scaglie blu ed argentate adornato da escrescenze laterali simili a pinne, ma ricoperte di buchi e squarci come se quell'essere fosse stato ferito in battaglia. Sulle braccia aveva dei guanti con sporgenze simili e ne stava applicando due più piccole anche sulle guance. Sul volto portava già perle e squame coordinate all'abito. Le sue labbra erano tinte di verde e tra i suoi folti capelli castani, come in una rete, si trovavano incastrate alghe, stelle marine, conchiglie di ogni genere e coralli. Doveva ancora indossare il vestito, ma già si sentiva immersa nella parte. Continuava infatti, a guardarsi allo specchio toccandosi i capelli e facendo luccicare le sue scaglie alla luce del sole, che a breve sarebbe svanita.
Accese la musica e finì la sua trasformazione. Ci mise un po' a terminare il suo make-up ma il risultato era splendido come si aspettava. Sembrava realmente una creatura marina e maledetta. Come tocco finale, applicò delle lenti a contatto bianche. Gli occhi le bruciavano leggermente, ma poteva sopportarlo, era perfetta, troppo per rovinare tutto per un po' di fastidio. Non appena fu pronta si precipitò in salone. Mancavano ancora venti minuti alle otto e lei attendeva impaziente, abbandonata sul suo grande divano di pelle nera. Continuava a rimirarsi nello specchio a muro in fondo alla sala. L'abito era così attillato e sensuale che nessuno avrebbe potuto resisterle, tantomeno lui. Si sentiva crudele nel pensarlo, ma voleva a tutti i costi che Evan la guardasse, notando quanto lei fosse superiore rispetto a Clarissa.
Non perché la odiasse o la credesse brutta, ma perché sentiva di essere migliore di lei. Clarissa era graziosa, ma nulla di più. Aveva un fisico normale, era magra ma praticamente priva di curve e il suo viso le risultava asettico, banale, vuoto. Sembrava una Barbie, una bambola, non solo nell'aspetto e non riusciva davvero a capire come Evan potesse preferirla a lei. Sapeva che se anche avesse lasciato Helia per lui, sarebbe rimasta sola: il suo amante non avrebbe mai rinunciato a Clarissa, sebbene l'avesse tradita e non avesse, evidentemente, intenzione di fermarsi. Ma ciò non aveva davvero importanza poiché, nemmeno Rebecca voleva realmente iniziare una storia con Evan. Non erano fatti per stare insieme e questo lo sapevano bene entrambi, ma ognuno era l'obbiettivo dell'altro. Lui per Rebecca, non era che l'ennesimo "trofeo" che voleva collezionare a riprova della sua superiorità sulle altre ragazze. Sapeva che era sbagliato e non voleva realmente fare del male a Clarissa, ma il suo orgoglio e la sua ingombrante vanità la annebbiavano. Far impazzire i ragazzi per lei era diventata come una dipendenza. E più immorale era quell’attrazione più lei se ne nutriva. Evan non solo era fidanzato, ma stava con la sua migliore amica, e pur continuando ad odiarsi per questo si sentiva potente nel conquistarlo. Non mancava, infatti, occasione per provocarlo, avvicinarlo, sfiorarlo per "errore" o lanciargli frecciatine, sia dal vivo che sui social, sapendo bene che, sebbene lui non rispondesse mai, le coglieva.
Non capiva come avesse fatto a trasformarsi in una persona del genere, non capiva da dove nascesse tutto quell'egoismo e quel cinismo, ma in quei momenti era come se qualcun altro la manovrasse. La sua coscienza era addormentata e il suo ego libero di agire, lontano da ciò che aveva sempre ritenuto giusto.
Mezz’ora dopo aveva già accolto i primi ospiti, era fiera di ciò che aveva organizzato e lusingata dal fatto che tutti si erano impegnati davvero molto per il loro costume. Ogni volta che il campanello suonava, correva ad aprire sperando di vedere in fondo al viale il volto sorridente di Evan. Ma veniva costantemente delusa. All'entrata si presentavano soltanto zombie, streghe, assassini, e spettri, ma nessun Gomez Addams.
Una parte di lei non vedeva l'ora che il ragazzo varcasse la soglia di casa sua, ma la Rebecca più ragionevole, comprendeva che con lui ci sarebbe stata anche Clarissa e che non sarebbe stato semplice per lei, vederli amoreggiare nel suo salone senza che lei potesse fare lo stesso con Helia.
Non sopportava il fatto che lui avesse preferito una noiosissima cena ad una festa insieme lei, lasciandola sola in mezzo alle coppiette. Non avrebbe nemmeno potuto divertirsi a modo suo, poiché lì la conoscevano tutti. Doveva sempre stare attenta a come si comportava in pubblico, sapeva bene che se a Helia fosse arrivata la voce che aveva anche solo ballato con un altro, non sarebbe finita bene. Ricordava perfettamente l'ultima volta in cui l'avevano vista in discoteca. Non gli aveva detto che ci sarebbe andata. Voleva passare una serata tranquilla con le sue amiche senza che lui la obbligasse a scrivergli ogni cinque minuti e a mandargli foto di come fosse vestita. Ma qualcuno aveva fatto la spia e lui ovviamente non poteva crederle sulla parola. E quindi, durante un litigio infinito e umiliante, le diede un pugno facendole sanguinare il naso. Era stato proprio quell'episodio a farla cambiare. Da quel giorno aveva smesso di amarlo, ma aveva paura di lasciarlo, temendo che la sua reazione potesse essere ancor più violenta.
Per l'ennesima volta, il campanello suonò risvegliandola dai suoi pensieri e all'ingresso si presentarono Clarissa, Albert ed Evan. Gli sorrise timidamente, sperando che egli si complimentasse con lei per il costume, ma il ragazzo entrò, salutandola velocemente e dirigendosi verso il buffet assieme alla sua fidanzata.
"Rebecca, adoro il tuo vestito." Commentò Albert, sfiorando delicatamente le alghe che aveva tra i capelli. La ragazza, soddisfatta, ricambiò il complimento e iniziarono a parlare di come li avessero realizzati. Mentre Rebecca parlava però, appariva distratta e continuava a guardare Clarissa, sorpresa da quel suo look oscuro che la faceva sembrare tutt'altra persona. Sentiva il sangue ribollirle nelle vene, mentre la vedeva così vicina ad Evan, senza nemmeno riuscire a spiegarsi il motivo di quella rabbia. Non aveva mai provato gelosia nei confronti del ragazzo, anche perché la cosa non avrebbe avuto senso. Non ne aveva il diritto. Ma in quel momento non riusciva a non sentire quella pungente sensazione d’ira, quel fuoco che le ardeva nel petto facendole contorcere lo stomaco.
Spense le luci e accese la musica, lasciando che l’alcool le annebbiasse la mente, non poteva permettersi di provare quei sentimenti, e quello le sembrava il modo migliore per reprimerli. Mentre tutto attorno a lei vorticava cercava continuamente di attirare l’attenzione di Evan. Era determinata a conquistarlo, non le importava più di Clarissa né di Helia, né tanto meno di cosa volesse lui. Approfittando dello stato alterato di Ivy, le afferrò il volto e la baciò appassionatamente proprio davanti a lui. “La serata migliore di sempre!” esclamò Robert ridendo, mentre il suo vero bersaglio restava a bocca aperta.
Lo vide avvicinarsi a lei e ignorò tutto il resto. Clarissa non c’era, e non le importava dove fosse, voleva stringerlo ancora, come quella notte al Black Lake. Ma evidentemente lui era più coscienzioso di lei e fuggì da quella scomoda situazione uscendo dalla sala.
24 febbraio
“Signorina mi sta ascoltando?” La voce dell’agente la riportò alla realtà, quella realtà in cui Evan non c’era più, quella in cui queste preoccupazioni non avevano più nessuna importanza. “Sì mi scusi, l’ultima volta in cui ho visto Evan era la notte del sei gennaio.” Rispose deglutendo rumorosamente. Sapeva che avrebbe dovuto dirlo prima, al primo interrogatorio quando il ragazzo era solo scomparso, ma temeva che facendolo il suo segreto sarebbe venuto alla luce. Ormai non aveva più senso nascondersi, Francois aveva raccontato tutto alla polizia, e si era già presa le botte che meritava dal suo fidanzato.
“Come mai non ce ne ha parlato prima?” Rebecca alzò le spalle in segno di resa. “Non credevo fosse importante.” Mentì, era cosciente che in casi simili ogni minimo dettaglio è rilevante, ma era troppo stupida ed egoista per potersi comportare in modo responsabile.
“Bene, potrebbe raccontarmi esattamente cos’è successo quella sera?” L’uomo afferrò il block notes, pronto a scrivere la dichiarazione della giovane. Rebecca ragionò per qualche attimo e poi iniziò il suo racconto, tentando, con tutte le sue forze, di non piangere.
“Sono uscita di casa alle undici. Mi aveva chiesto lui di incontrarci a quell’ora al parchetto. Doveva essere uno dei nostri soliti incontri segreti, ma io volevo che fosse l’ultimo. Avevo deciso di lasciarlo, volevo che tornasse alla sua vita… sa, il giorno prima stavo guardando il suo profilo instagram e mi ero resa conto di quanto lui fosse più felice prima che io mi intromettessi, prima che iniziassimo quella relazione. Evan aveva tutto e presto avrebbe avuto anche un figlio, io non avevo il diritto di rovinare la sua vita solo perché non mi piaceva la mia.” Parlava in fretta, ricordare le faceva male e sperava di terminare quella conversazione il più presto possibile, in modo da potersene andare. Voleva solo piangere e dormire, voleva solo dimenticare.
“Ci incontrammo verso le ventitré e cinque, lui aveva una borsa nera, ma non gli chiesi cosa contenesse. Mi disse che avevamo poco tempo, perché doveva incontrare qualcuno.” “Chi?” L’agente sollevò la testa, improvvisamente più interessato a quella storia. “Non lo so. Non me lo ha voluto dire. Diceva che aveva un affare da sbrigare e che dopo quella sera sarebbe stato tutto più tranquillo. Io non gli feci altre domande. Quindi gli dissi come stavano le cose. Lui mi pregò di non lasciarlo ma io gli risposi che sarebbe stato meglio per entrambi. Mi chiese un bacio e io glielo negai, se avessi saputo che non lo avrei più rivisto non lo avrei fatto, anzi, non lo avrei lasciato andare a quell’appuntamento.” Il suo interlocutore le chiese se pensasse che la persona che doveva incontrare fosse il responsabile della sua morte. Lei annuì, lo riteneva probabile, ma nella sua testa aveva un sospetto ben più forte.
“E in quanto al suo fidanzato, il signor Ford, pensa che potrebbe aver commesso lui il fatto?” Rebecca annuì senza esitare. Anzi ne era quasi certa. Helia era esattamente il genere di persona che si aspettava di vedere in carcere per un delitto passionale.
A farle sospettare un suo coinvolgimento poi era stato il luogo del ritrovamento. Quella biblioteca triste e polverosa era stata, per un periodo, il loro rifugio. Nei momenti in cui nessuno la frequentava, infatti, i due si rintanavano nello sgabuzzino che stava poco distante dal magazzino. Lì passavano il poco tempo che riuscivano a ritagliarsi dai loro impegni, essendo semplicemente loro stessi. Non sempre si trattava di appuntamenti prettamente fisici, spesso restavano lì a parlare, a ridere, a scherzare, dimenticando per qualche attimo la loro vera vita. Scordavano di avere qualcuno che li aspettava fuori da quella stanza, scordavano tutto.
Un giorno, per qualche ragione che non le aveva voluto spiegare, avevano smesso di recarsi lì. Ma nel cuore di entrambi quello era ancora il loro posto, e se Helia fosse venuto a saperlo in qualche modo? Quale luogo migliore dove nascondere il corpo, di quello in cui il tradimento era avvenuto?
Le fecero qualche altra domanda di routine e finalmente la ragazza fu libera di alzarsi e uscire da quell’inferno dalle pareti grigie. Mentre tornava a casa a piedi, passò davanti al parco in cui si erano salutati. Osservando il prato in fioritura rivide nitidamente quel loro ultimo incontro, dall’esterno, come avrebbe fatto un passante quella notte. Si fermò ad osservare quella ragazza minuta che, nonostante cercasse di chiudere, continuava ad avvicinarsi a lui, sperando di poter sentire il suo calore almeno un’ultima volta.
“Tranquilla, sapevo che prima o poi sarebbe finita” Le diceva lui accarezzandole dolcemente la guancia. “Faremo finta di nulla e resteremo amici ok? Ci vediamo a scuola sirenetta.”
Sospirò e le sembrò di udire nuovamente quella frase, sentì una lacrima calda scenderle fino alle labbra, il sapore del sale le pervase la bocca, facendo svanire quella visione. Tutto quello che le era rimasto di Evan era questo: il suo sorriso e il suo modo di affrontare tutto con serenità, anche le sfide peggiori. Si allontanò in fretta, sperando di poter fuggire dalla consapevolezza che aveva maturato in quel momento, ormai troppo tardi. La consapevolezza di amarlo con tutta sé stessa.
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